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La scomparsa di Tullio De Mauro lascia un vuoto di umanità e di cultura

Al dolore si unisce il rimpianto per la perdita di una persona esemplare, per la consapevolezza che aveva dell'importanza della cultura. Il ricordo di Ermanno Detti, giornalista e scrittore.

05/01/2017
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Scrivere anche poche righe sulla scomparsa di Tullio De Mauro mi mette il timore, che, sotto l’emozione, mi possa scivolare una frase retorica o che esprima coinvolgimenti emotivi troppo forti. Perché so che Tullio si sforzava sempre, e non sempre riuscendoci, di controllare le sue emozioni. Mi sento suo allievo e sarei un pessimo allievo, mi sentirei non le sue parole ma il suo sguardo di rimprovero addosso se mi sfuggisse qualcosa del genere. E poi non so da dove cominciare perché i ricordi si accavallano, vanno dall’ultima volta che l’ho visto, poco più di un mese fa, all’Istituto Gramsci di Roma per ricordare la figura di Lucio Lombardo Radice, a tempi lontani, quando dirigeva la rivista “Riforma della Scuola” e me lo trovai accanto, un giorno, mentre diffondeva la rivista tra il pubblico di un convegno alla “Sapienza” di Roma. Sulla rivista tenevo una rubrica sulle tecniche didattiche, scrivevo di Mario Lodi e di altri grandi maestri e lui era contento di questa mia attenzione alla didattica perché condivideva la passione per chi, nella scuola e nella vita, credeva nell’educazione, nella scrittura e nella lettura. Era un grande maestro per tutta la redazione.

Tullio era vicino a tutti gli educatori, a chi faceva scuola. Ricordo di averlo intervistato, nell’aprile del 2010 a un congresso della FLC Cgil a San Benedetto del Tronto, di fronte ai congressisti, molti insegnanti e docenti universitari, sulle poesie di Gianni Rodari, sull’importanza di abituare i bambini a fare le cose difficili, sulla dignità del lavoro, sull’odore dei mestieri (i fannulloni, strano però/ non sanno di nulla e puzzano un po’, concludeva la filastrocca rodariana), su una scuola che doveva essere grande come il mondo. E ricordo che diceva che gli insegnanti erano mal pagati, lui, mentre faceva il Ministro della pubblica istruzione, spiazzando un po’ i sindacalisti. E proprio mentre era Ministro l’ho visto più volte perdere il controllo mentre parlava agli studenti di una scuola, commuoversi fino alle lacrime. Si capiva perché: Ministro di un Governo a termine (Governo Amato, 2000-2001), si sentiva impotente a risolvere i problemi di fondo della scuola e responsabile allo stesso tempo e questo lo rendeva inquieto.

Moltissimi altri ricordi mi si affollano, gli ultimi legati al Premio Strega Ragazzi. Lui era presidente e mi aveva chiamato a far parte della giuria. “Scegliete voi i libri migliori, io voto solo in caso di parità nelle proposte e voto per ultimo. Vorrei che non ci fosse deconcentrazione di voti, vorrei che si fosse d’accordo per le opere migliori” diceva alla giuria con il suo tono conciliante.

Ma al di là dei ricordi, il dolore si unisce al rimpianto per la perdita di una persona esemplare, per la consapevolezza che aveva dell’importanza della cultura. Una cultura per tutti, per far crescere un popolo che se non legge e non si informa sarà più esposto alle strumentalizzazioni di chi ha più mezzi e non saprà nemmeno scegliere i suoi rappresentanti.

Me lo ricorderò sempre per questo impegno che era anche politico, fu infatti anche Assessore alla Cultura della Regione Lazio e fece varare leggi importanti sul diritto allo studio. Ma chi lo ha conosciuto non può dimenticare come tutto questo gli costasse fatica. Riservato, schivo e certamente timido vinceva queste sua debolezze per cercare di far capire quanto è importante il bene comune. Chi ci ha lavorato insieme se lo sentiva vicino proprio per questo sua tensione che cercava di nascondere.    

Vorrei concludere con la poesia di Rodari che Tullio commentò con me a San Benedetto del Tronto, perché so che lui era completamente d’accordo che gli schiavi vanno liberati, anche nel caso in cui si sentano liberi.

Lettera ai bambini

È difficile fare le cose difficili:
parlare al sordo
mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate a fare le cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi
che si credono liberi

(Gianni Rodari)