Convegno nazionale “Tutti a scuola almeno fino a 16 anni”

  • 17:00

    E' Luisella De Filippi, della segreteria nazionale della FLC Cgil, a concludere i lavori di questa giornata.

    In apertura del suo intervento sottolinea come giungano dalla società segnali forti che richiedono risposte politiche all’altezza dei problemi: la tendenza ad iscrivere i ragazzi che escono dalla terza media a istituti di istruzione secondari in una percentuale molto alta, superiore al 90%, l’alto tasso di conoscenza incorporato ormai in ogni lavoro che rende sempre più difficile distinguere fra lavoro manuale e lavoro intellettuale, la necessità di possedere nuovi strumenti culturali per non assorbire acriticamente modelli di comportamento che la comunicazione mass- mediatica impone, rendono indispensabile fornire a tutti i ragazzi, almeno fino ai 16 anni di età, un livello culturale più alto per garantire i diritti di cittadinanza, la capacità critica, l’autonomia culturale, in sintesi per mettere le basi perché l’autonomia e la libertà possano esercitarsi nel resto della vita.

    Anche i fenomeni sociali più preoccupanti, che la cronaca ci offre quotidianamente e che ricadono sulla scuola, spesso priva di strumenti per fronteggiarli, sono oggetto di interventi di emergenza mentre occorrerebbe una progettualità più ampia che sappia parlare al Paese e al suo futuro.

    C’è poi il fenomeno della dispersione che più direttamente parla alla scuola e alla professionalità dei suoi docenti, su cui noi vogliamo scommettere, fiduciosi nel grande potenziale che anche le esperienze presentate qui oggi testimoniano.

    Il pregiudizio ideologico che molti rappresentano con la necessità di canalizzare in percorsi diversi quegli alunni che dovrebbero possedere intelligenze diverse si può smontare perché non ha fondamento scientifico e i fatti dimostrano che sono invece le condizioni sociali e di contesto scolastico che fanno la differenza. No quindi alla diversificazione dei percorsi, né espliciti né mascherati, si all’investimento delle istituzioni nella scuola che, in caso diverso, non sarà mai spinta a riflettere su se stessa e a cambiare.

    Affrontiamo i problemi che oggi appesantiscono inutilmente il lavoro docente per favorire una nuova organizzazione del lavoro funzionale ai nuovi obiettivi.

    Rivendichiamo una grande campagna formativa che sostenga i necessari cambiamenti nella didattica, ci aspettiamo un’attenzione della politica sul progetto che deve avere la scuola per quale società del domani.

    Rompiamo il silenzio e le timidezze che hanno chiuso finora il mondo della scuola, è necessario promuovere un grande dibattito che muova le sensibilità e motivi l’agire professionale.

    Tutto questo non potrà che far bene alla democrazia rivitalizzando la partecipazione e l’interlocuzione istituzionale, da cui rivendichiamo trasparenza delle azioni.

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  • 14:30

    I lavori del pomeriggio riprendono con la tavola rotonda coordinata da Marina Boscaino, giornalista del quotidiano l’Unità, alla quale partecipano Antonio Rusconi, Responsabile scuola della Margherita, Loredana Fraleone, Responsabile scuola PRC e Piergiorgio Bergonzi, Responsabile scuola del PdCI.

    Sostanzialmente sono state tre le questioni poste agli interlocutori:

    1. il duro attacco di questi ultimi mesi al mondo della scuola, anche da parte dei media, ed il silenzio del mondo politico e della società civile.

    2. Il problema della dispersione scolastica che nella Legge Finanziaria viene affrontato con la possibilità di istituire progetti triennali fuori dalla scuola gestiti da enti accreditati a livello nazionale, mentre su questo argomento ci si aspettava maggiori investimenti nella scuola

    3. Nella scuola media si configurano elementi di orientamento ma anche di divisione sociale per le scelte che si intraprendono. Sarebbe necessario rivedere il curricolo dagli 11 ai sedici anni con un chiaro e nuovo progetto globale.

    Di seguito i contributi alla tavola rotonda

    Antonio Rusconi, Responsabile scuola Margherita

    L’attacco agli insegnanti è una pura e semplice campagna di denigrazione che ha un obiettivo puramente politico. Per fortuna la scuola funziona nonostante la politica e resiste a queste campagne. C’è però un problema di una difficoltà anche di questo Governo a farsi capire dalla scuola. C’è una difficoltà di ascolto. Dobbiamo lavorare in una prospettiva di 5 anni attraverso un patto educativo che tenga dentro tutte le varie proposte sulla scuola e la formazione in modo che si capisca il progetto complessivo e non riviva ogni singolo provvedimento come scollegato da progetto complessivo.

