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La Cgil: in Iraq è guerra ... Via le nostre truppe, subito l'ONU

Comunicato stampa della Segreteria Nazionale CGIL

08/04/2004
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Comunicato stampa della Segreteria Nazionale CGIL

Le notizie che giungono dall’Iraq descrivono l’inizio della guerra civile e danno conto degli effetti di una guerra sbagliata, illegittima, assurda di cui nessuno oggi, ancora più di ieri, riesce credibilmente a ritrovare ragioni: quelle armi di distruzione di massa, non trovate; quel terrorismo che la strage di Madrid dimostra essere sempre più alimentato dalla guerra stessa, così come gli attentanti kamikaze aumentati in questo anno insieme al reclutamento nella Jiad anche di bambini.
Come è possibile oggi affermare che andare via dall’Iraq è arrendersi al ricatto dei terroristi, cedere dalla linea della fermezza? Quale fermezza e rispetto a quali obiettivi giusti: l’esportazione della democrazia con le armi?
Da che cosa devono essere guidate le scelte da compiere oggi? Perché se l’obiettivo è quello di operare per l’autodeterminazione del popolo iracheno e dunque se quello è il fine da perseguire, non il presidio degli interessi dei paesi occupanti, la permanenza in Iraq delle truppe è un ostacolo; se l’obiettivo non è il disimpegno della comunità internazionale, ma il suo impegno per quel fine, il ritiro delle truppe è la pressione più forte per raggiungerlo; la presenza dei caschi blu provenienti dai paesi arabi e da quelli che la guerra non hanno voluto, la via da perseguire.
Al contingente italiano, impegnato in operazioni militari estreme come sono le azioni di guerra, con il carico di sangue ad esse legate anche di donne e bambini, non si può imputare di fare ciò per cui sono stati mandati sotto comando anglo-americano: il punto è la constatazione politicamente rilevante che di guerra si tratta.
Le cittadine ed i cittadini italiani, partecipano ad una guerra attraverso il proprio contingente militare e ciò non viola solo la Costituzione Italiana, la Carta dell’ONU, il sentimento di pace espresso dalla maggioranza delle persone in vari modi, viola l’intelligenza, la razionalità politica di un paese che ha smarrito qualunque profilo di politica estera, qualunque dimensione internazionale, per schierarsi a prescindere dalla parte non degli americani, ma dell’amministrazione Bush e della sua ostinazione pre-elettorale di fronte al conclamato fallimento.
L’Italia è coinvolta politicamente e geograficamente nella guerra in Iraq, nel conflitto israelo-palestinese: la responsabilità politica, la cultura di governo sta oggi nel trovare le soluzioni non per fuggire da una trappola, ma per rifiutarne l’ineluttabilità.
Dire via le truppe, come diciamo e ONU subito, rifiuta l’ineluttabilità degli eventi, la spirale guerra-terrorismo e il ritorno indietro dal sistema delle Nazioni Unite, rifiuta la contrapposizione tra islamofobia e fondamentalismo islamico, rifiuta la real politik che diventa accettazione passiva e pericolosa.

Roma, 8 aprile 2004