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I ragazzi del tempo delle medie “Noi, dimenticati dagli adulti”

Cento giovanissimi tra 11 e 14 anni raccontano sogni, paure e rabbia La pedagogista: “Fragili e spavaldi ci chiedono di non essere invisibili”

29/12/2018
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la Repubblica

Ilaria Venturi

Ci vedono come bambini che non sanno fare niente», «a volte siamo troppo cresciuti, a volte troppo piccoli».

Insomma, che i grandi si decidano. «L’età che sto vivendo? È una specie di metà», la sintesi di Giacomo. Emily, i riccioli oltre le spalle, tenta una spiegazione: «Cioè, prima ero tra le nuvole. Mi sento più reale adesso». E poi, si sorprende Stefano «ho anche dei piedi enormi, crescono a vista d’occhio!». Voci dall’età di mezzo. Hanno tra gli 11 e i 14 anni, il tempo delle medie. Quelli di passaggio, nella vita e nello sguardo degli adulti. In tre anni diventano adolescenti, ma intanto sono solo “pre”. Non più bambini, nemmeno già grandi: definiti in base a ciò che non sono. Per questo Mariagrazia Contini, pedagogista dell’università di Bologna, ha deciso di tentare l’impresa: «Volevo comprendere chi sono veramente, raccontarli con uno sguardo amorevole, cioè di attenzione». Tre anni di lavoro, 123 ragazzi messi davanti a una telecamera, intervistati a lungo e a fondo da Torino a Caltagirone, passando per Vicenza, Verona, Firenze, Bologna, Ancona, Roma e Napoli. E poi i video che loro stessi si sono fatti, un girato di ore e ore. Il montaggio e la regia è dei pluripremiati Paolo Marzoni e Vito Palmieri. È nato così il documentario Non più, non ancora, prodotto da Ibc Movie, che sta girando l’Italia.

Un viaggio poetico e sincero nel mondo dei preadolescenti. Quelli che si divertono ai video e al parco giochi, che frugano tra i trucchi della mamma, ma che poi «se combini casini ti ritrovi a 16 anni incinta». Peluche e addominali in camera. Social e cartoni di Topolino. I genitori?

Sebbene i rapporti siano buoni, «sono le persone che più non ci capiscono». Quando sono separati le cose si complicano, ma almeno «è un sollievo, non devo più sorbirmi le loro urla». La scuola? Emozionante, brutta, noiosa, serve per il futuro, tocca andarci. Chi è cresciuto nelle periferie difficili freme: «Mi scoccia stare sei ore seduto sulla sedia, ho rotto un armadio». Altri sono già competitivi: «Ci tengo ai bei voti». Il bullismo è diffuso e li fa soffrire: «Mi prendevano in giro per cose sciocche, perché studiavo troppo, per l’apparecchio», «anvedi quella panzona: e ridevano», «mi chiamano cinesino, non mi piace, sono razzisti». Davanti alla telecamera scoppiano le lacrime per gli insulti e i calci: «Una prof mi ha detto che lo fanno per avere l’attenzione dei loro genitori, ma a me non sembra giusto. Non c’è rimedio al male che mi fanno».

L’amore li inquieta, con mamma che rompe, la nonna e lo zio che «ma ce l’hai la ragazza?», il papà che «mi dice che l’anno prossimo devo portare a casa una femmina». I maschi si prendono in giro («in 12 anni non ha visto ombra di ragazza»), sono ingenui («mi ero già immaginato la mia vita con lei»), ci provano a modo loro: «Ho chiesto il fidanzamento, non me l’ha dato nessuno». Storie da tempo delle mele che durano un mese. Le femmine sono decise: «Sto bene anche senza un ragazzo» oppure «sono stata io a lasciarlo, sono libera di fare quello che voglio». Le paure rispecchiano quelle degli adulti: non riuscire a trovare lavoro, gli attentati visti in tv, «troppa immigrazione», i giudizi della gente, «la terza guerra mondiale che sarà non per il petrolio, ma per l’acqua». I sogni sono condizionati dal contesto sociale che fa la differenza nelle loro vite. «Voglio fare video su You Tube, ho già 88 follower» fa tenerezza. E poi il pizzaiolo e il college in America, il pescivendolo e l’ingegnere, il cuoco, «ma se non riesco faccio l’avvocato». Sono «fragili e spavaldi, come li ha definiti Charmet. Io aggiungo: dimenticati dagli adulti, costretti alla marginalità e all’irrilevanza: tanto, si dice, è un’età che passa», commenta la pedagogista. E invece «avrebbero bisogno di cura, della nostra fatica di esserci per loro. Cosa che la scuola media non sempre fa. E talvolta neanche i genitori: vorrebbero essere autorevoli, proteggerli, farli felici. Ma senza dire i no che occorrono assecondano solo le loro fragilità». Paolo Marzoni lo definisce un racconto corale vero: «Ti identifichi per come eri alla loro età, ti ritrovi da genitore». Una narrazione che non fa sconti. Non li fa nemmeno Verdiana coi suoi 12 anni: «Chi c’è già passato dice che è un periodo bellissimo, ma chi lo sta passando non è per niente d’accordo perché si sente solo».