    Sulla questione dei percorsi triennali c’è discussione nel centro sinistra. L’elemento di chiarezza è che in finanziaria oltre all’elevamento dell’obbligo c’è il divieto di lavoro fino a 16 anni. Anche questa non è stata una scelta facile dopo le degenerazioni e le falsificazioni del diritto/dovere della Moratti che però permetteva l’accesso al lavoro fin dai 14 anni.

    Sul modo come assolvere l’obbligo oltre alla discussione nella coalizione si sono determinate frizioni nella conferenza stato-regioni dove comunque la maggioranza è di centro sinistra.

    La soluzione adottata è una soluzione seria. Non si tratta di un obbligo fine a se stesso, ma con una terminalità: l’acquisizione almeno di una qualifica.

    In sostanza lo stato può accreditare percorsi almeno triennali che forniscono qualifiche riconosciute. Resta aperto il conflitto con le Regioni sull’applicazione del titolo V, sul quale anche nel centro sinistra c’è qualche segnale di pentimento.

    Le qualifiche triennali rilasciate dalle regioni anche per i corsi degli attuali istituti professionali possono essere un’occasione per innalzare il livello anche di quelli della formazione professionale. Il sistema duale previsto dalla L. 53 è stato in sostanza smontato dal decreto del 31 gennaio che cancella la liceizzazione. L’obbligo a 16 anni resta comunque una tappa intermedia.

    Nella commissione di indagine sulla formazione professionale proposto dall’onorevole Aprea e che il Presidente Folena ha istituito, abbiamo audito solo assessori del centro sinistra che chiedono più soldi per la formazione professionale. Con la norma in finanziaria è possibile pilotare i finanziamenti sui percorsi triennali che rispondono agli standard nazionali in modo da elevare la qualità della formazione professionale, per la quale comunque è necessario un discorso di riqualificazione complessiva. E’ comunque utile come chiedono i colleghi che ci sia un momento di confronto di tutta l’Unione su questi temi per la ricerca di una sintesi delle posizioni anche attraverso le necessarie mediazioni.

    Piergiorgio Bergonzi, Responsabile scuola PdCI

    A fronte degli attacchi alla scuola non c’è stata una reazione adeguata da parte del centro sinistra.

    Occorreva controbattere le accuse attraverso scelte. Alle scuole si dovevano dare le risposte e gli strumenti che le scuole si aspettavano. In finanziaria, invece, siamo stati costretti a fare tagli dolorosissimi – dovuti alla situazione ereditata – contrari a quello che le scuole aspettano.

    Ora dobbiamo fare il punto, dopo la Finanziaria la situazione economica si è presentata meno grave di quanto giudicato. Bisogna fare scelte subito per limitare un poco i tagli.

    Vuol dire che il Governo dà alla scuola la priorità che le va data. La campagna mediatica temo sia tesa a screditare la scuola pubblica verso una deriva privatistica.

    Tocca invece allo Stato il compito di finanziare la scuola. Su questo aspetto il giudizio su un’autonomia finanziaria data alle scuole è del tutto negativo.

    Il ruolo dell’obbligo da svolgersi in Formazione professionale piuttosto che nell’istruzione è l’ostacolo che per un trentennio ha impedito la riforma della secondaria superiore. Quando l’Unione si è presentata alle elezioni si è giunti faticosamente ad una sintesi: tutti a scuola fino a 16 anni in un biennio unitario (una mediazione rispetto alla richiesta di obbligo a 18 anni).

    Di fronte ad un cambiamento del programma, non si può far altro che discuterne politicamente al tavolo dell’Unione. In tal senso il PdCI si è già mosso. Decisivi sono i passi dei prossimi mesi, il programma è chiaro e ad esso va data coerenza; le ambiguità vanno chiarite subito. Siamo in tempo. Avremmo dovuto dare molti più segnali di discontinuità rispetto alla politica del Governo precedente. Se si apre un varco verso la Formazione professionale questo comporta l’affermazione di un modello di scuola che separa ed esclude.

