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Bilancio, la missione impossibile dei mille nuovi ricercatori italiani

Riusciranno, mille nuovi assunti, «a sostenere la competitività del sistema universitario italiano a livello internazionale» come si legge nella bozza di Bilancio?

25/10/2018
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Corriere della sera

Orsola Riva

Che non ci fosse trippa per gatti lo si era già capito a luglio, con la presentazione delle linee programmatiche del nuovo ministro dell’Istruzione. Non è immaginabile - aveva detto allora Marco Bussetti - che l’università e la ricerca italiana, cronicamente sottofinanziate, possano contare su un rilancio pagato dallo Stato. Bisogna puntare sui privati e sui fondi europei che verranno dal prossimo programma quadro (2021-2027). E nel frattempo? Nel frattempo, si legge ora nella prima bozza di legge di bilancio per il 2019, le università dovranno accontentarsi di mille nuovi ricercatori (l’anno scorso erano stati 1.300 più trecento negli enti di ricerca) per i quali è previsto un aumento del Fondo di finanziamento ordinario di 70 milioni nel prossimo biennio (erano 90 l’anno scorso). Mille ricercatori ai quali è affidata la responsabilità di «sostenere la competitività del sistema universitario italiano a livello internazionale». Neanche ai trecento di Leonida fu chiesto tanto!

Sotto finanziamento cronico

La spesa universitaria italiana è fra le più basse in Europa: i francesi in rapporto al Pil spendono una volta e mezza, i tedeschi il doppio. Sottofinanziata e sottodimensionata, l’università a partire dai tagli imposti dal governo Berlusconi con relativo blocco del turnover ha perso circa 10 mila ricercatori. Per tornare ai livelli di partenza - hanno calcolato gli studenti di Link - ci vorrebbero non mille ma 5000 nuove assunzioni l’anno per quattro anni. A luglio Bussetti aveva promesso non solo «di accrescere in modo significativo il numero di professori e ricercatori» ma anche di mettere i nostri laboratori nelle condizioni (economiche) di trattenere i nostri talenti invece di regalarli alle università degli altri Paesi (nell’ultima tornata di finanziamenti europei per la ricerca gli italiani hanno superato anche i cugini d’Oltralpe: peccato che su 42 vincitori di Erc starting grants solo 12 resteranno a lavorare in Italia). Ci saranno questi soldi nella legge di Bilancio? E che fine faranno quei 400 milioni di euro stanziati per la ricerca di base dal governo Gentiloni, dopo anni di tagli, attingendo in parte al tesoretto dell’Iit di Genova?

Istruzione e interessi sul debito: la«lezione» di Moscovici

Nel documento programmatico di Bilancio inviato da Roma a Bruxelles è scritto che dal prossimo anno la spesa complessiva in istruzione (escluse scuole materne e educazione degli adulti) non solo non aumenta di un centesimo ma addirittura scende dal 3,6 al 3,5 per cento del Pil. Del resto altre sono le voci di spesa - dal reddito di cittadinanza alla riforma delle pensioni - su cui questo governo sta giocando il suo braccio di ferro con l’Europa. Le prime mosse del ministro dell’Istruzione hanno comportato finora sopratutto dei risparmi: a partire dal dimezzamento delle ore di scuola-lavoro che si tradurrà in un decurtamento del fondo dedicato al contestatissimo cavallo di battaglia della riforma renziana (secondo le stime della Cgil si passerà da 100 a 80 milioni l’anno). Per il rilancio della scuola italiana Bussetti sta puntando tutto sul potenziamento dell’insegnamento della ginnastica a scuola (con insegnanti specializzati fin dalle elementari) e sull’emergenza sostegno (quest’anno su 13 mila nuove assunzioni autorizzate solo 1.600 posti sono stati coperti: ecco perché il ministro ha promesso nuovi corsi per 10 mila insegnanti). Voci di spesa che ora, però, dovranno trovare una copertura finanziaria. Stando agli ultimi dati Eurostat disponibili (quelli relativi al 2016), l’Italia spende complessivamente in istruzione 65 miliardi l’anno (3,9 per cento del Pil) contro i 120 della Francia (pari al 5,4 del Pil) e i 132 della Germania (pari al 4,2 del Pil): siamo quintultimi in Europa, peggio di noi fanno solo Irlanda, Bulgaria, Romania e Slovacchia (dati aggiornati al 2016). A pesare negativamente, nel nostro caso, è il drammatico fardello del debito pubblic. Lo ha ricordato ieri anche il commissario europeo agli Affari economici Pierre Moscovici: l’Italia paga in interessi sul debito esattamente quanto spende in istruzione: 65 miliardi l’anno. Un modo neppure tanto implicito per ammonire il governo sulle conseguenze non solo «disciplinari» di un deficit al 2,4 per cento: più aumenta il disavanzo meno soldi ci saranno da investire in quei settori - istruzione, ricerca e sviluppo - che sono il vero volano delle economie avanzate.