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Appunti dal primo Forum Nazionale dell'Educazione - lavori del 23 ottobre 2004

I lavori del 23 ottobre 2004

23/10/2004
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I lavori del 23 ottobre 2004 Vai alla giornata del 24

Sono le 10 del mattino, quando con la canonica abitudine di una mezz’ora di “ritardo accademico”, si riempie la platea del Teatro Puccini di Firenze, costruzione in stile regime, annessa alla vecchia manifattura tabacchi nei pressi del parco delle Cascine.
Ha preso così il via sabato scorso il Primo Forum nazionale dell’Educazione , voluto e organizzato dal Tavolo “Fermiamo la Moratti” che unisce numerose organizzazioni professionali, politiche e sindacali tra cui la FLC Cgil.
Vittorio Cogliati Dezza di Legambiente (in sostituzione di Sergio Giovagnoli, che arriverà più tardi a causa di un guasto alla motocicletta) si è incaricato di presentare i lavori.
Ad aprirli è stato il saluto dell’assessore all’istruzione del comune di Firenze Daniela Lastri che ha richiamato il ruolo svolto dagli enti locali nella “ riduzione dei danni” prodotti dalla Legge 53 e dal decreto 59 e che l’assessore ha individuato nel precocismo, che scarica su scuole e comuni nuove responsabilità e nei tagli alle risorse che mettono in difficoltà sia l’autonomia delle scuole che la possibilità dei comuni di assolvere ai propri compiti verso la scuola.

Firenze-Londra-Firenze

Poi Giovagnoli, che nel frattempo ha preso il suo posto alla presidenza del forum, ha introdotto la parte della discussione dedicata al Social Forum Europeo di Londra, un argomento che suscita sicuramente la curiosità dei molti presenti che per ovvi motivi non hanno potuto essere presenti all’appuntamento nella capitale britannica. Lo hanno raccontato Nicola Tanno, studente dell’UdS, Pino Capasso dei Cobas, Wolfango Pirelli segretario regionale lombardo della Flc CGIL e Fabio Marcelli dell'As.SUR. Ma prima Giovagnoli ha sottolineato la riuscita dell’appuntamento londinese, anche se non ai livelli della fortunata e ancora ineguagliata edizione fiorentina di due anni fa e il maggior spazio che, rispetto alle precedenti edizioni, vi hanno avuto i temi dell’istruzione e dell’educazione. Una scadenza a cui lo stesso Tavolo “Fermiamo la Moratti” si era presentato con la proposta di una giornata europea di lotta per la scuola.
Lo studente Nicola Tanno, ricordando il ruolo che l’UdS sta svolgendo all’interno dell’organizzazione mondiale degli studenti per tenerla collegata al Social Forum, mette in luce l’importanza della scoperta del momento internazionale come nuovo campo di lotta su cui misurare il movimento degli studenti: non solo Moratti, dunque, ma anche il WTO, la Banca Mondiale e i poteri forti intenazionali in genere, i quali vogliono mettere le mani sulla scuola. Di questo momento sarà testimonianza la giornata di lotta internazionale del 17 novembre prossimo che riguarderà gli studenti di 11 paesi europei, asiatici e latinoamericani, ma lo è anche la proposta di una Carta europea dei diritti degli studenti.
Secondo Capasso il Forum di Londra ha individuato tre tendenze di fondo nella scuola europea: il potenziamento delle scuole private e della presenza dell’impresa nelle scuole; lo sviluppo dell’aziendalizzazione delle scuole; l’utilizzo in questa direzione di decentramento e autonomia. Ai due estremi di questo processo si collocano da un lato la Turchia, dove la cosa è vissuta in termini di tagli (fino al 35% degli investimenti nella scuola!) e di esclusione, e dall’altro la Gran Bretagna dove gli effetti sono trasformazione delle scuole in Spa, accentuazione di un controllo centralistico e sempre più standardizzato, precarizzazione degli stipendi degli insegnanti. La Costituzione europea stessa tratta la scuola in senso mercantilistico per cui occorrrebbe una spcie di Contro-Carta. Sull’iniziativa da assumere il Social Forum di Londra si è diviso tra i fautori dell’indizione di un forum specifico sull’educazione (Francesi e britannici) e fautori di una giornata di manifestazione europea (Italiani, spagnoli, portoghesi).
Secondo Pirelli il Forum di Londra ha manifestato maggior consapevolezza sui temi della scuola, ma anche molti limiti: mancavano le realtà scandinave che sono quelle col sistema pubblico più solido e quelle dell’Est dove al contrario i processi di privatizzazione sono galoppanti; c’è stata molta denuncia e poca proposta anche per l’assenza di temi specifici come quello della laicità, molto importante in Francia e anche in Italia, e quello dell’integrazione ( handicap, intecultura ecc.); è mancata la capacità di individuare un’iniziativa. La tendenza generale è comunque quella per cui la scuola per tutti non è più garantita, perché la privatizzazione anche nella forma dello spostamento sulle famiglie non è in grado di garantire, neppure nei paesi più ricchi, ciò che garantiva il pubblico, c’è ovunque una riduzione degli investimenti e questo è problematico soprattutto sul pezzo secondario che è il pezzo più cruciale per le economie e a cui gli industriali, come succede in Italia, dedicano in realtà più attenzione. Bisogna- ha detto Pirelli - invertire le tendenze di spesa sulla scuola e accrescere il ruolo culturale del tronco secondario.
Scuola università e ricerca costituiscono un unico fronte di attacco del mercantilismo ai diritti sulla conoscenza e la ricerca va verso il settore militare o altri settori “duri” come le biotecnologie o le nanotecnologie. Questa, secondo Fabio Marcelli , la tendenza fondamentale nel campo della ricerca, con un processo che si articola a tre livelli: a livello nazionale con i GATS, a livello europeo con le aperture mercantilistiche previste dalla Costituzione Europea, a livello nazionale in termini di smantellamento della ricerca e di regionalizzazione. Il forum di Londra ha avuto un limite nel ritualismo, mentre è stato positivo lo scambio di esperienze e l’impegno a costruire una rete europea dei ricercatori.