    Sessanta anni fa la Costituzione prevedeva l’obbligo scolastico per “almeno otto anni”. Dopo tanto tempo è il minimo allungarlo di altri due, se non altro per commisurarci ai tempi che viviamo.

    La Formazione professionale può essere portata alla fascia di età sopra i sedici anni.

    La riforma della scuola media unica non ha saputo/potuto risolvere situazioni cruciali, come gli elementi di selezione evidenziati nella domanda.

    Il ruolo degli insegnanti è stata una questione decisiva. Gli insegnanti della scuola media non si erano preparati per insegnare in una scuola dell’obbligo, ma per un tipo di scuola selettiva. Nessuno ha provveduto ad una formazione specifica. Da questo dobbiamo ricavare una grande attenzione da giocarsi in questa fase nei confronti della formazione e dell’aggiornamento dei docenti coinvolti nell’allungamento dell’obbligo.

    Sulle indicazioni nazionale della Moratti: bisogna tagliarle via e ripartire da quel che già abbiamo, i documenti Berlinguer - De Mauro.

    Sul versante politico oggi abbiamo avuto la misura delle difficoltà. Ma la disponibilità ad affrontare il tema al tavolo dell’Unione espressa da Rusconi è positiva e non era scontata.

    Ribadisco due concetti già espressi:

    • è necessario che il Governo dia da subito dei segnali per attenuare i tagli previsti dalla Finanziaria;

    • bisogna agire, riguardo l’obbligo, nel rispetto della Costituzione e del programma dell’Unione.

    Loredana Fraleone, Responsabile scuola PRC

    Alle sollecitazioni della moderatrice, Loredana Fra leone risponde sostenendo che c’è forte delusione nel mondo della scuola, anche rispetto alle aspettative suscitate dal programma dell’Unione che su molti punti non trova coerenza nelle decisioni assunte da questo Governo.

    Va restituita centralità al sistema di istruzione, contro chi vuole invece dimostrare che la scuola pubblica sia destinata ad una deriva. Per fare questo ci vogliono atti concreti, non certo l’aumento del numero degli alunni per classe, e neppure risposte semplicistiche come ad esempio si sta facendo a proposito di bullismo.

    Di scuola non si occupa in modo adeguato neppure la stampa, che ne scrive solo in presenza di “scandali”. Il rischio è che si rimanga al palo della scuola morattiana, se non si dà seguito agli impegni sottoscritti nel programma.

    Ciò vale in modo particolare per la questione dell’obbligo di istruzione,che nel programma dell’Unione aveva trovato ben altra soluzione, rispetto a quella poi assunta in Finanziaria. In tal senso nei prossimi giorni ci sarà un incontro tra il partito della Rifondazione comunista ed il Ministro della P.I., perché non è accettabile, per quel partito, la possibilità di adempimento dell’obbligo di istruzione anche nella Formazione professionale, in quanto in contrasto con il programma, come sembra invece prefigurare il testo della Finanziaria.

    Per quanto attiene ai contenuti del percorso curricolare 11-16 anni, bisognerà fare una riflessione molto seria sul motivo per il quale a fronte di programmi, quelli del ’79, avanzati e di alto profilo, essi non abbianotrovato piena ed adeguata realizzazione.

    Ma non è solo questione di contenuti; va sicuramente rivista l’organizzazione del lavoro della scuola, ancora troppa basata sull’insegnamento frontale, con soluzioni orarie rigide, ed un’impostazione del lavoro a carattere individuale. A scuola occorre diffondere la cultura del lavoro collegiale ed in tal senso il rinnovo contrattuale prossimo dovrebbe ricercare soluzioni che sostengano questa impostazione.

  • 13:30

    I lavori vengono sospesi e riprenderanno con la tavola rotonda alle ore 14,30.

