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Concorso presidi, un vincitore su due andrà fuori regione. Appello per una «mobilità straordinaria»

I paradossi del nuovo concorso su base nazionale: docenti campani costretti ad andare in Lazio, laziali in Toscana, toscani in Veneto e così via. Lettera di 600 nuovi dirigenti al governo per chiedere di togliere il vincolo di tre anni nella nuova sede

21/08/2019
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Corriere della sera

Orsola Riva

Non c’è pace per i nuovi dirigenti scolastici che hanno vinto il concorso di quest’anno. Dapprima hanno rischiato di non entrare in ruolo perché il Tar, accogliendo uno dei tantissimi ricorsi, aveva decretato l’annullamento di tutta la procedura. Poi, su richiesta del Miur, è arrivata la sospensiva della sentenza da parte del Consiglio di Stato e così il primo agosto sono state pubblicate le graduatorie dei vincitori: 2.900 per il prossimo triennio, 1.984 di ruolo già dal primo settembre. Ma ora - come segnalato in un appello al presidente della Repubblica e al governo sottoscritto da circa 600 nuovi dirigenti - molti di loro rischiano di dover scegliere se andare a lavorare in una regione diversa dalla propria o rinunciare per sempre al posto. La questione non è nuova e non vale solo per i presidi, visto che i docenti vengono in gran parte dal Sud ma i posti liberi sono soprattutto al Nord dove, notoriamente, si fanno più figli. Ma nel loro caso si aggiungono alcune anomalie create dagli strascichi dei precedenti concorsi che hanno determinato situazioni limite come quella della Campania dove per i vincitori del concorso non c’era neanche un posto a disposizione anche se in realtà di posti vacanti ce n’erano, eccome. Solo che sono andati tutti e sessanta vuoi ai bocciati dei concorsi passati che hanno fatto ricorso e vinto al Tar, vuoi a quei presidi, già di ruolo, che hanno chiesto il riavvicinamento a casa.

Effetto domino

In più, poiché a differenza degli altri concorsi indetti su base regionale, questo era nazionale, si è creato un effetto domino per cui i campani sono finiti in Lazio, i laziali in Toscana, i toscani in Lombardia e così via. Nella scelta della regione, infatti, vince chi è più alto in graduatoria, quindi può capitare che un docente calabrese arrivato 1343esimo vinca il posto in Lombardia mentre un suo collega lombardo arrivato subito dietro di lui debba andare in Veneto. Risultato: più della metà dei vincitori assunti a settembre - circa mille nuovi presidi - sono destinati a occupare sedi lontane dalla propria regione e non potranno chiedere il riavvicinamento a casa prima di tre anni. A meno che, come chiesto nella lettera, il governo non avvii una procedura di mobilità straordinaria. Con un ulteriore smacco dovuto al fatto che, essendo le assunzioni scaglionate su tre anni, c’è il rischio più che concreto che chi verrà assunto nel 2020-21 abbia più chance di restare nella propria regione di chi entra in ruolo da subito. Con buona pace del principio del merito, visto che i primi 1.984 nuovi dirigenti sono anche quelli che sono andati meglio al concorso. Non è ancora chiaro, tra l’altro, cosa intenda fare il Miur con i posti lasciati liberi da chi rinuncia: verranno dati in reggenza (che sarebbe un ulteriore paradosso visto che il concorso era pensato per arginare se non per chiudere la piaga delle reggenze) o assegnati a partire dal 1985esimo posto (che sarebbe un’ingiustizia)?