I lavori in plenaria

La riunione in plenaria del forum si è svolta in piccola parte il sabato mattina e poi per la maggior parte la domenica in una non-stop che è durata fino alle 16 e 30.

Marcello Cini , dell’Università la Sapienza di Roma ha aperto gli interventi, sottolineando come il passaggio dal XX al XXI secolo sia segnato anche dal passaggio dal dominio commerciale sulla materia inanimata (merci materiali) a quello sulla materia vitale e pensante (merci immateriali). E come in questo passaggio crolli la barriera tra scoperta e innovazione, tra la scoperta e il suo uso e quindi anche tra conoscenza e valori, mentre si estendono alle merci immateriali logiche e meccanismi costruiti sulle merci materiali. Ma c’è una differenza: le merci materiali si consumano, le merci immateriali no, perciò sulle merci immateriali gioca immediatamente il concetto del limite, tra chi possiede le merci immateriali e chi no, solo così queste possono avere un valore commerciale.
Vi è un ruolo della scuola a spezzare questi limiti e a demistificare l’onnipotenza del mercato che viene spacciata dalle TV. Il mercato non può risolvere tutto, ha dei limiti e devono essere ben chiari, lo dice persino Soros. La soluzione dove sta? In uno sviluppo globale sostenibile, nell’affermazione dei diritti, compresi quelli sociali, nelle diversità, degli individui e delle forme di vita. La diversità non è disuguaglianza: la diseguaglianza violenta la diversità per mercificarla.

