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Pubblico impiego: bloccata la possibilità di fruire dei congedi parentali a ore

Inaccettabile ingerenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri che smentisce quanto di buono previsto in materia dalla finanziaria 2013.

11/10/2013
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Ennesima discriminazione del Dipartimento della Funzione Pubblica ai danni dei lavoratori pubblici che, oltre ad essere senza contratto dal 2009, in ragione del blocco contratti pubblici non possono fruire delle novità introdotte dal legislatore in tema di congedi parentali, per favorire la maternità e/o paternità attiva e responsabile.

Devono aver passato davvero un brutto quarto d’ora i dirigenti della funzione pubblica quando si è concretamente palesata la possibilità che anche per i dipendenti pubblici trovasse applicazione la fruizione del congedo parentale a ore. In anni caratterizzati dal blocco dei contratti e della contrattazione, dal congelamento delle retribuzioni e delle carriere, dai tagli sui buoni pasto e dalle trattenute per i giorni di malattia, una norma che poteva aiutare a migliorare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per i neo genitori della pubblica amministrazione stonava proprio, e così con grande tempestività il dipartimento della funzione pubblica, contraddicendo quanto espresso precedentemente dal ministero del lavoro con l'interpello 25 del 22 luglio 2013, ha bloccato il tutto spiegando che a suo parere "per l’applicazione della disposizione in questione l’amministrazione dovrà attendere il recepimento attraverso il contratto collettivo di comparto o la contrattazione quadro".   

Ma proviamo a ricostruire l’accaduto.

Con la legge numero 228 del 2012, recependo con appena qualche anno di ritardo la direttiva europea 18/2010, è stato modificato il "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità" (Decreto legislativo n.151 del 26 marzo 2001) introducendo la possibilità di fruire dei congedi parentali su base oraria.

Poiché però la legge prevede che sia la contrattazione collettiva di settore a stabilire le modalità applicative del congedo su base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa, è nato subito un primo problema applicativo per quanto riguarda il settore pubblico dato che la contrattazione collettiva nazionale era bloccata. A questo punto CGIL, CISL e UIL hanno avanzato istanza di interpello presso il ministero del lavoro in merito alla possibilità che la contrattazione collettiva di settore di secondo livello potesse intervenire nel disciplinare tale materia. Il ministero competente ha risposto che stante l’assenza di un esplicito riferimento al livello nazionale della contrattazione, non vi sono motivi ostativi ad una interpretazione in virtù della quale i contratti collettivi abilitati a disciplinare tale materia possano essere anche i contratti collettivi di secondo livello.

Ed è qui che entra in gioco il dipartimento della funzione pubblica, in risposta ad una richiesta di chiarimenti in merito alla possibilità di usufruire di tale istituto normativo, con una interpretazione del tutto opposta a quella espressa dal ministero del lavoro, negando questa possibilità per i pubblici dipendenti e subordinandola all’effettivo recepimento attraverso il contratto collettivo di comparto o la contrattazione quadro.

Ecco come una riforma senza costi aggiuntivi sulla finanza pubblica e che sembrava riscuotere un ampio consenso trasversale nella politica e tra le parti sociali e che soprattutto andava incontro alle esigenze di maggiore flessibilità per i neo genitori, viene affossata dall’arroganza e dalla rigidità di una sovrastruttura burocratica pubblica che, ormai resistente a tutte le stagioni della politica, decide in contrasto con quanto la legge stessa aveva voluto favorire! Sovrastruttura burocratica che, grazie alle elevate retribuzioni di cui godono, loro si, gli addetti (200 mila euro annui), non avrà certamente  problemi a trovare soluzioni individuali di maggiore flessibilità.

La FLC CGIL non ci sta. Respinge al mittente la lettura conservativa del Dipartimento della Funzione Pubblica, in netto contrasto con quanto stabilito invece dal Ministero del Lavoro, e si attiverà per riparare all’ennesimo inaccettabile torto ai danni dei lavoratori pubblici.