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Classifiche? Il miracolo degli Atenei italiani, ma per la qualità servono fondi

«Non chiediamoci perché solo 5 università tra le prime cento: con i pochi fondi c’è da stupirsi del contrario. Ora gli Atenei sono valutati, lo Stato sa dove e come mettere i soldi»

18/07/2018
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Corriere della sera

di Paolo Collini, Rettore dell’Università di Trento

Paolo Collini

Le classifiche delle università mondiali non sono il Vangelo ma non sono neanche campate in aria. Se Harvard, Yale, Oxford sono sempre in cima alla lista non vuol dire forse che sono migliori di tutte le altre, ma certamente vuol dire che sono delle ottime università. Nei giorni scorsi è uscita la classifica delle università europee stilata dal Times Higher Education (THE), una delle agenzie più accreditate in questo settore. Non c’è nessuna università italiana tra le prime dieci. Prima tra le italiane è Trento (al 36esimo posto), poi Padova (46), poi il Politecnico di Milano, poi Siena, poi le Marche. Questa classifica misura in particolare la soddisfazione degli studenti sia circa la didattica sia circa l’ambiente di apprendimento: qualità dell’insegnamento, insomma, e qualità delle strutture. Il giudizio degli studenti è importante e attendibile, anche perché molti di loro hanno fatto esperienze all’estero, durante il loro corso di studi, e possono fare il confronto. Come ogni anno, si è levata la geremiade per l’assenza di atenei italiani nelle prime posizioni. Segno della mediocrità del sistema universitario italiano? Non direi proprio.

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Rapporto spesa-Pil: Italia in fondo alla classifica europea

Qualche giorno fa l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema universitario (Anvur) ha presentato il suo rapporto biennale, che dice tra l’altro che la produzione scientifica italiana è terza per qualità in Europa, dopo quella francese e quella tedesca, e che siamo tra i primi al mondo per la produttività dei ricercatori. Anche in questo caso, Trento, Padova e gli altri atenei italiani ben piazzati nella classifica di THE relativa alla soddisfazione degli studenti risultano essere quelli in cui secondo l’Anvur si fa ricerca di livello più alto: qualità della didattica e qualità della produzione scientifica non si escludono, come pensa qualcuno, ma vanno di pari passo. Ottimi ricercatori sono anche, di solito, ottimi docenti. Lo stesso rapporto Anvur mette però in evidenza che la spesa annuale per studente nel nostro sistema universitario è inferiore di circa il 25% alla media OCSE, collocandosi al 24esimo posto su 34. Ripeto: terzi per la ricerca, 24esimi per l’investimento per studente. Nel Regno Unito, dove si trova la gran parte delle università che stanno davanti a Trento nella classifica del THE, la spesa media per studente è più che doppia rispetto a quella italiana.

La deduzione non è difficile: sia secondo il THE sia secondo l’Anvur, le università italiane hanno performance didattiche e scientifiche di altissimo livello: è probabile che, fatte le debite proporzioni, in nessuno Stato europeo l’investimento in istruzione dia risultati altrettanto buoni. Il problema, ovviamente, è che l’investimento italiano è troppo scarso per renderci davvero competitivi, e tra l’altro per avere un numero di laureati che sia in linea con la media Ocse.

L’Università di Trento ha ottenuto in questi anni gli eccellenti risultati che ho detto anche perché può contare sui finanziamenti della Provincia autonoma, che non raggiungono certo gli standard europei (ne siamo lontani!) ma superano lo standard italiano. Che fare? Fino a qualche anno fa c’era qualche remora a investire in un sistema di ricerca e di formazione che non dava garanzia sul buon utilizzo dei fondi e che non era possibile valutare. Ora la valutazione c’è, c’è stata, ci sarà: e la stessa Corte dei Conti nel Referto sul sistema universitario ha confermato, per la parte di sua competenza, che il nostro sistema universitario è complessivamente sano. Non dovremmo stupirci del fatto che non ci sono università italiane tra le prime dieci d’Europa; se guardiamo ai finanziamenti, dovremmo stupirci del fatto che ce ne sono cinque tra le prime cento. E dovremmo batterci perché tutti gli atenei italiani possano contare su finanziamenti almeno pari a quelli su cui può contare Trento, se dimostrano di meritarli. È un investimento che funziona: abbiamo le prove.