Di seguito è intervenuta Diana Cesarin del Movimento di Cooperazione Educativa, che ha sostenuto che chi lavora nella scuola sente l’urgenza di fermare la Moratti e continuare a lavorare, ha bisogno di luoghi collettivi che accolgano le diversità, ha bisogno di mettere in circolo i saperi di tutti. L’apprendimento è solo nell’integrazione sociale e occorre una grande responsabilità degli insegnanti.

Piero Bernocchi dei Cobas ha parlato di un passaggio storico in cui ci troviamo, di una battaglia tra chi vuole sottrarre la scuola al profitto, che ci accompagnerà per molti anni. Ha ricordato il bisogno assoluto di nuove merci che ha il capitalismo e le grandi cifre che può costituire il business della scuola a livello mondiale. Ma il processo è stato rallentato dal movimento, lo spirito del 68 è entrato nella scuola italiana e non è mai uscito. La situazione attuale nella scuola è caratterizzata da due fattori: il movimento di resistenza scuola per scuola e lo spostamento di aree di opinione nel passaggio da Berlinguer alla Moratti e oggi occorre aver chiare due cose: che non si può separare il sindacale dal politico e che bisogna abrogare la legge Moratti. Sul piano sindacale non c’è spazio per carriere o accessori, perché c’è il rischio che, a contratti e salari bloccati, quelli diventino anche agli occhi dei lavoratori dei surrogati del contratto e bisogna stare insieme in piazza il 15 novembre, per mandare un messaggio non solo a Berlusconi ma anche a chi verrà dopo. La forza c’è va coagulata e incanalata.

Si è invece soffermata sulla sua esperienza diretta Rossana Moroni, assessore all’istruzione del comune di Pistoia e rappresentante del Partito dei Comunisti Italiani, che ha avuto modo di osservare il rispetto dei tempi dei bambini nelle scuole materne e nei nidi pistoiesi, mentre il governo illude i genitori con l’iscrizione di bimbi troppo piccoli a una scuola materna inadatta e contemporaneamente fa tagli agli enti locali che così non possono dare ciò di cui c’è veramente bisogno. Anzi, ha denunciato, sulle risorse il governo fa il tira e molla per ricattare i sindacati.

Angela Nava del Coordinamento Genitori Democratici ha rilevato come i genitori siano di nuovo in ballo non per una rivendicazione specifica ma per la rottura di un patto sociale sulla responsabilità degli adulti verso le nuove generazioni: la legge Moratti infatti è il punto di approdo di un mix di liberismo e di familismo. Ma c’è un nuovo ruolo della società civile perché c’è stata una modificazione della sensibilità civile e ci sono nuove richieste alla scuola pubblica insieme a una forte richiesta di unitarietà dell’antagonismo.

Purtroppo la globalità del problema istruzione non è nell’agenda della politica, così ha esordito la senatrice Albertina Soliani, della Margherita. Occorre perciò farla entrare a pieno titolo sulla base di un progetto che tenga agganciata l’istruzione al senso pubblico, a un’idea non mercantile, che promuova l’uguaglianza delle opportunità. Ha messo in luce il legame che c’è tra fondamentalimo e il creazionismo e come quindi l’assenza dai programmi dell’evoluzionismo darwiniano non possa essere considerato un incidente di percorso casuale. Occorre perciò ancorare la scuola ad alcune scelte strategiche: il suo carattere repubblicano e la sua unitarietà ( la scuola dell’infanzia deve conoscere la ricerca e l’università deve sapere che cosa succede nella scuola dell’infanzia). La resistenza deve essere politica e sociale, questo è il senso della Grande Alleanza Democratica che si sta costruendo e il progetto del centrosinistra sulla scuola dovrà innovare anche rispetto a quello del precedente centrosinistra. La linea dell’attuale governo è quella della divisione: anche attraverso la scuola hanno cercato di creare fratture tra le regioni, tra gli insegnanti, tra gli insegnanti e le famiglie e tra le famiglie stesse. La Grande Alleanza democratica deve fare esattamente il contrario: la parola d’ordine è “Unità”.

