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Scuola, università e ricerca non statale: i motivi dello sciopero del 18 marzo

18 marzo 2009, sciopero generale di tutti i settori della conoscenza. Scuola, università e ricerca non statale scioperano insieme ai settori pubblici della conoscenza per l'occupazione, il reddito e la centralità del ccnl.

03/03/2009
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Nella scuola non statale e nei settori privati della conoscenza dell'università e della ricerca la crisi sta producendo e continuerà a produrre, se non si introducono misure anticrisi adeguate, conseguenze devastanti soprattutto sul versante dell'occupazione e sulla qualità del lavoro. Già oggi di fronte ad un calo della domanda per effetto della riduzione del reddito/consumi di milioni di cittadini assistiamo ad una reazione da parte delle aziende tendente ad addossare tutto il peso della crisi sul lavoro e sui lavoratori. Dismissioni dell'attività, cessioni di azienda e di ramo d'azienda, esternalizzazioni, abbassamento dei diritti contrattuali, cambiamento di contratti, trasformazione del lavoro standard in lavoro atipico nella variante del lavoro a progetto sono le azioni più frequenti messe in essere da datori di lavoro laici e religiosi. Tutto ciò ha un duplice effetto sugli oltre 250 mila operatori che a vario titolo operano nei comparti privati della conoscenza: licenziamenti, quindi disoccupazione, e abbassamento dei salari, dei diritti e delle tutele soprattutto contrattuali.

Per questi lavoratori le misure del governo non solo risultano inesistenti e inadeguate, ma, addirittura, rischiano di produrre effetti ancora più dannosi. Basti pensare alle conseguenze che, a partire dal prossimo anno, avranno gli interventi della Gelmini anche sulla scuola paritaria sul versante dell'occupazione per via del ripristino del maestro unico e della riduzione dell'orario di alcune materie di insegnamento. O, più semplicemente, a quelle prodotte dalle novità legislative già attuate o in via di attuazione dal Ministro Sacconi in materia di mercato del lavoro. O ancora all'impossibilità per via dei tagli di poter accedere alle supplenze nella scuola statale.

Per la FLC Cgil e per la CGIL è giunta l'ora che questo governo ripensi la sua politica e che ponga al centro dei suoi interventi il sostegno al reddito e all'occupazione così come stanno facendo i più importanti paesi dell'occidente. E' questa l'unica via per evitare che intere generazioni di lavoratori, giovani e meno giovani, vengano condannati alla disoccupazione o, nella migliore delle ipotesi e per i più “fortunati”, alla sottoccupazione e quindi all'esclusione sociale. E' questa la via per rilanciare i consumi e di poter far sopravvivere contestualmente le stesse strutture aziendali.

Da qui la nostra richiesta di un'estensione universale degli ammortizzatori sociali da subito in modo da consentire alle lavoratrici e ai lavoratori, anche di quelle categorie deboli e marginali al sistema produttivo, di poter affrontare la crisi in maniera un po' meno indolore, di scongiurare derive insopportabili di lavoro nero e precario.

Con il rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga, dopo l'accordo con le Regioni e voluto fortemente da queste, si fa fronte, però, solo parzialmente ad un bisogno sempre più crescente di sostegno all'occupazione proveniente da ogni settore produttivo. Ciononostante il governo si ostina caparbiamente, nonostante la delega sia ancora attiva, a escludere ogni ipotesi di riforma degli ammortizzatori.

Alcune recenti rilevazioni dicono che sono oltre 7 milioni i lavoratori che non hanno alcun sostegno al reddito a esclusione dell'indennità di disoccupazione. Sono questi, assieme ai precari dei settori pubblici e privati, i lavoratori più a rischio nel caso di espulsione dall'azienda e più ricattabili sul piano occupazionale. E tra questi lavoratori "senza ombrello" vanno annoverati anche quei lavoratori che operano con le più variegate tipologie contrattuali nelle scuole e nelle università non statali, nella formazione professionale e nella ricerca privata.

A nostro modo di vedere un'estensione universale degli ammortizzatori sociali va accompagnata da una vera e propria iniziativa politica di portata nazionale contro l'evasione contrattuale, contributiva e fiscale che nei comparti della conoscenza privata raggiunge momenti di preoccupante consistenza. Un'azione di tale rilevanza consentirebbe di raggiungere un duplice obiettivo: ridurre drasticamente quei fenomeni di dumping contrattuale che oggi penalizzano soprattutto le aziende più sane e consentire allo Stato di reperire le risorse necessarie per finanziare appunto quelle tutele universali di sostegno all'occupazione.

In una situazione di crisi economica di questa entità è, anche, necessario introdurre misure certe e immediatamente esigibili di sostegno al reddito da lavoro dipendente riducendo il prelievo fiscale sui salari e pensioni per i prossimi anni.

L'insieme di questi interventi, unitamente agli altri riassunti nelle proposte della CGIL
al Governo in occasione dello sciopero generale del 12 dicembre - quali il sostegno agli investimenti e alla politica industriale, agli investimenti in infrastrutture, al rafforzamento del Welfare e della coesione sociale - sono la chiave di volta per consentire al nostro Paese di uscire dalla crisi in maniera indenne e senza mettere in seria discussione l'attuale assetto produttivo.

Si ha invece la sensazione che questo governo piuttosto che venire incontro ai problemi di milioni di lavoratori e di cittadini, continua nella sua logica perversa di addossare tutto il peso della crisi ai lavoratori e alle loro famiglie.

E' dentro questo quadro che va letto, analizzato e giudicato l'accordo separato sul modello contrattuale.

La CGIL non ha sottoscritto tale accordo perché: il testo approvato, con l'introduzione dell'istituto delle proroghe, prefigura, molteplici e frammentati modelli contrattuali; non contiene innovazioni di fondo; riduce in maniera strutturale il livello salariale e la funzione del contratto nazionale; non garantisce nemmeno il recupero pieno del potere d'acquisto; non scommette su una vera estensione del secondo livello di contrattazione; non definisce un quadro condiviso in grado di dare alle imprese certezza effettiva delle regole e dello svolgimento dell'attività contrattuale; determina condizioni di difficilissima gestione di tutte le vertenze che si apriranno; introduce norme quanto mai controverse sulla regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici e sulla rappresentatività delle organizzazioni sindacali.

In un momento di crisi strutturale del sistema economico dove gran parte delle famiglie italiane non riesce ad arrivare alla cosiddetta quarta settimana, la scelta di modificare il metodo di calcolo dell'inflazione e di svuotare il contratto nazionale fa arretrare in maniera non irrilevante il recupero del potere di acquisto dei salari fino ad oggi garantito.

Nella scuola non statale, come in tutti i settori deboli e dalla contrattazione di secondo livello residuale, il contratto collettivo rappresenta l'unico riferimento normativo ed economico dei lavoratori certo ed esigibile. Ridurre il suo ruolo solidaristico significherebbe far ri-precipitare i lavoratori nella giungla della frantumazione, della divisione e del dumping contrattuale e sociale.

Altro che modernizzazione, altro che sviluppo della contrattazione decentrata, altro che concertazione e contrattazione, altro che democrazia nei luoghi di lavoro! Davanti a questa situazione, la FLC Cgil all'interno delle azioni di lotta indette CGIL, ha chiamato tutti i lavoratori dei comparti pubblici e privati della conoscenza allo sciopero generale del 18 marzo p.v. non solo per respingere con forza l'idea che la crisi ricada solo sulle spalle dei lavoratori ma per rivendicare le proprie ragioni e le proprie proposte a sostegno e a difesa del legittimo diritto all'occupazione e al reddito.

marzo 2009