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E la super tesina alle medie diventa un affare di famiglia

La prima prova importante per adolescenti si trasforma in una corsa a ostacoli per i genitori. Ma è giusto così? Secondo i pedagogisti no

07/04/2018
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Corriere della sera

Valentina Santarpia

Quando l’anno scorso ho visto la mia vicina di casa tornare trafelata a casa, alla viglia dell’esame di terza media del figlio, per completare il lavoro della sua prova di tecnica, ammetto di essere rimasta stupita. «Ma cosa fai?», le ho chiesto. «Dobbiamo riverniciare le pareti del “nostro” progetto di villa T a Ragusa», ha spiegato Eleonora Di Placido, 48 anni. Suo figlio Valerio, licenziato l’anno scorso in una scuola media di Roma, doveva portare un plastico per l’esame finale. E lei ha trascorso le settimane precedenti a comprare materiali astrusi come il poliplat, misurare, costruire, incollare, aggiustare. Un’eccezione da madre con manie di onnipotenza? «Assolutamente no- dice oggi che ricorda quell’esperienza come un incubo- Nel negozio di modellismo mi hanno detto che alcuni genitori ordinano mesi prima i lavori da far portare ai propri figli a scuola. Io ho almeno provato a coinvolgere Valerio nell’esecuzione, anche grazie alle mie reminescenze da liceo artistico. Ma l’insegnante non ci ha seguito per niente. Non è corretto. La scuola dovrebbe farsene carico».

E invece spesso non accade. Slide da realizzare con Power point, elaborazioni virtuali di Dna, composizioni ad albero che collegano le diverse materie come rami: chi più ne ha, più ne metta. L’esame di terza media si trasforma in un percorso ad ostacoli per le famiglie degli studenti, che vengono coinvolte- spesso loro malgrado- in estenuanti affiancamenti ai propri figli. Ma è giusto? «No, per almeno due motivi - spiega Elisabetta Nigris, pedagogista e presidente del corso di laurea in Scienze della formazione primaria alla Bicocca di Milano -. Il primo è che si crea una grossa discriminazione tra figli di genitori che, per capacità culturali o economiche, o anche solo per tempo a disposizione, sono in grado di accedere a certe fonti e aiutare i ragazzi a eseguire un lavoro elaborato. Il secondo riguarda il ruolo: i pedagogisti dovrebbero essere gli insegnanti, non i genitori, che possono seguire, ma non sostituirsi». Quindi a un figlio che chiede aiuto va detto di no? «Se la scuola ha delle richieste troppo alte, è naturale che la famiglia intervenga in maniera sempre maggiore - dice Nigris - Ma è un peccato: perché si toglie ai ragazzi la possibilità di sviluppare capacità di produzione grafica, artistica, unire talenti musicali o sportivi, usare le tecnologie, insomma di esprimersi». Tanto più che la vecchia «tesina» ha cambiato forma nel tempo: «Non si usa più questo termine da anni nella normativa- spiega la professoressa Daniela Di Donato, educatrice digitale- I docenti per semplificare hanno usato un vecchio strumento, che in realtà anche la Buona scuola ha ridimensionato: il ragazzo è invitato a tenere un colloquio spontaneo, una narrazione di quanto imparato, filtrato attraverso le esperienze». Facile a dirsi, meno a farsi. Gli studenti sono in grado di cavarsela da soli? «La questione è più complessa- dice Paola Perucchini, psicologa dell’educazione, università Roma 3- gli insegnanti dovrebbero rendere autonomi gli alunni. Il supporto dei genitori è e deve essere diverso da quello della scuola, entrano in gioco altre dinamiche. A mio avviso una scuola che delega alle famiglie dimostra di non essere all’altezza». Ma a volte i genitori sembrano non poterne fare a meno, ed è difficile delineare il confine sottilissimo tra desiderio di esserci, insofferenza di dover partecipare, bisogno di mantenere un legame che sta per spezzarsi. «L’anno scorso i miei genitori mi hanno aiutato a collegare e riassumere gli argomenti per la tesina sulla donna per l’esame - confida Carla Guglielmi, ora al I liceo linguistico- Senza di loro? Panico ».