Per Vittorio Cogliati Dezza, di Legambiente, la scuola è un bene comune come l’acqua e l’aria, non un bene personale. Occorre partire dal cosiddetto mal di scuola, dal disagio dell’adolescente, dell’insegnante, del genitore che partecipa agli organi collegiali e rispondere alle domande “quali contenuti?”, “quale insegnante?”, “quale organizzazione?”. Sui contenuti: in un momento di rapporto col futuro effimero occorre lavorare perché i ragazzi si costruiscano un progetto di vita, di identità, un senso di sé, per invogliarli a partecipare e a capire i cambiamenti, non per saperi parcellizzati. Sui docenti: la funzione docente deve essere ricerca sul campo e cooperazione tra adulti. e l’articolazione professionale non deve significare necessariamente carriera . Sull’organizzazione: non basta volere l’obbligo a 18 anni se questo non si trasforma in passione e se non si capisce che la scuola è un sistema fatto di relazioni umane. Ha concluso citando Benigni, definito un esimio pedagogista di queste parti, “Tutti dicono: fatti e non parole. Io dico: parole, parole, parole”.

“Non voglio dire tutto il male possibile del governo, perché lo do per scontato” ha esordito Luciano Bertolini, sindaco di Bagno a Ripoli, intervenuto a nome dei Democratici di sinistra, che ha sottolineato come il movimento sulla scuola dell’ultimo anno sia una delle cause dello spostamento a sinistra dell’elettorato registrato ultimamente. Ma occorre darsi anche una strategia per il futuro. I capisaldi di questa prospettiva sono stati individuati nella difesa e nello sviluppo dell’autonomia scolastica, nel ruolo delle autonomie locali, nell’istruzione per tutto l’arco della vita, nella continuità tra i diversi gradi di scuola, nello sviluppo del tempo pieno, nell’obbligo a 16 anni con intreccio con la formazione professionale, nella cultura del lavoro, in un sistema integrato istruzione formazione professionale. Lo strumento possono essere conferenze territoriali comune per comune per riorganizzare il servizio scolastico.

Domenico Chiesa, presidente del CIDI ha parlato di urgenza di contrapposizione. Non si deve separare l’opposizione alla legge Moratti dalla prospettiva di cambiamento: il tempo pieno ha retto lo scontro perché era esso stesso una prospettiva. Non occorrono grandi riforme ma alcuni punti fermi primo fra tutti il carattere pubblico della scuola. Oggi la preparazione del cittadino richiede necessariamente un percorso che va dai 3 ai 19 anni e occorre garantire la cultura per uscire dalle miserie vecchie e nuove.

Di soggettività vituperata a causa della doppia anomalia di essere preside e comunista, ha palato Roberto Imperiale, che ha posto l’accento sulla differenza che c’è tra essere il garante del contratto nazionale e essere il distributore del fondo di istituto. Una buona autonomia, ha detto, potrebbe anche andare bene ma non dobbiamo dimenticare che di autonomia in autonomia di questi tempi si rischia di creare una sponda alla frammentazione e al mercantilismo.

I seminari

Nel pomeriggio di sabato, ospitato dal vicino Istituto Tecnico Agrario nel parco della Cascine, si è avuto il momento sicuramente più partecipato in termini sia di pubblico che di interventi (nell’insieme parecchie decine, forse anche un centinaio di persone hanno preso la parola). Il Forum infatti si è articolato in sette seminari aventi all’oggetto vari argomenti.

