Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Cari insegnanti facciamo amare la storia a scuola

Cari insegnanti facciamo amare la storia a scuola

Giusto il manifesto di Giardina, Segre e Camilleri contro la riforma della maturità. Ma bisogna tornare a trasmettere la passione per lo studio del passato

05/06/2019
Decrease text size Increase text size
la Repubblica

di Franco Lorenzoni

Migliaia di studenti in piazza chiedono agli adulti di preoccuparsi un po’ più seriamente del futuro. Oltre mille professori e intellettuali firmano un appello perché non si dimentichi il passato. C’è qualche possibilità che queste due spinte a sottrarsi alla dittatura del presente si incontrino? Un’insegnante di Orvieto racconta che un suo allievo un giorno le ha domandato: «Perché dovrei studiare il passato se io vivrò nel futuro?» Sembra una domanda banale, ma se proviamo a prenderla sul serio forse possiamo provare a capire perché, da dieci anni, oltre il 97% dei ragazzi non sceglie la traccia storica all’esame di maturità.

L’abolizione di quella traccia ha valore simbolico e ha suscitato scandalo. Ma se vogliamo cercare strade per provare a rivitalizzare l’incontro tra i ragazzi e la storia, credo non basti chiedere il ritorno di quella prova e sia necessario porci un po’ di questioni riguardo alla formazione di noi insegnanti e al funzionamento di scuole e università. Tranne che per ristrette minoranze colte o fortemente politicizzate date come il 1° maggio, il 25 aprile e il 2 giugno non dicono nulla a bambini e ragazzi.Nellefamiglie regna una pressoché totale afasia riguardo alla storia e il racconto orale di fatti accaduti alle generazioni precedenti si è talmente affievolito da essersi spento, anche perché i genitori sono nati in anni lontani dalle tragedie della guerra, che hanno sempre portato con sé la necessità di essere ricordate e narrate. La Storia con la S maiuscola, venerata dalle organizzazioni di massa e dai movimenti collettivi del secolo scorso, dagli anni Ottanta si è rapidamente trasformata in oggetto polveroso di cui disfarsi. La conseguenza è che genitori vissuti nell’ultimo trentennio non considerino più la narrazione storica come terreno fertile per l’educazione dei figli.

Molti libri di testo che circolano nelle scuole inferiori e superiori illustrano ancora la storia in modo lineare e riduttivo, privilegiando guerre ed espansioni di imperi a una più complessa e articolata storia della cultura, delle culture, che permetta a bambini e ragazzi di comprendere come arte, architettura, lingue, economia e scoperte scientifiche, insieme al trasformarsi delle istituzioni e all’altalenante espansione dei diritti plasmino la condizione umana nei diversi continenti.

Ho avuto la fortuna di essere stato allievo di Emma Castelnuovo alle medie e nel suo insegnamento ogni regola e teorema matematico lei lo collegava alla storia, a chi lo aveva intuito e dimostrato. Con lei ho imparato a 12 anni che le cifre posizionali che rivoluzionarono la nostra relazione con i numeri ci sono arrivate dal Mediterraneo, che è sempre stato luogo di scambi culturali e ha permesso agli arabi di portare fino a noi le scoperte di matematici indiani. Ma perché la storia trovi senso nella scuola si deve nutrire e intrecciare con scienza e arte, letteratura e musica, statistica e demografia, che tanto hanno da dirci sul mondo che è stato e che verrà. Come è possibile, ad esempio, comprendere il ’900 senza conoscere qualche rudimento di storia della fisica e aver inteso la portata della rivoluzione di Kandinsky?

Per far questo, tuttavia, noi insegnanti dovremmo avere tempi e luoghi in cui confrontarci e discutere su ciò che andiamo proponendo ai ragazzi, mentre nell’attuale ordinamento della scuola solo gli insegnanti di scuola primaria dedicano due ore settimanali a una programmazione comune, necessaria a mio avviso in ogni ordine di scuola.

Quale formazione storica abbiamo noi insegnanti? Ho la sensazione che la storia, da tempo avvilita e dimenticata nella società, non ha il respiro che merita neppure nelle università dove ci formiamo noi insegnanti, tanto che ben pochi tra i giovani docenti che arrivano oggi nelle scuole conoscono il ricchissimo dibattito storiografico che si è svolto negli ultimi decenni. La relazione tra microstorie e storia, l’apporto della storia orale, la complessità come paradigma indispensabile per affrontare grandi nodi concettuali raramente alimenta la prima formazione e la formazione in servizio di noi docenti, per non parlare della scarsissima considerazione data alla didattica della storia. Oltre 50 anni fa, a Barbiana, don Lorenzo Milani proponeva ai suoi ragazzi di confrontare ciò che scrivevano il Saitta e lo Smith con ciò che raccontavano della guerra i loro genitori e nonni analfabeti, mandati a combattere in trincea. Oggi che il mondo popola le nostre classi, abbiamo l’opportunità di ascoltare voci con memorie di diversi continenti alle spalle. E allora perché non raccogliere questi frammenti di storia orale confrontandoli con uno studio serio e approfondito di cosa è stato il colonialismo, quali tracce abbia lasciato e quali siano gli esiti delle lunghe e mai terminate lotte anticoloniali? Per compiere queste lunghe e complesse manovre di avvicinamento è tuttavia necessario che noi docenti ci si abitui a lavorare con una ricca documentazione che vada ben oltre a ciò che forniscono i libri di testo e si sia capaci di fornire agli studenti materiali diversi su cui ragionare, discutere, mettere in forse certezze. Il grande nemico della conoscenza e dell’intelligenza sta nella semplificazione, che nella scuola dovremmo cercare di contrastare con ogni mezzo. Lo scorso anno, leggendo e rileggendo in classe le cinque folgoranti righe con cui Erodoto dà avvio alle sue Storie, i bambini sono stati molto colpiti dalla sua scelta di voler dare dignità e memoria sia ai greci che ai barbari e dal suo domandarsi «la ragione per cui essi vennero in guerra tra loro ». Un giorno Emilia a 11 anni ha scoperto su wikipedia che Erodoto era figlio di una greca e di un persiano. Siamo stati così felici di scoprire che la storia è nata dalla curiosità e dall’immaginazione di un uomo che incarnava l’incrocio tra culture proprio come Emilia, che è figlia di un uruguaiano e di una belga. A Erodoto, alla fine dell’anno, Maia ha scritto una lettera: «Secondo me hai fatto una delle invenzioni più utili di tutte: la Storia! Senza la storia come avrebbe fatto Martin Luther King a sapere di Gandhi e della nonviolenza e quindi fare come lui? E noi? Noi come avremmo fatto a sapere di tutti voi? Ipazia, nessuno saprebbe chi era...». Ecco, quando la storia diventa luogo di connessioni inaspettate apre la mente e non può non appassionare ragazze e ragazzi.