  • 12:15

    Le buone pratiche: biennio unitario subito

    Sulle buone pratiche portano la loro esperienza di biennio unitario le scuole "reali"

    Cesare Grazioli, docente ITG Pascal di Reggio Emilia

    I vantaggi del biennio unitario, sulla base dell’esperienza del Pascal

    • Evita le scelte troppo precoci, inevitabilmente influenzate dal retroterra socio-culturale familiare più che dalle reali propensioni degli adolescenti;

    • Consente di distribuire la delicata funzione dell’orientamento, attualmente concentrata nellafase scolare precedente il biennio, collocandola in gran parte entro il biennio stesso;

    • Evita una canalizzazione rigida e precoce, già a 14 anni, e favorire un passaggio più graduale dalla scuola di base agli indirizzi triennali;

    Gli aspetti dell’esperienza del Pascal di Reggio Emilia che possono essere generalizzati nelle scuole secondarie superiori

    • La struttura del biennio unitario, orientativo e propedeutico ai successivi indirizzi triennali

    • Una struttura oraria del biennio comprendente una “area comune” (o “area di base”) e di una “area opzionale” (o “area di indirizzo”).

    • Un numero contenuto di materie, per evitare l’eccessiva frantumazione del quadro orario e le pesanti disfunzioni che essa comporta, sia sul piano organizzativo sia nei processi e nei risultati dell’apprendimento

    • L’individuazione delle materie dell’area comune sulla base di un duplice criterio:che siano materie già presenti nel curricolo del ciclo scolastico precedente; e che, nel loro insieme, coprano le principali aree dei saperi.

    • Le materie “opzionali”, in numero di due sia in classe prima sia in classe seconda,individuate dai singoli Istituti anche in funzione del numero e della tipologia dei successivi indirizzi triennali (dando per scontato che in ogni Istituto preveda dopo il Biennio un certo numero di Indirizzi: almeno due o tre, e non più di quattro o cinque).

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    Guido Boschini, docente ITIS Cobianchi di Verbania

    Negli anni ’70 l’Istituto tecnico Cobianchi di Verbania cominciò una sperimentazione di biennio onnicomprensivo, che avesse caratteristiche di orientatività, pre-professionalità, gestione sociale e tempo pieno. Per scuola onnicomprensiva si intendeva una scuola secondaria unica che permettesse agli allievi di individuare piani di studio personalizzati ma non troppo specifici, in modo da permettere loro di scoprire e coltivare i propri interessi e di rimandare la scelta della scuola all’età di 16 anni. La scuola orientativa si proponeva non solo di attuare attività di orientamento in vista della scelta del triennio specialistico, ma anche di favorire le potenzialità individuali e lo sviluppo della personalità in tutti i suoi aspetti. Nonostante questo biennio fosse stato progettato anche come terminale, si proponeva di essere non professionalizzante ma pre-professionalizzante, fornendo competenze di base flessibili ed aperte al mutamento scientifico e tecnologico da completare eventualmente in corsi professionalizzanti successivi. La gestione sociale infine si proponeva di rendere partecipi genitori e studenti alle scelte di politica scolastica e di didattica. Per raggiungere tutti questi ambiziosi obiettivi venne pensata una struttura complessa composta da aree disciplinari, interdisciplinari, opzionali ed elettive, che negli anni è stata semplificata soprattutto per motivi di costi. Dopo più di trent’anni nel nostro Istituto si continua a sperimentare l’evoluzione di questo biennio, che ha ancora le caratteristiche di onnicomprensività e pre-professionalità, anche se l’orientatività e la gestione sociale sono andate via via diminuendo.

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    Gabriele Belotti, Dirigente scolastico ITCS “Primo Levi”, Bollate (Milano)

    Il biennio orientativo

    Il Biennio orientativo ha finalità di consolidamento e approfondimento della formazione di base promossa dalla scuola media, orientamento e preparazione rispetto al triennio di specializzazione professionale (Biologico, Chimico, Economico, Linguistico). Il Progetto educativo mira a crescita culturale generale, sviluppo di una professionalità “polivalente”, formazione della persona e del cittadino e sviluppo di capacità di orientamento. L’ipotesi sottostante prevede il superamento della tradizionale dicotomia tra il versante culturale retorico-letterario e quello scientifico (all’inizio non si sceglie l’indirizzo ma la scuola). Il quadro orario si articola, pertanto, tra l’area linguistico-espressiva (Italiano, due Lingue straniere, Ed. fisica), l’area storico-antropologico-sociale (Storia, Sc. sociali) e l’area matematico-scientifica (Fisica, Matematica, Chimica e Scienze naturali). La specificità orientativa del Biennio si esprime attraverso un modulo (33 ore) nella classe prima affidato all’insegnamento delle Sc. Sociali,4 ore di AOP (Area Orientativa Propedeutica) in seconda (approccio orientativo con due indirizzi nel 1° quadrimestre e, nel 2° quadrimestre, uno propedeutico con l’indirizzo che poi si vorrà seguire nel triennio) e infine il supporto di numerose figure interne (FS di coordinamento nello staff, tutor di classe, FS orientamento e riorientamento, FS stranieri, GLH) ed esterne (servizio psicologico, mediatori linguistici, sportello Provincia, Associazione genitori).