Sul tema " Autonomia scolastica e sistema nazionale dell’istruzione" il seminario ha visto la convivenza di tre posizioni. La prima, che parte da un giudizio positivo sul principio dell’autonomia scolastica ma da una critica alla sua applicazione, soprattutto col nuovo ministero, si è spesa sulla domanda “quale autonomia” e ha individuato nell’autonomia scolastica uno strumento e un terreno di resistenza alle politiche e alle indicazioni della Moratti e in alcune distorsioni soprattutto in relazione al ruolo dei dirigenti scolastici le correzioni da apportare al modello. Di conseguenza tale posizione esprime l’esigenza di rivedere il modello trasformandolo da verticale in orizzontale e enfatizzando il ruolo del rapporto col territorio. La seconda, che parte da un giudizio più negativo dell’autonomia e comunque da una sua improponibilità attuale come “parola malata” , ha individuato lo strumento di resistenza piuttosto nel collegio docenti, pre-esistente all’autonomia, e nel dirigente scolastico la quintessenza dell’autonomia stessa: di qui l’inevitabilità della deriva aziendalista dell’autonomia stessa. Di conseguenza per i fautori di tale analisi la prospettiva è quella di bloccare l’autonomia stessa prima che sfoci nel mercantilismo. Il terzo filone è stato rappresentato dagli studenti che chiedono più partecipazione e protagonismo. E’ emersa comunque la denuncia del fatto che finora la formazione ha riguardato soprattutto i dirigenti scolastici ed è stata di tipo aziendalista, mentre occorre formare e rendere consapevoli i diversi attori dell’autonomia stessa. Il confronto tra le diverse posizioni emerse rappresenta comunque una sfida obbligata, con l’obiettivo della difesa della scuola pubblica.

Sul tema " Fare l’insegnante nella scuola pubblica" è stato messo in luce l’attacco ai capisaldi dell’insegnante pubblico, quelli che si sintetizzavano nel termine “libertà di insegnamento”. Tale attacco inizia già col reclutamento e ha risvolti immediatamente sindacali, tanto che è stato messo in luce dagli interventi dei precari per non dire dalle contrapposizioni tra diversi gruppi di precari in questi ultimi anni. Per questo si richiede un rapporto con l’Università e con i problemi che ivi sono rappresentati. Una ridefinizione del lavoro dell’insegnante deve vedere al centro una concezione del lavoro docente come lavoro cooperativo avente al centro la relazione affettiva con l’alunno, elemento imprescindibile da cui dipende l’efficacia dell’insegnamento. Si tratta di idee assai presenti finora nell’insegnamento elementare, tempo pieno in testa, o della scuola dell’infanzia che da questi gradi di scuola dovrebbero estendersi anche ad altri. Un altro aspetto riguarda i compiti di coordinamento didattico da cui i dirigenti scolastici sono ormai stati distratti sia dal nuovo ruolo a cui sono stati chiamati sia dalla centralità assunta in questo ruolo dalle questioni più organizzative. La libertà di insegnamento deve costituire l’elemento di forza intorno a cui ruota la resistenza all’attacco portato alla professione.

Sul tema " Il valore sociale della conoscenza: saperi e progetto culturale" si è partiti dal dato che la conoscenza è un patrimonio sociale e un bene comune, ma oggi è sottoposto come altri beni comuni a un tentativo di commercializzazione, da questo punto di vista vi è una differenza di senso quando si parla di società della conoscenza, che vorrebbe dire più conoscenza per tutti, e di economia della conoscenza, che vuol dire invece conoscenza solo per chi è in grado di comprarsela. Oggi abbiamo due tendenze che svuotano la conoscenza, una verso l’alto, per così dire, e una verso il basso: verso l’alto si punta a dare a pochi più conoscenze ma astratte, verso il basso si punta a dare meno conoscenze e solo quelle che servono a poche pratiche, occorre invece una grande attenzione a tutti i saperi, a quelli formali e a quelli informali. Il sapere costituisce un diritto di cittadinanza e oggi non c’è solo un analfabetismo di ritorno, c’è anche un analfabetismo relazionale e scientifico. Come si può lavorare su questi temi? Costruendo saperi anziché trasmetterli, lavorando sulle domande più che sulle risposte, mettendo a disposizione le buone pratiche che si sono costruite in questi anni.

