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C’è scienza nel 10% dei corsi umanistici

La conferma arriva dai numeri di AlmaLaurea che possono costituire - al netto dell’impatto ancora da verificare del Covid-19 - uno strumento di orientamento prezioso per i 500mila studenti di quinta superiore

29/06/2020
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Il Sole 24 Ore

Eugenio Bruno

Ci vuole scienza non solo per invecchiare senza maturità, come cantava Francesco Guccini, ma anche per ridare nuova luce alle vecchie lauree umanistiche. La conferma arriva dai numeri di AlmaLaurea che possono costituire - al netto dell’impatto ancora da verificare del Covid-19 - uno strumento di orientamento prezioso per i 500mila studenti di quinta superiore. Con la maturità agli sgoccioli, per loro, è arrivato il momento di decidere se cercarsi un lavoro o iscriversi all’università. Oltre a ricordarci che laurearsi conviene, perché il titolo terziario assicura tassi di occupazione maggiori e retribuzioni più alte, il rapporto 2020 del consorzio universitario formato da 76 atenei fotografa la contaminazione sempre più marcata dei corsi umanistici, tale da renderli più attrattivi sul mercato del lavoro.

La contaminazione dei saperi

Marina Timoteo, ordinario di diritto comparato all’università di Bologna e direttore di AlmaLaurea dal 2015, ci aiuta a delimitare l’ambito della ricerca: «Il bisogno di superare divari, che si esprime a livello sociale, territoriale e di genere, si manifesta - spiega - sempre più anche nei confronti delle separazioni che mantengono distanti i saperi». Portando l’esempio della sostenibilità: «Studi recenti sui green skill – aggiunge – riconoscono che queste abilità sono espressione di un sapere multidisciplinare legato alle specifiche caratteristiche delle tecnologie verdi e dei processi di green innovation, che sono appunto l’esito di processi di combinazione delle conoscenze».

A essere interessate da questo fenomeno, come detto, sono soprattutto le digital humanities. Nell’anno accademico 2018/19 (il più recente a disposizione), su 660 corsi di area umanistica 67 (il 10,2%) avevano almeno il 5% di crediti di informatica o ingegneria informatica: il doppio di 15 anni fa. Viceversa, su 1.901 lauree scientifiche, solo 110 (ovvero il 5,8%) presentavano la stessa quota di crediti umanistici (lettere, arte, filosofia, storia, pedagogia). Ma se dal computo escludiamo architettura e scienze motorie (nonché la singola classe di diagnostica per la conservazione dei beni culturali) la platea si assottiglia a 14 corsi di studio con almeno il 5% di crediti umanistici (0,7%).

I benefici per i laureati

L’effetto della contaminazione, sempre a giudicare dai numeri di AlmaLaurea, è evidente. A 5 anni dal titolo tutti i laureati in ambito umanistico, da un lato, completano gli studi più frequentemente in corso e con voti più alti e, dall’altro, svolgono più frequentemente periodi di studio all’estero e tirocini curriculari. I risultati sul piano occupazionale si vedono: il tasso di occupazione dei laureati biennali umanistici del 2014, a 5 anni, è dell’86% rispetto al 81,9% dei corsi tradizionali; per trovare lavoro impiegano 6,7 mesi anziché 8 dall’inizio della ricerca; percepiscono una retribuzione superiore (1.382 euro di media contro 1.298) e, infine, riescono a strappare un contratto a tempo indeterminato nel 52,7% dei casi (e non nel 42% solito).

Con un’ultima annotazione interessante sulle prospettive di carriera, che non si limitano più all’insegnamento, dove generalmente finisce per lavorare il 44,7% dei laureati umanistici. In presenza di un titolo di studio contaminato con esami scientifici, prende la strada della cattedra meno di un quarto degli interessati.