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  • 11:50

    Innalzamento dell'obbligo di istruzione e finanziaria

    L’on.le Alba Sasso, vice presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, esprime forte apprezzamento per appuntamenti come questo convegno, che tendono a presentare e valorizzare il patrimonio di esperienze, proposte e riflessioni del mondo della scuola e delle sue rappresentanze rispetto alle modalità di realizzazione dell’obbligo di istruzione.

    Rispetto alle norme sul sistema di istruzione, contenute nelrecente pacchetto sulle liberalizzazioniapprovato dal Consiglio dei Ministri, è necessario chiarire alcune questioni, vista la loro ambiguità, a partire dall’annosa questione del rapporto con la Formazione professionale.

    In tal senso l’on. Sasso condivide il senso della proposta della FLC Cgil sulla identità e funzione del sistema di Formazione professionale, che delinea con chiarezza i compiti di un sistema diverso da quello dell’istruzione. E’ questa la strada da percorrere e non quella di una concorrenza tra sistemi con funzioni diverse.

    In Finanziaria è chiaro che si eleva l’obbligo di istruzione a 16 anni; l’ambiguità sta nel comma successivo laddove in particolare si parla di regime transitorio, nel quale sopravvivono i percorsi triennali, istituiti per sperimentare il morattiano diritto dovere.

    Ma prima della Finanziaria c’è il programma dell’Unione, nel quale si è raggiunta una mediazione alta rispetto al biennio unitario. Quella è la prospettiva per la realizzazione dell’elevamento dell’obbligo di istruzione.

    Aspetto preoccupante è che, essendo le norme sull’istruzione contenute nel pacchetto sulle liberalizzazioni, saranno discusse nella Commissione Attività produttiva, rispetto alla quale la Commissione istruzione esprimerà soltanto un parere “rinforzato” (ne dovrà tenere conto). Ma è evidente che la discussione di merito sarà condizionata da questo vulnus.

    L’iter legislativo, a parere dell’on. Sasso, dovrà essere accompagnato dalla riflessione sul biennio unitario, di cui il convegno di oggi può costituire una tappa rilevante.

    La dispersione scolastica va combattuta là dove nasce e questo richiede un impianto complessivo unitario, 3-16 anni,a partire dalla generalizzazione della scuola dell’infanzia, prevista nel programma di Governo e di cui si è persa traccia nei recenti provvedimenti.

    Così come il decreto legge ed il decreto legislativo non possono esaurire il bisogno di un dibattito approfondito sull’intera questione dell’istruzione tecnica e professionale, ferma alla fine degli anni novanta.

    Ciò è necessario perché le decisioni in materia non possono essere schiacciate sui bisogni dell’impresa, ma vanno inserite nel più generale disegno sul senso della scuola oggi.

    Sui Poli, è forte l’ambiguità rispetto ai percorsi triennali (sono ricompresi oppure no?)ma la stessa discussione sugli IFTS non può essere liquidata così sbrigativamente, perché occorre essere espliciti sul ruolo della presenza delle imprese, ma anche sul loro raccordo con le lauree triennali, che sembrano essere preferite sul mercato del lavoro.

    Anche sulla proposta degli Organi collegiali, anch’essa destinata ad essere discussa in Commissione Attività produttive, occorre essere vigili, rispetto alle soluzioni che si andranno a definire, con l’auspicio che si preveda una delega che dovrebbe riportare la discussione nei luoghi istituzionali più appropriati.

    Infine, nel concludere il suo intervento, l’on.le Sasso ribadisce la necessità di un dibattito e di un confronto allargato fra le diverse componenti del mondo della scuola, affinché due elementi siano sicuramente garantiti nelle soluzioni per l’obbligo di istruzione che si andranno a definire:

    1. uguaglianza delle opportunità e quindi equità per tutti. Non è solo l’indicazione di don Milani, ma dell’Unione Europea , che in tutti i suoi documenti ribadisce essere quelle le finalitàdei sistemi di istruzione dei paesi europei;

    2. adempimento dell’obbligo di istruzione a scuola.

