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Corriere - Troppe riforme, si rischia di perdere il contatto con la realtà

Troppe riforme, si rischia di perdere il contatto con la realtà IL DOCENTE "Troppe riforme, si rischia di perdere il contatto con la realtà" "La delusione più grande? Vedere colleghi fru...

13/11/2001
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Corriere della sera

Troppe riforme, si rischia di perdere il contatto con la realtà
IL DOCENTE
"Troppe riforme, si rischia di perdere il contatto con la realtà"
"La delusione più grande? Vedere colleghi frustrati e senza più passione"

MILANO - Professore, quanto guadagna al mese? "Due milioni e ottocentomila lire".
E ce la fa?
"Diciamo che si vive. Ma in gioco, quando si fanno questi conti, entrano molte variabili: se possiedi una casa e non devi pagare l'affitto, se sei sposato o vivi solo, se hai figli. In assoluto è una cifra bassa. Tolto l'indispensabile, ci stanno cinque-sei libri, qualche buon film e poco altro".
Ore di lavoro?
"Diciotto a settimana, da 28 anni".
Guido Panseri, 52 anni, insegnante di filosofia al liceo classico Berchet di Milano, ha imparato ad amare la scuola così com'è, "con i suoi difetti e le sue contraddizioni". E' ancora ottimista: "L'importante è conservare gli ideali: questa è una vocazione. Non saprei rinunciare alle ore in classe". Bergamasco di Torre Boldone, a Milano dai tempi dell'università, la Statale. Separato, una figlia ventenne iscritta a giurisprudenza: "Abbiamo un rapporto felice. L'ho tenuta d'occhio senza cedere alla tentazione di fare il piccolo maestro". In cattedra nel 1973: "Il tempo dei corsi delle 150 ore, ricorda? Era una scuola diversa. Più rigida, più chiusa. La scuola degli anni di piombo". Un lungo periodo all'Irsae Lombardia, istituto di ricerca e sperimentazione scolastica, al Berchet dal '78. Poche passioni: politica, cinema, animali.
Panseri, è stato un sessantottino?
"Con distacco. Studiavo ed ero impegnato in politica, a sinistra. Famiglia operaia, valori molto decisi. Apprezzavo l'effervescenza di quella stagione. Ma i miei punti di riferimento erano altri: il sindacato, soprattutto".
Per gli studenti lei è un totem, "uno che li sa prendere".
"Parliamo molto, anche d'attualità. Leggiamo i quotidiani. I giovani hanno un disperato bisogno di capire. Chiedono attenzione. Il loro malessere nasce dall'insicurezza. Avvertono il pericolo di essere puntini invisibili in una moltitudine, anziché individui autonomi e pensanti. Lo studente modello è colui che combatte per un'idea. Sono convinto dell'importanza della bocciatura: è una ferita non mortale, utile a sviscerare il male e avviare la guarigione".
Com'è cambiata la scuola?
"Ho visto alternarsi molti ministri, più o meno bravi, tante riforme nascere e abortire. E ogni volta era l'anno zero. Ma io dico: se una riforma cala dall'alto allora è pura cosmetica politica".
La delusione più grande?
"Vedere crescere la crisi d'identità degli insegnanti. E con essa la frustrazione, la voglia di tirare i remi in barca, di nascondersi dietro il muro delle nozioni. Il rischio è che svanisca la passione e si perda il contatto con i ragazzi".
Le cause?
"Troppo spesso la scuola viene spacciata per il luogo in cui, d'incanto, si può risolvere ogni problema: droga, sicurezza, salute. Così l'insegnante è una specie di vigile in mezzo a un ingorgo di richieste formative a cui, non di rado, non è in grado di dare risposte".
Perché?
"Mancano gli strumenti per approfondire. In giro c'è molta povertà culturale. Da anni mi batto perché si alzi il livello del confronto tra i prof, perché nasca una sorta di clinica pedagogica. La salvezza della categoria sta tutta lì".

Paolo Baldini