Elezioni CSPI, si vota il 7 maggio 2024

Home » Attualità » Europa e Mondo » Bosnia-Herzegovina: il problema della scuola separata

Bosnia-Herzegovina: il problema della scuola separata

Bosnia-Herzegovina, novembre 2005

29/11/2005
Decrease text size Increase  text size

Gli emendamenti imposti dall’Ufficio di Alta Rappresentanaza delle Nazioni Unite nelle leggi sull’educazione primaria e secondaria nel luglio 2004 rappresentavano una delle riforme chiave dell’anno. Le leggi bosniache promettono un’eguale scolarizzazione per tutti i bambini, ma in realtà c’è un gap significativo tra la legge e la pratica. Alla fine del 2003 l’UNICEF aveva messo in guardia il governo bosniaco sul fatto che una caduta nelle iscrizioni a scuola delle ragazze avrebbe comportato un rischio in termini di diritti civili. Di fatto nelle aree rurali e laddove vi sono difficoltà di trasporto le ragazze stanno più spesso a casa da scuola. Questa tendenza è sempre più evidente tra le ragazze di etnia Rom a causa della povertà e del tradizionalismo. Negare l’accesso a scuola delle ragazze è punibile ma il Ministero dell’Educazione non mostra troppa attenzione al fatto.

Persiste anche il metodo delle “due scuole sotto uno stesso tetto”, con bambini che frequentano la stessa scuola in classi separate in base all’etnia e con entrate differenti. Gli esperti temono che la segregazione e il risentimento etnico siano perpetuati dalle scuole separate, come dimostra ogni tanto la violenza tra bambini anche in aree dove sembra a buon punto il ritorno a una coesistenza interetnica. Questi problemi sono acuiti dalla mancanza di un’educazione superiore comprensiva e dalla stagnazione del processo di Bologna. La Bosnia Herzegovina ha ben 13 ministeri dell’istruzione, il che rende difficili le riforme, e un unico ministero nazionale non è neppure nei piani di un prossimo futuro. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa ha messo in guardia nell’aprile scorso la Bosnia-Herzegovina per il fatto di aver siglato parecchi accordi internazionali senza però assumersi la responsabilità di metterli in atto. (dalla relazione dell’I.E. “Education in transition”).

Roma, 29 novembre 2005