Quali devono essere i capisaldi di una proposta diversa da quella della Moratti? Questo era il tema del seminario " La scuola secondo Moratti: alternative possibili". Innanzi tutto alcuni elementi di metodo: non dovrà essere un processo calato dall’alto, dovrà tenere conto delle buone pratiche sviluppate ed avere una coerenza tra risorse e obiettivi, e soprattutto una coerenza col mandato della Costituzione della Repubblica. Dovrà mirare a dare a tutti una solida formazione culturale di base, unica premessa vera alla possibilità di un’istruzione per tutto l’arco della vita. Il settore da 0 a 3 anni va soddisfatto non con gli anticipi nella scuola dell’infanzia ma portando l’offerta di nidi, qualificati per quell’età dei bimbi, dall’attuale 7% al 30%. La scuola dell’infanzia va generalizzata sul territorio nazionale così come è. La scuola elementare, riformata nel periodo 1985-1990 non va sostanzialmente modificata né nei moduli né nel tempo pieno. Va prevista un’attenzione particolare alla continuità tra i gradi scolastici, ma sul tema degli istituti comprensivi contenuto nella relazione introduttiva di Domenico Chiesa, il dibattito ha glissato. Chiara invece la prevalenza delle opzioni per un biennio unitario e scolastico ( che escluda perciò la formazione professionale) tra i 14 e i 16 anni. Non altrettanto approfondito il dibattito sul triennio della secondaria superiore, ferma restando però l’opzione per un obbligo scolastico almeno fino a 18 anni e sulla non urgenza o non necessità di una riduzione del percorso secondario superiore dai 19 a 18 anni. Attenzione anche alla didattica in termini di maggior cooperazione e collegialità, meno disciplinarismo e rapporto tra sapere e saper fare, con gli studenti più attenti alla vivibilità e umanità dell’ambiente scolastico e della partecipazione.

Stabilizzare una situazione che si è venuta a creare fondata su precariato e precarizzazione, come forma ordinaria di rapporto di lavoro e come modalità di funzionamento dell’Università, questa è la caratteristica principale del decreto Moratti che costituisce un nodo ineludibile per ogni giudizio e azione politica. Queste le conclusioni del quinto seminario tenutosi, sul tema “L’università in crisi: alternative possibili”. Siamo infatti alla morte dell’università, alla riduzione della ricerca: importante per fare fronte a questi gravi fenomeni la costruzione di un coordinamento dei ricercatori, che si batta per un aumento dei finanziamenti e che costruisca un raccordo con le scuole secondarie superiori.

Il seminario “La scuola funzione pubblica o servizio a domanda?” ha ribadito il valore della funzione istituzionale della scuola rispetto alla quale lo Stato è regolatore, non un semplice garante. L’operazione fondata sul mito della libertà di scelta della famiglia è stata finora arginata ma persiste la minaccia della domanda individuale che costituisce un vulnus al principio istitutivo. Il cardine forte di questo attacco è nella fascia 0-3 per la quale non sarebbe fuori luogo prevedere un ruolo dello stato nella costituzione di questo ordine di servizi. Così come bisogna prevedere l’estensione dell’obbligo scolastico a 18 anni . Nello stesso tempo occorrerebbe sanare la situazione della cattive pratiche dell’autonomia che ne inficiano la sua efficacia. Bisogna riprendere la cura delle persone.

Il seminario “La scuola di tutte/i: intercultura, integrazione, diritti di cittadinanza” è partita dall’assunto che la scuola debba riecheggiare il disagio e il malumore, partendo da lì per contrastare la dispersione e per garantire i diritti di tutti e di ciascuno, distinguendo la cultura dal folklore, l’identità dall’origine ( perché l’identità è una cosa che si costruisce via via), l’integrazione dall’assimilazione. L’interciultura è condivisione e orizzontalità e la parzialità non è un male, ma l’antidoto a fondamentalismi e integralismi.