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Concorsi e merito per i docenti

di Andrea Gavosto* *direttore Fondazione Agnelli

10/09/2019
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ItaliaOggi

L'anno scolastico si apre con una sola buona notizia - i nuovi dirigenti scolastici usciti dal concorso infine al loro posto - e diverse negative: fra queste, aumenterà ancora il numero dei supplenti annuali, forse toccando il record di 200 mila.

Su un orizzonte più ampio a preoccupare davvero è, tuttavia, il quadro drammatico degli apprendimenti fornito dalle prove Invalsi. Al termine del ciclo di studi, al quinto anno delle superiori, uno studente su tre non raggiunge in italiano, matematica e inglese il livello di competenze minimo definito dallo stesso Miur; in molte regioni del Sud, questa percentuale sale al 50%. A partire dalla scuola media, i livelli di apprendimento nel Mezzogiorno crollano rispetto al Nord, raggiungendo all'ultimo anno divari che corrispondono a due anni di studio. Gli istituti tecnici e professionali sono dappertutto in forte ritardo rispetto ai licei. Anche quando dello stesso indirizzo e della stessa regione, le scuole mostrano fra loro differenze marcate, a riprova di quanto i risultati dipendano dalla qualità di docenti e dirigenti. Nel frattempo, è nato il governo M5s-Pd. Che cosa dovrebbe proporsi per rimediare a questi fallimenti della nostra scuola? Indico tre interventi prioritari.

Il primo riguarda la selezione e formazione degli insegnanti. Il meccanismo di reclutamento non funziona più: di anno in anno si aggrava la carenza di docenti di ruolo in molte materie (scientifiche, ma non solo). Il fenomeno dal Nord si sta estendendo ad altre regioni ed è la prima spiegazione per l'incredibile numero di supplenti. I governi precedenti hanno quasi sempre provato a rispondere con sanatorie - come il concorso straordinario del ministro Bussetti, in stand-by per la crisi di governo - che non hanno risolto il problema, ma impoverito la qualità degli insegnanti. Serve un meccanismo di accesso continuo alla professione (come concorsi regolari), una valutazione più rigorosa delle competenze disciplinari e soprattutto didattiche dei nuovi assunti (e una più seria manutenzione di quelle dei docenti in servizio). Ogni dirigente scolastico dovrebbe poi avere la possibilità di scegliersi i docenti che servono al suo istituto.

Il secondo intervento riguarda la carriera docente. Una volta in ruolo, l'unica progressione salariale è - come noto - per anzianità. Ma, senza un riconoscimento della qualità del lavoro, si attira nella professione chi è meno disponibile a impegnarsi e ad assumere anche responsabilità organizzative. Aumenti retributivi a pioggia - ne hanno parlato esponenti sia dei 5S sia del Pd - avrebbero poco effetto. Servono invece incentivi - come scatti di carriera legati al merito e a un orario di lavoro più ampio - affinché giovani laureati di qualità scelgano l'insegnamento.

Terzo, prolungare il tempo scuola. Sappiamo che più ore trascorse a scuola (non solo a lezione) funzionano come antidoto all'abbandono, purtroppo di nuovo in crescita soprattutto fra le ragazze. In Italia, la scuola al pomeriggio esiste solo alla primaria e quasi solo al Nord: estendiamola almeno alla media e su tutto il territorio nazionale. Se ne gioverebbe - e tanto - l'innovazione didattica.

E l'università? Con appena l'1% del Pil, in Italia spendiamo davvero troppo poco nell'istruzione terziaria, molto sotto la media europea. Così è difficile aumentare la quota di laureati. Un segmento dell'offerta universitaria che da noi manca quasi del tutto, a differenza del resto dell'Europa continentale, è quello professionalizzante. Dopo alcuni esperimenti, è ora di svilupparlo in modo serio, per dare sbocchi occupazionali di qualità e aiutare la capacità innovativa del sistema delle imprese.