  • 11:30

    L'ultima comunicazione della mattinata è affidata al prof. Bruno Losito - docente di pedagogia sperimentale - Università Roma Tre

    Due gli assi portanti dell’intervento di Bruno Lo sito sul tema “Dai saperi alle competenze, per i diritti di cittadinanza”, che ha in apertura sottolineato che in un contesto in cui le conoscenze sono soggette ad una rapida obsolescenza, diventa indispensabile agire perché i processi di apprendimento siano processi di metacognizione, caratterizzati dalla consapevolezza del soggetto che impara sia riguardo il percorso già effettuato sia riguardo l’individuazione dei propri bisogni formativi e la prospettiva per il loro soddisfacimento.

    Il primo asse è stato costituito da un excursus, in riferimento ad esperienze europee ed internazionali, rispetto quali competenze sono giudicate necessarie per l’esercizio attivo del diritto di cittadinanza.

    Le esperienze europee le hanno diversamente definite: o come competenze trasversali (progetto De.Se.Co.: usare strumentazione simbolica in maniera attiva, autonomia, relazioni interpersonali…) o come competenze specifiche disciplinari (Pisa: livelli indispensabili in lettura, matematica, scienze) o ancora miranti alla costruzione della cittadinanza democratica in una precisa fase storica degli anni ’80, o per la costruzione della cittadinanza attiva.

    In ogni caso le competenze per la cittadinanza non riguardano solo la fascia degli studenti, ma anche la popolazione adulta per la loro partecipazione attiva alla vita sociale e in tal senso appartengono alle più generali competenze sociali.

    Un secondo asse di ragionamento ha riguardato una riflessione su che cosa avviene dentro le nostre scuole, per vedere se i processi sono coerenti con la costruzione dei diritti di cittadinanza. Inevitabile riscontrare difficoltà, sia sul versante degli esiti delle indagini Ocse-Pisa, sia sulla caratterizzazione in senso democratico dell’organizzazione dei processi di insegnamento/apprendimento funzionali alla costruzione delle competenze per la cittadinanza, sia in riferimento alla formazione specifica in questa direzione del personale.

    Una riflessione che non è finalizzata alla critica, ma alla messa a punto della definizione di che cosa ci serve per raggiungere lo scopo.

    Se si lavora per le competenze per la cittadinanza bisogna pensare all’organizzazione dei curricoli nella prospettiva di un’educazione per tutto l’arco della vita. È un nodo non ancora abbastanza indagato, ma vanno affrontati, in questa ottica, la qualità della didattica delle relazioni e dei processi decisionali che avvengono dentro la scuola, e in generale quale organizzazione è funzionale all’obiettivo. È necessario cioè un ambiente di apprendimento coerente con la partecipazione attiva alla vita democratica.

    Le competenze per la cittadinanza sono comuni e devono essere costruite in un ambiente comune a tutti gli alunni.

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  • 11:10

    Interviene Domenico Chiesa , della Segreteria tecnica del viceministro Bastico.

    Presenta un modello di progetto unitario nella scuola secondaria superiore. Partendo dalle indicazioni presenti nella legge finanziaria e dal decreto presentato dal consiglio dei Ministri da pochi giorni, afferma che si puòipotizzare un progetto unitario di biennio superiore, ma è anche necessario aprire un confronto il più ampio possibile.

    In premessa bisogna chiarire quale significato si dà al termine istruzione. Fino ad oggi si è intesa l’istruzione di esclusiva competenza della scuola. L’istruzione formale fino a che età deve essere erogata a tutti? Fino a quale livello si fa garante lo Stato nell’assegnarla? L’obbligo scolastico e il suo innalzamento è una grande responsabilità per lo Stato.

    L’obiettivo da raggiungere deve essere quello di considerare l’obbligo scolastico a 16 anni così come oggi si considera l’assolvimento dell’obbligo per un ragazzo di 10 anni in difficoltà. L’obbligo all’istruzione formale è l’obbiettivo di una battaglia culturale da portare avanti, oggi esistono resistenze anche all’interno del corpo docente stesso.

    C’è la necessità di un’ampia discussione, l’istruzione formale fino a 16 anni non è un optional, è una opportunità da dare ai giovani. Oggi c’è una forte discussione sulle forme d’istruzione di “non scuola”, bisogna chiarire non solo la terminologia ma i contenuti.

