Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Camusso: «Il blitz sui voucher una minaccia alla democrazia»

Camusso: «Il blitz sui voucher una minaccia alla democrazia»

Intervista. La segretaria della Cgil contro l’emendamento di Pd, Fi e Lega che reintroduce i buoni lavoro: appello al Quirinale e alla Consulta: «Non si era mai vista una forzatura simile nella storia della nostra Repubblica». «Il nuovo ticket è un imbroglio: non c’è contratto, mancano le tutele e i contributi rischiano di andare persi». «Un errore accelerare per andare a elezioni, troppe scadenze». Il 17 giugno manifestazione a San Giovanni

30/05/2017
Decrease text size Increase text size
il manifesto

«Andremo fino in fondo: la Cgil si appella al Presidente della Repubblica, scenderemo in piazza, ricorreremo alla Corte costituzionale. Non era mai accaduto nulla di simile nella storia della nostra Repubblica: approvare una legge per evitare una consultazione referendaria, e poi riproporla il giorno prima della data in cui si sarebbe dovuto votare». La segretaria della Cgil Susanna Camusso è concentrata alla scrivania del suo ufficio al quarto piano di Corso d’Italia, il telefonino riceve sms senza sosta, tutto il sindacato è in fibrillazione: l’appello a Sergio Mattarella – che tutti i cittadini possono sottoscrivere – è appena partito sui social, e si punta alla riuscita della grande manifestazione prevista il 17 giugno in Piazza San Giovanni.

Il vostro appello al Presidente Mattarella si intitola «Schiaffo alla democrazia», e prima ancora che sui voucher – sui contenuti – si concentra sui modi in cui è stata gestita questa partita. Vedete una minaccia alla nostra democrazia?

Ritengo che quando si indeboliscono le regole e la certezza delle istituzioni si è sempre di fronte a una minaccia alla democrazia. Non si tratta certo di una minaccia agita con le armi, ma è in atto un logoramento, uno svuotamento. Quando il governo aveva varato il decreto di abrogazione dei voucher, aveva anche precisato che non sarebbe stato scontato introdurre subito un nuovo strumento per le imprese, e che, se comunque lo avesse fatto, avrebbe prima sentito le parti sociali. E invece, nel finesettimana appena trascorso – quello in cui si sarebbe dovuto votare – abbiamo assistito a 48 ore surreali, con un «emendamento senza padri»: non si capiva se fosse da intestare all’esecutivo o al Pd, in un ping pong che a tutti è sembrato quello tipico di chi gioca di soppiatto.

Ve lo aspettavate un tiro simile? Il 6 maggio avevate festeggiato, e a fine maggio è tutto di nuovo in discussione.

Un fondo di preoccupazione lo abbiamo sempre avuto, c’erano tutti gli elementi per pensare che l’abrogazione fosse arrivata più per evitare la consultazione che non per convinzione, ma pensavamo che almeno la certezza dell’ordinamento costituzionale continuasse a essere garantita. Invece si è mostrata una assoluta disinvoltura, una disattenzione verso le regole, che è ancora più preoccupante quando senti molti commentatori dire che questo fatto non è poi così importante, che «non ha senso che un governo cada sul lavoro». Si continua a derubricare un tema, il lavoro, che invece tocca da vicino le persone, che in questi anni ha visto allontanare le istituzioni dai cittadini, alimentando il distacco.

Quindi ricorrerete innanzitutto agli organi di garanzia costituzionale. Tecnicamente con quali passaggi?

C’è innanzitutto, ed è partito subito sui social, un appello al Capo dello Stato Sergio Mattarella: a nostro parere si sta violando l’articolo 75 della Costituzione, perché si è aggirato – come non era mai accaduto prima nella storia della nostra Repubblica – un quesito referendario per cui era già stata indetta una consultazione popolare, poi annullata grazie a una legge. Se l’emendamento passato in Commissione Bilancio dovesse diventare legge, faremo ricorso alla Consulta. Aggiungo che è anomalo anche l’aver inserito questo tema in una manovra economica, senza soddisfare il requisito dell’urgenza e dell’unicità dell’argomento. Sono scivolamenti continui verso il non rispetto delle leggi, come è accaduto venerdì notte con un emendamento comparso improvvisamente, con l’obiettivo di sanare quanto il Tar aveva detto in una sua sentenza. Vorrei che i nostri rappresentanti dimostrassero maggiore senso delle istituzioni.

Immagino questo ultimo riferimento sia al caso dello scontro tra il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e il Tar del Lazio sui cinque direttori dei musei. E sul piano dei contenuti, perché i «nuovi voucher» non vanno bene?

