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Cappato: «Campi, officine e laboratori, contro la politica antiscientifica»

Parla Marco Cappato, il tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni che oggi a Roma apre un convegno su «Lo stato della ricerca in Italia», in occasione del tredicesimo anniversario della morte del militante radicale

20/02/2019
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il manifesto

Eleonora Martini

«Se nel Novecento i rapporti di forza politici si determinavano nei campi e nelle officine, oggi si determinano nei laboratori scientifici. È da lì che bisogna ripartire per contrastare la deriva anti-scientifica della società e dell’attuale classe politica». Marco Cappato (in edicola il suo libro Credere disObbedire Combattere, ed Rizzoli) è tra i relatori del convegno organizzato al Cnel di Roma dall’Associazione Luca Coscioni (in occasione del 13esimo anniversario della morte del militante radicale) per presentare il dossier «Lo stato della ricerca in Italia».

Scienza e politica. In che rapporto sono qui da noi?
Se guardiamo dalla parte del cittadino, vediamo tassi di analfabetismo funzionale tra i più elevati del mondo occidentale. È il prodotto di una disattenzione politica che riguarda innanzitutto la scuola, la formazione, attività che nel lungo periodo decidono il ruolo della scienza in un Paese. Poi ci sono i dati più conosciuti: la spesa per la ricerca e lo sviluppo che è ferma all’1,3% del Pil, meno della metà dell’obiettivo europeo del 3%, con la parte finanziata dal governo di poco superiore allo 0,5% del Pil, mentre gli stanziamenti del Miur verso gli enti pubblici di ricerca sono scesi dai 1.857 milioni del 2002 ai 1.483 milioni del 2015. Rimaniamo cioè al di sotto della media dei Paesi Ocse e Ue, anche se i ricercatori italiani producono il 4% dei contributi mondiali. E poi c’è l’assoluta sfiducia nel metodo scientifico, fenomeno che si sta aggravando nelle decisioni politiche. Non che debbano decidere gli scienziati, ma sarebbe compito dei tecnici lo studio di un problema e delle sue possibili soluzioni, lasciando poi le scelte alla politica e poi, di nuovo, ai tecnici la valutazione degli effetti. Di tutto questo neppure una traccia.

Eppure il M5S fa sfoggio di grande confidenza con le nuove tecnologie (piattaforma Rousseau) e mostra un approccio logico ai problemi (analisi costi-benefici Tav).
Facciamo un passo indietro: per decenni i tecnici sono stati utilizzati per rendere più credibili decisioni politiche già preconfezionate. Dunque ci sono ragioni vere per le quali la sfiducia nell’autorità politica si è radicata così profondamente nelle coscienze di un Paese come il nostro. Travolgendo anche il metodo scientifico, empirico, della prova, dell’errore, dei fatti, quello che invece dovrebbe essere centrale nelle decisioni pubbliche. La Lega e il M5S sono il simbolo di due visioni opposte – l’una identitaria e rivolta al passato, l’altra acriticamente aderente ad una pseudo modernizzazione tecnologica – che convergono verso il rifiuto del metodo critico. Entrambi si prefiggono prima lo scopo – cacciare gli immigrati, fermare la Tav o distribuire aiuti agli italiani – poi, a valle, ciascuno con la propria ideologia, costruiscono gli strumenti di propaganda per andare in quella direzione. La modernizzazione della partecipazione? È un mantra, ma in dieci anni il M5S non ha mai organizzato un referendum.

Con il convegno di oggi dite di avviare un lavoro “partecipativo” da svolgere nei prossimi mesi con scienziati, ricercatori ed esperti al fine di consolidare un Cahiers de Doléances da sottoporre all’attenzione dell’Onu quando, quest’anno, verificherà che l’Italia abbia rispettato i trattati internazionali in materia di diritti umani. Un lavoro che si prefigge di «reincludere la scienza tra le priorità politiche italiane». L’obiettivo non è però particolarmente difficile, nell’era dei parlamentari no vax, delle scie chimiche, del «controllo globale», dei terrapiattisti, dei corsi per esorcisti rivolti agli insegnanti sponsorizzati dal Miur, nell’era insomma dell’«ignoranza eletta a legge», per dirla con le parole del filosofo francese Armand Ferrachi (Le triomphe de la bêtise, Actes Sud)?
Beh, comunque siamo allenati e abituati a un nemico diverso ma certamente non meno pericoloso, il fanatismo clericale, che attraverso percorsi e per ragioni molto diverse arriva però allo stesso risultato: cioè alla contestazione della conoscenza basata su fatti, da rimpiazzare con dogmi. Ciò che effettivamente oggi rende il tutto più pericoloso sono i veicoli della comunicazione, per cui i cittadini sono sempre meno esposti al dibattito pubblico e al contraddittorio. Tendiamo cioè sempre di più a essere in contatto solo con chi la pensa come noi e ci dà sempre ragione. Un altro pericolo esplosivo per la fiducia nella scienza.

Come se ne esce?
Se rimaniamo in una sorta di dibattito per esperti, contrapponendo la razionalità del metodo scientifico all’irrazionalità delle fake news, abbiamo ragione ma non è detto che vinciamo la partita. La sfida politica, che non riguarda semplicemente gli addetti ai lavori, è mostrare che la scienza è lo strumento per il bene pubblico, per il benessere delle persone. Se oggi la risorsa più importante della nuova economia è la conoscenza, i nuovi campi e le nuove officine dove si determinano le sorti dei rapporti di forza politici sono i laboratori. Sono questi i nuovi luoghi, potremmo dire, della lotta di classe. Per il benessere delle persone. E bisogna lavorare perché che la rivoluzione tecno-scientifica non sia soltanto appannaggio delle aziende da una parte – i giganti della rete – e degli Stati dall’altra, nel controllare, censurare e reprimere il cittadino. Quello che serve è un enorme conversione dell’investimento pubblico in favore dell’empowerment del cittadino, del rafforzamento del potere di conoscenza, nel nuovo panorama tecnologico e scientifico. Perché, se invece di credere in una balla e circondarmi di persone che la pensano come me, inizio a capire che ne va della mia salute, del mio lavoro, del fatto se sarò sostituito da una macchina, se della modificazione del genoma ne potrò beneficiare anche io o lo potranno fare solo i ricchi, se cioè saranno chiare le conseguenze sociali del progresso scientifico e tecnologico, allora si potrà pensare di contrastare l’anti-scienza.