    La scuola va riformata, non può essere intesa solo liceale, ma rispondere alle nuove esigenze, la scuola è istruzione senza nessuna ambiguità. Non si può continuare a considerare la scuola liceale generalista e quella tecnica vocazionale. Il modello del nuovo biennio deve scaturire dalle elaborazioni presenti e dalla più ampia discussione tra i soggetti che sono artefici del processo. L’idea del nuovo biennio va inserito in una prospettiva generale di nuova scuola superiore, il ragazzo a 14 anni effettua una prima scelta all’interno di ambiti d’indirizzo, con una forte valenza culturale. Scelta fatta su un settore di saperi su cui confrontarsi nel percorso, alla fine del biennio sceglie il percorso successivo che potrà essere quello scolastico o quello rivolto ad una qualifica professionale.

    Un punto importante diventa il curricolo del biennio, deve essere considerato come il completamento di acquisizioni di competenze, un ambito culturale su cui comincia a confrontarsi il ragazzo. Maggiore è l’ambito maggiori sono le opportunità di scelta di orientamento per i percorsi successivi.

    Il problema della dispersione deve essere affrontato dalla scuola con maggiore responsabilità e non con la costruzione di percorsi esterni, bisogna intervenire sulla qualità della scuola. Oggi la scuola ha una grande opportunità che non deve perdere, bisogna ripensare il percorso scolastico tutto, da 3 a 19 anni. In questo contesto una revisione di quello da 6 a 16 anni , tra 14 e16 anni in particolare l’allievo necessita di una rimotivazione; bisogna garantire al ragazzo il rispetto per quello che è:un giovane in cerca delle sue competenze.

    Quale rapporto tra scuola, formazione professionale e lavoro? Scuola e formazione sono due sistemi a confine, il percorso del biennio non si può mescolare con la formazione professionale ma integrarsi per quello che potrà essere il percorso da intraprendere a 16 anni per la qualifica professionale.

    Il processo della scuola verso la qualità è un’assunzione di responsabilità della scuola ma deve essere munita di strumenti di cui oggi è sprovvista.

  • 10:50

    La prima comunicazione è affidata a Benedetto Vertecchi,
    Professore ordinario di pedagogia sperimentale - Università di Roma Tre.

    La scuola di solito si pone di fronte al mutamento in due modi:

    1. anticipare i comportamenti sociali (riforma del 1962 scuola media unica)

    2. cercare di regolare/disciplinare.

    L’innalzamento dell’obbligo quale cambiamenti nel comportamento sociale vuole indurre dato che il 97% vanno già a scuola?

    Vertecchi fa notare una generale caduta e stato di crisi del sistema scolastico dell’occidente capitalistico, mentre un emergere, soprattutto in ordine alle materie scientifiche dei paesi del terzo mondo.

    Occorre dire, quindi, che la scuola cresce se a livello sociale si pone nella scuola un’idea di progresso/miglioramento e occorre aver presente che l’educazione è un processo i cui effetti si misurano su tempi lunghi e nell’interazione con il contesto sociale.

    Come la società oggi considera la scuola e quali fattori incidono sui profili dei valori dei giovani di oggi? E’ evidente che c’è una scollatura e che i valori circolanti divergono da quelli proposti dalla scuola, ai giovani manca soprattutto la competenza simbolica.

    L’allungarsi della vita richiede che l’educazione dia solide basi e strumenti per “sostenere” e affrontare i molti anni che seguono il periodo di apprendimento nella scuola.

    I limiti della riforma Moratti stavano infatti nella richiesta precoce di scelte di vita. Ci sono tempi di cambiamento delle scienze formali che sono lenti, perché si evolvono per accumulo sul corpo delle conoscenze, tempi rapidissimi di cambiamento per la tecnologia le cui conoscenze sono volatili.

    Occorre allora selezionare la proposta educativa per una scolarizzazione lunga affinché si possa essere capaci di cogliere il cambiamento e si abbiano le parole per capirlo e per interpretarlo.

    Innalzare l’obbligo deve significare quindi voler consentire nel resto della vita pensiero, autonomia, libertà e ciò è un punto nodale per la credibilità di una società.

    L’innalzamento dell’obbligo è quindi un progetto e una condizione, ma dobbiamo sempre tenere presente che la spinta all’educazione non nasce da dettagli tecnici ma per avere motivazione deve avere orizzonti di senso e prospettiva.

