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Corriere: Università, il falso mito delle facoltà «difficili»

Lauree e metodi di valutazione

11/01/2009
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Corriere della sera

La maggioranza degli studenti pensa che le materie scientifiche siano più ostiche di quelle umanistiche. In realtà non è così: molto dipende dal sistema di valutazione dell'«indice di difficoltà»

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e materie umanistiche sono più facili di quelle scientifiche? Tanti studenti la pensano così: l'idea che un corso di laurea in matematica sia più ostico di uno in lettere è uno stereotipo radicato, e non solo in Italia. Nel gergo studentesco inglese, materie come sociologia o scienze della comunicazione vengono chiamate Mickey Mouse subjects e le università più prestigiose di fatto non tengono conto dei voti di maturità in queste discipline ai fini dell'ammissione. Ma che cosa determina la maggiore o minore «difficoltà» di una materia di studio?

Una ricerca condotta presso l'Università di Durham consente di gettare un po' di luce sulla questione. Gli autori hanno analizzato i risultati delle prove di maturità (che nel Regno Unito sono uguali per tutti) per un lungo arco di tempo e hanno trovato che vi è effettivamente un'ampia variazione fra materie. I voti più bassi si trovano in fisica, biologia e chimica mentre i cosiddetti Mickey Mouse subjects registrano sistematicamente voti medi più alti. La differenza rimane anche controllando l'influenza di molti fattori «estrinseci», come il

background degli studenti, la loro motivazione, il programma di esame e così via.

Dobbiamo allora concludere che vi è qualcosa di «intrinsecamente» più difficile nella chimica rispetto alla sociologia, nelle scienze esatte rispetto a quelle umane? La stampa britannica ha interpretato in questo modo i risultati della ricerca e così hanno fatto anche vari accademici, rafforzando lo stereotipo di una presunta «gerarchia» fra campi del sapere. La lettura attenta dei dati suggerisce tuttavia un'interpretazione più sfumata.

Le materie umanistiche non sono tutte uguali. Per la storia, l'economia, la psicologia e la scienza politica l'«indice di difficoltà relativa» calcolato dai ricercatori di Durham è superiore alla media.

Sorprendentemente la matematica ha un indice più basso rispetto a chimica, fisica e biologia. Le lingue straniere si rivelano invece difficili come la matematica. Infine la materia con l'indice di difficoltà più elevato si chiama general studies; ha un taglio socio-umanistico e combina fra loro storia, filosofia e scienze sociali.

Non sembra dunque esservi nulla di intrinsecamente più difficile nelle materie scientifiche.

Da che cosa dipende allora la variazione? Fra le tante possibili spiegazioni quella più plausibile punta il dito sulle modalità di valutazione: alcune materie sono più difficili perché si prestano a disegnare prove di esame più precise e puntuali. Lo studio di Durham non approfondisce l'analisi di questo aspetto, ma potremmo metterla così. In una prova di chimica o di francese è più semplice stabilire quale sia la risposta giusta: gli esercizi hanno un'unica possibile soluzione. In storia o letteratura non vi sono «esercizi» e le domande puntuali e precise sono spesso tacciate di «nozionismo». Le prove tendono dunque a basarsi su quesiti aperti che invitano ad analizzare un

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fenomeno o un autore. In questo caso non esiste una risposta «giusta» in assoluto e si tende a valutare soprattutto la capacità di ragionamento oppure l'originalità interpretativa del candidato. Per un docente è più problematico catalogare una risposta come totalmente «sbagliata», così i voti finiscono per essere un po' più alti.

Quali che siano le sue cause, è indubbio che la variazione dell'indice di difficoltà costituisce un problema. Da un lato tende a scoraggiare la scelta delle materie scientifiche, che gli studenti percepiscono come «intrinsecamente» più ostiche; dall'altro lato tende a svalutare per ragioni largamente «estrinseche» la reputazione delle materie umanistiche.

Che fare? Lo studio inglese propone di introdurre nelle procedure di ammissione all'università un fattore di correzione che alzi i voti delle discipline scientifiche. Tuttavia, come dimostra l'esempio dei

general studies, è possibile immaginare uno scenario alternativo: modificare gli standard di valutazione delle materie umanistiche, magari recuperando al loro interno il valore del «nozionismo».

La conoscenza precisa di fatti, opere o istituzioni, di conoscenze puntuali in campo storico, letterario o sociologico è infatti condizione necessaria per condurre esercizi «giusti» di analisi e interpretazione.

Commentando la ricerca, il direttore della National Association for the Teaching of English, Ian McNeilly, ha affermato: «Chiunque pensi che la letteratura inglese sia una opzione "soft" dice un'emerita sciocchezza. Se i colleghi scienziati provassero a fare i nostri esami, scoprirebbero che sono tutt'altro che passeggiate». McNeilly ha ragione. Non esistono discipline di serie A o B e non esiste un «metro aureo» per misurare la loro intrinseca difficoltà. Ciò che serve (anche in Italia) è una seria riflessione di metodi e standard di accertamento e valutazione, al fine di accrescere sia l'attrattività delle materie scientifiche sia la reputazione di quelle letterarie. Sarebbe un gioco a somma positiva, capace di combattere gli stereotipi e orientare meglio le scelte degli studenti.