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AprileOnLine: La mia esperienza di precario della ricerca

Lettere al direttore

17/06/2006
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Aprileonline

Gentile redazione,
vorrei rispondere, anzi interagire con la lettera di Orietta Cordovana pubblicata il 16 giugno in Aprile On-Line. Sono anch'io, come lei, coinvolto da ormai più di due anni nelle lotte dei ricercatori precari contro il disegno di legge Moratti e per rivendicare una ripresa effettiva del reclutamento di ricercatori a tempo indeterminato nelle nostre università. Condivido la diagnosi che Orietta fa del fenomeno della precarietà della ricerca e in particolare condivido le sue critiche alla retorica dei "giovani ricercatori": sorprende continuare a vederci attribuita questa etichetta non solo dall'opinione pubblica e dalla classe politica ma spesso anche da docenti che, in passato, alla nostra stessa età (io ne ho 31) in molti casi ebbero persino la possibilità di diventare ordinari! Oggi sarebbe una vera utopia ovviamente...
Comunque, la mia osservazione concerne la soluzione prospettata da Orietta per affrontare la questione dell'inserimento stabile dei ricercatori nell'università italiana: l'istituzione dei concorsi nazionali. Credo che si tratti di una soluzione che può essere vista soltanto come un "male minore" in una fase transitoria come quella attuale caratterizzata dall'assenza di un efficace sistema di valutazione dell'operato delle università e dei singoli ricercatori. Pur guardandola per ora come soluzione transitoria, il sistema dei concorsi nazionali dimostra di avere pregi, ma anche molti difetti. I pregi sono quelli di cui diceva Orietta: il fatto che i concorsi nazionali sono maggiormente controllabili "dall'alto" e quindi incoraggiano la partecipazione dei candidati; è probabile che molti che oggi nemmeno ci pensano a iscriversi a un concorso per non disturbare "casa altrui" (e infatti moltissimi concorsi di ricercatore sono a candidato unico) trovino il coraggio e le motivazioni per farlo in presenza di una valutazione comparativa nazionale. Tuttavia ci sono altri difetti importanti: in primo luogo, non è affatto detto che le pratiche "spartitorie" dei posti abbiano fine, anzi le mediazioni tra le varie cordate possono essere ancora più forti a livello nazionale; in secondo luogo, la rinazionalizzazione dei concorsi dà forza alle corporazioni accademiche e ai loro meccanismi auto-conservativi, a danno il più delle volte dei gruppi locali scientificamente più vivaci che sono costretti a sottostare alla linea seguita dalle cordate dominanti nella disciplina. In realtà, in Italia abbiamo bisogno di una seria riforma dei settori scientifico-disciplinari e di una maggiore autonomia dei gruppi di ricerca e delle istituzioni universitarie, a partire da dipartimenti e facoltà che sono le istituzioni più vicine a chi lavora nelle università.
Per fare questo c'è bisogno però di un sistema di valutazione che scoraggi pratiche auto-referenziali di reclutamento. Credo che ai ricercatori precari così come ad altre componenti della docenza e della ricerca non debba mancare il coraggio di contribuire, criticamente e propositivamente, all'elaborazione di un sistema di valutazione della ricerca in Italia. In caso contrario, avranno spazio soltanto visioni univoche e quindi parziali, su una procedura come la valutazione che anche nei paesi dove è svolta con rigore e serietà, come la Gran Bretagna, suscita grandi discussioni e anche non poco malcontento all'interno delle comunità accademiche.
Ugo Rossi, Napoli