  • 10:20

    La relazione introduttiva di Pino Patroncini, della FLC Cgil nazionale, tocca diversi punti dell’argomento obbligo spaziando anche sui recenti provvedimenti relativi al settore tecnico e professionale e alle “fondazioni”.

    Viene rivendicato il carattere scolastico dell’innalzamento dell’obbligo, in quanto la parola “istruzione” è più strettamente codificata in tal senso. Nondimeno seppur in ritardo anche l’Italia con la finanziaria arriva all’obbligo a 16 anni, prima tappa per la FLC Cgil per un innalzamento a 18. Un obiettivo agognato che ha dovuto fare i conti con resistenze che si sono espresse a livello nazionale ma anche europeo nelle politiche dei governi di destra fondate sulla separazione dei percorsi scolastici.

    Tracce di questa separazione restano anche nell’attuale legge con la sopravvivenza dei corsi triennali, giustificata col pretesto della lotta alla dispersione, e di un lessico e una struttura complessiva propri dell’impianto morattiano. Questa conservazione non svela solo una scelta di compromesso ma anche un pregiudizio di fondo anacronistico perché non tiene conto dello spostamento dei confini tra lavoro manuale e lavoro intellettuale determinato dalla terziarizzazione dell’economia e dall’informatizzazione.

    La stesse scelte adottate nei recenti provvedimenti volti ad affrontare il pur condivisibile rafforzamento degli indirizzi tecnico-professionali, fondate sulla costituzione di poli tecnico-professionali, rivela questo pregiudizio separatista e un anacronismo produttivista.

    L’ipotesi duale, ancorché depotenziata rispetto alle intenzioni originarie della Moratti, è perciò ancora presente nel testo di legge ed è ancor più enfatizzata dall’eccezione prevista per la provincia autonoma di Bolzano dove addirittura l’obbligo si può assolvere nell’apprendistato.

    Il caso di Bolzano dà modo di fare un rapido excursus sui sistemi europei di obbligo scolastico e di alternanza scuola-lavoro. In Europa, dove pure non mancano casi di segregazione precoce, non esiste però fino al compimento dell’obbligo la pratica di una esternalizzazione dei percorsi apprenditivi rispetto alla scuola.

    E’ implicita quindi la necessità di limitare i danni affidando i problemi della battaglia contro la dispersione non a enti esterni alla scuola ma agli strumenti e alle pratiche dell’autonomia scolastica.

    La relazione sottolinea poi la debolezza della discussione in merito: in Italia si parla molto di scuola ma poco di educazione. Al contrario i tempi lunghi dell’acquisizione dell’abitudine a un obbligo innalzato, come già dimostrato dalla tribolata storia dell’obbligo scolastico in Italia, e la necessità di fare fronte a nuovi problemi di convivenza civile richiedono meno timidezze e più decisione e risorse. L’argomento risorse da modo a Patroncini di criticare i recenti provvedimenti in fieri su donazioni e organi collegiali, ribadendo ancora una volta il forte ruolo culturale sociale e civile dell’obbligo scolastico.

    Scarica la relazione integrale

  • 10:10

    E’ Fiammetta Colapaoli, dell’esecutivo di Proteo Fare Sapere, ad aprire e presiedere i nostri lavori. Nel salutare i moltissimi partecipanti, informa che Fulvio Fammoni, Segretario nazionale della CGIL ed Enrico Panini, Segretario generale della FLC Cgil non potranno partecipare ai lavori, come previsto nel programma, in quanto impegnati in riunioni di carattere confederale in preparazione dei prossimi incontri del Governo con i sindacati.

    Sottolinea come il titolo scelto per il Convegno testimoni delle scelte fatte e delle posizioni assunte dalla FLC nella chiara e dura opposizione, insieme al grande movimento nato dalle scuole, alla controriforma Moratti. Dobbiamo rilevare, ha aggiunto, che al nostro percorso lineare non abbiamo ancora visto corrispondere una uguale chiarezza negli atti assunti dal Governo.

    Siamo qui oggi per ribadire l’innalzamento dell’obbligo scolastico per tutti fino a 16 anni e per trovare la condivisione utile a delineare un percorso netto che faccia chiarezza per soddisfare i bisogni della scuola che da troppi anni vive una grande incertezza.