Innanzitutto c’è il problema che non viene definito cosa sia il «lavoro occasionale» per le imprese: a parte l’edilizia, che non è stata prevista, questo strumento si potrà accendere per qualsiasi attività e categoria. Non esistono causali, campi di applicazione. I tetti di reddito sono solo poco più bassi di quelli precedenti. E poi lo stesso limite dei cinque dipendenti è aggirabile nelle imprese agricole e artigiane, dove sono impiegati anche i familiari, non conteggiati in questo tetto. In agricoltura, temiamo che intere stagioni verranno fatte con questi nuovi voucher, andando a sostituire i contratti provinciali: ancora una volta si punta solo a risparmiare sul costo del lavoro, e l’addetto dopo non avrà diritto neanche ai sussidi.

Però adesso – dice chi lo difende – il nuovo voucher è almeno in forma di contratto.

C’è un imbroglio alla base, un imbroglio che è prima di tutto nella comunicazione, quando si dice che si tratta di un contratto. Più che di un contratto, si tratta di un accordo commerciale tra due parti. Perché non esiste alcuna definizione dei diritti e dei doveri, delle tutele per la persona che presta la sua attività lavorativa. Non basta il riferimento alla legge sugli orari – noi ad esempio nei contratti la definiamo molto di più – e non basta che ci sia la contribuzione Inail e Inps, sacrosanta di per sé ma non adeguata nel modo in cui è stata prevista. Che ci debbano essere i contributi è il minimo, certo, altrimenti si sarebbe trattato di lavoro nero: ma il fatto che non si apra una posizione contributiva, ma che tutto vada alla gestione separata, porta al rischio che quei lavoratori non avranno mai reali prestazioni, a partire dalla malattia. Quei contributi si dovranno oltretutto poi ricongiungere, rischiando dei salassi per chi parte già da bassi redditi. Infine, la cosiddetta «tracciabilità» prevede che sì, devi attivare lo strumento un’ora prima, ma dice anche che puoi confermare la prestazione nei tre giorni successivi: non è che qualche impresa magari si dimenticherà di farlo?

Quindi come si dovrebbero regolare le aziende, secondo voi, per poter effettuare in regola i lavori non continuativi?

Lo abbiamo ripetuto fino alla stanchezza. Per le imprese esistono già tanti strumenti contrattuali: dall’extra-orario al part time, dal lavoro a chiamata fino alla somministrazione. Che peraltro, ci era stato detto che con il Jobs Act avrebbero dovuto progressivamente andare verso lo sfoltimento, e comunque costare di più del lavoro stabile: stiamo ancora aspettando, e nel frattempo arrivano nuove forme di rapporti precari. Per non parlare del pubblico: si dà l’ok a utilizzare i nuovi voucher per eventi di solidarietà, per le calamità. Definizioni generiche dove può rientrare tutto, e c’è una contraddizione con il Testo unico appena concordato con il governo, in cui si era sottoscritto l’impegno a stabilizzare i lavoratori del pubblico e ad evitare il ricorso al lavoro accessorio.

I voucher per le famiglie vi vedono invece d’accordo?

Il settore familiare è l’unico, come abbiamo scritto nella Carta dei diritti, che può prevedere un genuino rapporto di lavoro occasionale. Vedo comunque dei rischi: non vorrei che i nuovi buoni sostituissero i contratti di lavoro domestico, che esistono già e sono semplici da attivare. Oggi si fa tutto nella piattaforma Inps, ti arrivano perfino i bollettini a casa. E pure questi lavoratori, li spostiamo da una posizione Inps definita al calderone della gestione separata? In questo modo anche la loro condizione è destinata a peggiorare.

Ma questa improvvisa virata da parte del governo, del Pd, nei confronti di quello che era stato deciso solo poche settimane fa con l’abrogazione dei voucher, secondo voi è solo un modo per creare «l’incidente» e andare al voto in autunno? O è magari una «vendetta» contro la Cgil, anche per il 4 dicembre?

Faccio notare che tra i temi della riforma bocciata il 4 dicembre c’era – dicevano in campagna elettorale – l’obiettivo di facilitare i referendum, abbassando le soglie per il quorum. E adesso vediamo come hanno rispettato l’istituto del referendum. Detto questo, io credo che il partito di maggioranza avesse già deciso di accelerare verso le elezioni in autunno, indipendentemente dal tema voucher: e lo vediamo dall’attuale discussione sulla legge elettorale. Poi, sì, forse può aiutare avere l’occasione per «l’incidente». In ogni caso ritengo che sia un errore andare al voto in autunno: si rischia di non avere la legge di Bilancio, di andare in esercizio provvisorio, che scattino le clausole di salvaguardia e quindi l’aumento dell’Iva, il tutto in un momento di difficile definizione dei nostri rapporti con la Commissione Ue e di possibili novità da parte della Bce sul quantitative easing.

Quindi chiamate di nuovo il popolo italiano a mobilitarsi. Anche il papa di recente, parlando a Genova, ha concentrato il suo discorso sul lavoro.

Mi pare che papa Bergoglio abbia detto cose non scontate e nuove su cosa voglia dire fare impresa, sulla meritocrazia, concentrandosi sul lavoro non solo come fonte di reddito: ma anche come progetto che dà senso alla vita di una persona.