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Chiara Saraceno: «L’Italia è meno cupa: torna la solidarietà e il desiderio di politica»

Rapporto Censis 2019. Intervista alla sociologa e filosofa Chiara Saraceno: «In Italia non c’è abbastanza lavoro né reddito sufficiente per vivere»ma «lo stesso Censis registra il fatto che è aumentato il numero di chi partecipa al volontariato, un aspetto che contraddice l’immagine di una società sfiduciata di cui parla nel rapporto»

07/12/2019
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il manifesto

Roberto Cioccarelli

Professoressa Chiara Saraceno il Censis sostiene che prima o poi gli italiani si renderanno conto che delle élite non si può fare a meno. Cosa ne pensa?
Élite è un concetto usato sempre in modo strumentale, non è mai chiaro che cosa significhi, raramente è specificato. Significa persone competenti, la classe economica, i professionisti? Indica anche chi dice di essere contro le élite, ma ne fa parte. Salvini e la Lega, ad esempio. Élite comprende chi governa e chi aspira a governare. Anche la categoria di «italiani» è generica: c’è chi vota in un modo e chi in un altro o si astiene. Chi ha certi saperi e chi altri. Vorrei capire qual è la base empirica di queste indagini. Non imparo mai molto da questi rapporti del Censis, e sempre meno negli ultimi anni. Anche questo rapporto, come tutti gli altri, mette insieme cose di senso comune, più o meno empiricamente fondate, e produce ambivalenze. Sono fantasiosi nel trovare parole chiave e metafore che funzionano per i media, ma rischiano di oscurare la realtà.

Pensa la stessa cosa sulla valutazione del Censis per cui il 48% del campione dei loro intervistati dichiara che ci vorrebbe l’ “uomo forte al potere”?
Non so su cosa sia basato questo 48 per cento. In ogni caso, direi che c’è anche il rovescio: il 62 per cento non lo vuole. Ragionerei invece sul dato più solido e ricorrente delle intenzioni di voto. Sappiamo che il centrodestra guidato da Salvini al momento ha la maggioranza nel paese. Per questo non c’è bisogno del Censis.

Il caso delle sardine, da ultimo, dimostra invece che esiste una ricerca di partecipazione a cui la politica non risponde…
Infatti, anche se può essere un fenomeno ancora minoritario. E si spera che questi movimenti non si disperdano andando troppo in Tv. Lo stesso Censis registra il fatto che è aumentato il numero di coloro che partecipano al volontariato, un aspetto che contraddice l’immagine di una società sfiduciata di cui parla nel rapporto. La situazione è meno cupa di quanto si pensi: esistono molte persone per cui vale la pena di fare qualcosa con gli altri e per gli altri.

Il Censis dice che l’occupazione è un «bluff», nel senso che non produce reddito e crescita ma moltiplica la precarietà. Quando ha scritto un libro come «Il lavoro non basta» è a questo scenario che pensava?
Sì, in Italia non c’è abbastanza lavoro né reddito sufficiente per vivere. Parlo dei working poor, coloro che lavorano e sono poveri. Ci sono sempre stati in questo paese, ma negli anni della crisi sono aumentati sia quelli su base individuale che guadagnano meno, anche a causa dell’aumento del part-time involontario, sia quelli su base familiare che, pur avendo un reddito modesto ma adeguato alle medie salariali, soffrono. A cominciare dai nuclei dove almeno il capofamiglia svolge un lavoro operaio, o assimilato. Nel 12% dei casi si parla di povertà assoluta.

Si è sempre occupata del reddito minimo o di base. Che bilancio dà del cosiddetto “reddito di cittadinanza” istituito in Italia?
Non mi aspettavo che trovasse ai beneficiari un lavoro e quindi non mi scandalizza che oggi non ci sia. Mi scandalizza di più chi oggi in malafede si scandalizza. E mi scandalizza che non sia stato ancora messo in campo un modo per portare al lavoro chi potrebbe lavorare. Vedo due possibili sbocchi a questa situazione: o vanno avanti a oltranza continuando a erogare il sussidio, oppure i beneficiari alla scadenza della misura saranno buttati fuori perché un lavoro non gli è stato offerto e loro non l’hanno trovato. E sarà peggio per loro. Al momento sappiamo che solo una quota sembra pari al 30% dei beneficiari sarebbe nelle condizioni di lavorare subito o quasi. La dice lunga sul tentativo di presentare questa operazione come una politica attiva del lavoro. Se il 70% dei beneficiari non è in grado di lavorare allora parliamo di un sostegno alla qualità della vita, sperando che le nuove generazioni si trovino in una situazione migliore. Bisognerebbe occuparsi della povertà educativa a cominciare dai minori. Ma purtroppo questo lavoro non viene nemmeno fatto oggi.

Anche il Censis parla dei processi di denatalizzazione molto avanzati in Italia. Basta un «assegno universale» alle famiglie dal 2021 di cui parla la ministra Bonetti?
Sono favorevole all’assegno universale ma a prescindere dal reddito perché non avrebbe effetti negativi sul secondo reddito. Se ci fossero le risorse, ovviamente. Se l’assegno è legato al reddito più alto, com’era nella proposta Delrio, si producono ingiustizie. Se lo leghi al reddito familiare c’è il rischio di penalizzare il secondo reddito in famiglia. Mi sembra che il governo sia orientato a una misura di questo tipo. Bisogna allora fare in modo che non ci siano scaglioni di reddito troppo bruschi per cui una differenza di un euro provoca il passaggio a un altro gruppo causando la perdita della misura. Spero però che oltre a questo assegno ci siano i servizi.

Nella legge di bilancio dovrebbero esserci gli asili gratis…
Saranno gratis per chi il nido ce lo ha già, ma non credo sia previsto un intervento per il 75 per cento dei bambini sotto i tre anni che non lo hanno, soprattutto al Sud. Questo è un problema di pari opportunità tra i bambini: bisogna assicurare loro risorse educative al di là della famiglia. Gli investimenti sociali sui servizi non sono costi. Producono domanda di lavoro, e in particolare per le donne. Ci saranno più persone che pagano le tasse, più tutele. C’è sempre una restituzione. È vero che le risorse non sono infinite, ma si può scegliere se spenderle in un modo o in un altro. È sempre una questione di scelte.