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E ora il gap tra privati e pubblici potrebbe tornare ad allargarsi

Gli ambiti di intervento sindacale ad oggi già sono stretti

19/02/2019
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ItaliaOggi

CArlo Forte

Il governo avrà facoltà di rimettere mano alle materie in cui la contrattazione collettiva ha titolo a derogare le norme di legge per introdurre trattamenti più favorevoli per i lavoratori. Lo prevede un disegno di legge delega approvato in via preliminare dall'esecutivo il 21 dicembre scorso. Il disegno di legge, approvato dal consiglio dei ministri la scorsa settimana, delega il governo a specificare, in un apposito decreto legislativo, le ipotesi di derogabilità delle disposizioni di legge da parte della contrattazione collettiva «ferma l'inderogabilità delle disposizioni di legge da parte della contrattazione individuale». Dunque, a 15 anni di distanza dalla contrattualizzazione del rapporto di lavoro, il legislatore ritorna ancora sulla questione dei vincoli all'introduzione di trattamenti più favorevoli a beneficio dei lavoratori del pubblico impiego. Vincoli che non sussistono per i lavoratori del settore privato. Per i quali la legge fissa solo il trattamento minimo. E assegna alla contrattazione collettiva la possibilità di prevedere miglioramenti delle condizioni di lavoro. La questione viene da lontano.

Nel 1993, con il decreto legislativo 29/93, il governo Amato introdusse la facoltà per la contrattazione collettiva di prevedere migliori condizioni di lavoro per i dipendenti pubblici (previsione astratta e quasi mai applicata) anche derogando le norme di legge. Vale a dire, prevedendo la prevalenza del contratto sulla legge qualora le due fonti risultassero in contrasto tra loro (cosiddetta primazia del contratto collettivo nazionale di lavoro). Così come avviene per il settore privato. La norma rimase in vigore fino al 2009. Anno in cui il governo Berlusconi, con il decreto legislativo 150/2009 (il cosiddetto decreto Brunetta), cancellò questa possibilità.

Infine, nel 2017, il governo Gentiloni, con il decreto legislativo 75 (decreto Madia), reintrodusse parzialmente la facoltà, per la contrattazione collettiva, di prevedere trattamenti migliorativi per i dipendenti pubblici anche derogando la legge. Ma solo per la materia delle assenze tipiche. Fermo restando che l'ultimo rinnovo contrattuale non ha previsto alcuna modifica della disciplina preesistente in tale materia. E quindi le novità astrattamente previste dal decreto 75 in tema di derogabilità sono rimaste solo sulla carta.

Il decreto Madia dispone, peraltro, che «nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge». Il campo d'azione del tavolo negoziale, dunque, è molto limitato. Tanto più che le materie retributive sono comunque vincolate dai finanziamenti che il governo mette a disposizione per i rinnovi contrattuali. Ed è prassi che la prestazione ordinaria non venga modificata in contrattazione. Nell'attuale contesto, dunque, la possibilità di derogare le norme di legge, più che essere nella disponibilità delle parti, rientra in via esclusiva nelle prerogative del governo. Che indica, di volta in volta, cosa intende modificare e cosa no, secondo l'indirizzo politico del momento.

Si pensi, per esempio, alla questione degli ambiti e della chiamata diretta dei docenti, espunti dal contratto sulla mobilità solo grazie al ridimensionamento di questi istituti adottata con l'ultima legge di bilancio. E in vista della loro definitiva cancellazione per legge. Che dovrebbe avvenire in attuazione del contratto di governo stipulato a suo tempo da Lega e Movimento 5 stelle.

Sul piano strettamente pratico, quindi, la contrattazione collettiva nel pubblico impiego ha le mani legate e gli spazi di manovra rientrano nell'esclusiva disponibilità del governo. La specificazione «delle ipotesi di derogabilità delle disposizioni di legge da parte della contrattazione collettiva», dunque, non farebbe altro che porre in luce una situazione di fatto. Resta da vedere se l'intenzione del governo sia quella di cancellare definitivamente quello che resta della privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblico. Molto poco, in verità. Oppure aprire nuovi spazi negoziali.

La scarna formulazione della norma che dispone la delega al governo e l'assenza di elementi di dettaglio nelle relazioni di accompagnamento del provvedimento non consentono, infatti, di fare previsioni. L'unica cosa certa è che il governo avrà ampia libertà nel regolare questa delicata materia. E la discussione parlamentare avrà un ruolo del tutto marginale. In questi casi, infatti, la legge prevede solo che le commissioni parlamentari competenti possano esprimere dei pareri. E che, sempre presso le commissioni, possano tenersi audizioni informali delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di settore. Ma il potere di legiferare spetterà al governo in via esclusiva.