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Addio teoria: ecco «l’università-brainstorming» (che piace alle imprese)

Didattica costruttivista e lavoro

11/11/2018
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Il Sole 24 Ore

Enrico MArro

Si chiama “Problem-based Learning” (PBL), “apprendimento basato sulla soluzione dei problemi”, ed è un metodo pedagogico nato in Canada negli anni Sessanta nelle facoltà universitarie mediche. Si basa sul “problem solving”: gli studenti si dividono in piccoli gruppi, ciascuno con il suo ruolo, e cercano di risolvere concretamente i problemi che vengono loro posti dal docente, che di fatto risulta una specie di tutor. Il processo è molto diverso dal tradizionale insegnamento “top down”, quello basato su lezioni teoriche.

In pratica il metodo “PBL” altro non è che una versione modernadella didattica costruttivista, che considera gli studenti quali soggetti direttamente responsabili dell’apprendimento, rendendoli protagonisti del processo cognitivo. Come preconizzava già dagli anni Cinquanta lo psicologo statunitense George Kelly, la conoscenza è una soggettiva costruzione di significato a partire da una complessa rielaborazione interna di sensazioni, conoscenze, credenze ed emozioni.

Con l’approccio costruttivista del PBL viene incoraggiato il brainstorming, il ragionare per obiettivi, il lavoro di gruppo, la responsabilizzazione e cooperazione degli studenti, ma anche la capacità di apprendere da soli dall’esperienza concreta e di trovare soluzioni creative, flessibili e personalizzate. In tutto questo il docente è una specie di “facilitatore” che corregge gli errori più evidenti degli studenti, indicando i possibili percorsi di ricerca e facendo in modo di “incorporare” le nozioni da apprendere nel processo di elaborazione delle soluzioni al problema.

Consolidato ormai ovunque in ambito medico, il metodo PBL oggi è stato esteso ad altre facoltà e in alcuni casi anche alle scuole secondarie superiori, in particolare in Malesia e Singapore. In Europa pioniere della didattica costruttivista è la Danimarca con l’università di Aalborg, fondata negli anni Settanta e da allora proiettata su modelli pedagogici innovativi, centrati su curriculum interdisciplinari e metodi didattici basati, appunto, sull’apprendimento legato alla soluzione concreta di problemi reali. Forse proprio per questo approccio innovativo Aalborg è al quarto posto nella top ten dell’ingegneria mondiale secondo uno studio redatto dal Mit di Boston.

Abbiamo visitato la sede di Copenaghen dell’ateneo, intervistando Rolf Nordahl, che ha contribuito a implementare alcuni dei più innovativi corsi danesi in ambito digitale, come quello di “Medialogia”, inaugurato nel 2002. Il corso spazia dall’interazione uomo-macchina alla programmazione, dalla computer graphic alle tecnologie del suono e della luce, con l’obiettivo di creare dei “problem solver” del digitale grazie a un approccio che viene definito “transdisciplinare”. «Abbiamo creato il nostro programma per attirare chi apprezza un approccio concettuale sulla strada del problem

Per farci afferrare meglio il concetto, il docente danese ci ha mostrato il laboratorio di ricerca multisensoriale dell’ateneo (“Multisensory Experience Lab”), dove studenti e ricercatori di ogni età e livello lavorano su progetti di realtà virtuale «ma che non stimolano solo la vista ma anche l’udito, il tatto e così via». Tecnologie applicate all’istruzione, alla medicina, alla riabilitazione e al puro entertainment. Ci sono per esempio i progetti di Ali Adjorlu, che durante il suo dottorato sta mettendo a punto un sistema di realtà virtuale per rafforzare le “social skills” dei bambini affetti da autismo. Oppure quelli dell’italiana Stefania Serafin, già Phd a Stanford e ora docente a Copenaghen, esperta nel “sound design” e nelle sue applicazioni all'interno della realtà virtuale.

Spesso il project work viene condotto in partnership con aziende vere e finisce nel portfolio degli studenti rendendoli più appetibili per il mondo del lavoro. Nel 2016, per esempio, un gruppo di allievi ha sviluppato un prototipo di app Android destinata a giovani atleti per aiutarli a mantenere il giusto equilibrio veglia-sonno. Mentre uno dei team all’opera nel “Multisensory Experience Lab” sta lavorando a un progetto di realtà virtuale per l’insegnamento della matematica alle scuole elementari. «Questo tipo di formazione pragmatica e transdisciplinare è molto apprezzato dalle imprese - spiega ancora Nordahl - che la preferiscono a un tipo di apprendimento puramente teorico».

Il metodo costruttivista non esiste ovviamente solo in Danimarca.Viene applicato in maniera estesa anche nell’educazione superiore professionale (“vocational”), come quella degli Istituti Tecnici Superiori italiani, oppure delle Fachhochschulen tedesche, austriache, olandesi e svizzere, ma anche cipriote e greche. I nostri ITS, varati nel 2010 e ancora in fase embrionale quanto a numeri (hanno appena 8-9mila studenti contro i quasi 800mila della Germania) funzionano benissimo: l’82% dei neodiplomati trova lavoro, nel 90% dei casi coerente col percorso di studi (dati Miur). Concentrati soprattutto nelle regioni industriali, i circa 100 ITS hanno un percorso di studi di due-tre anni, con il 30% del tempo trascorso in stage e il 50% dei docenti “prestati” dalle aziende. Con il mondo delle imprese che apprezza questo tipo di approccio concreto alla formazione di tecnici altamente specializzati e proiettati nel mondo dell’industria 4.0.