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“Eppure le nostre facoltà scientifiche sfornano eccellenze invidiate all’estero”

Fernando Ferroni presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucelare

06/10/2017
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la Repubblica

Pochi e mal preparati. Se questo è il quadro dei laureati italiani, i dati dell’Ocse non spiegano il successo del nostro paese nel mondo della ricerca. «L’Italia è uno dei rari paesi — ha scritto ieri

Nature

— a coniugare scarsa capacità di attrazione dall’estero con alta produttività scientifica». L’European Research Council conferma che la nostra media delle pubblicazioni è alta rispetto agli investimenti per la scienza. Fernando Ferroni insegna fisica sperimentale alla Sapienza di Roma ed è dal 2011 presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), l’ente che gestisce l’antenna gravitazionale di Càscina menzionata nel premio Nobel di martedì.

Insomma, sono bravi o no i nostri laureati?

«Sì, quando arrivano in fondo. Ma sono troppi quelli che abbandonano gli studi. La riforma del 3+2 ha cercato di metterci una toppa, ma non ha intaccato la sostanza del problema».

I laureati in scienze trovano facilmente posto all’estero. Questo contraddice l’Ocse?

«L’università italiana, nelle materie scientifiche, riesce a formare molto bene solo pochi studenti. Ha una fascia di serie A eccellente, ma sottile. La maggioranza ha una preparazione sotto alla media. La nostra è un’università difficile, e non mi riferisco al contenuto delle lezioni, ma alla povertà dei mezzi che mette a disposizione degli iscritti».

Cioè?

«Le facoltà scientifiche hanno bisogno di laboratori all’avanguardia. E quindi di investimenti. Non puoi preparare i ricercatori del futuro con gli strumenti di cinquant’anni fa. Così si rischia di depauperare un’eredità che nella fisica è una delle più ricche del mondo».

Perché allora le carriere scientifiche dei nostri ragazzi sono spesso così brillanti?

«Molte facoltà scientifiche sono aiutate dagli enti di ricerca.

Infn, Cnr e altri investono in strumenti moderni per i laboratori, dando una mano agli atenei. Il nostro ente offre ai laureandi l’opportunità di passare un anno a Stanford o al Cern di Ginevra. Ma è un’eccezione. Per molti ragazzi il successo dipende dalle doti individuali. Il fisico Richard Feynman disse alla fine di una lezione che i ragazzi destinati a diventare ricercatori lo avrebbero fatto anche senza averlo ascoltato. Molto di quel che Fermi sapeva, lo aveva studiato da solo».

Eppure i laureati italiani in materie scientifiche hanno ottime chance all’estero.

«Perché i programmi sono ottimi. Un laureando italiano, a parità di impegno, è molto più preparato di un coetaneo americano. Negli Stati Uniti i corsi universitari sono meno specialistici. Lì la vera formazione dei ricercatori avviene più tardi, nei cinque anni del dottorato. In Italia anche un laureato è pronto a intraprendere una carriera nel mondo della scienza. Ma questo patrimonio rischia di depauperarsi, se non investiamo di più per mantenere i laboratori all’avanguardia e non prestiamo più attenzione all’orientamento. I liceali non hanno alcuna bussola al momento di iscriversi in una facoltà. Invece ci vorrebbe un periodo lungo — anche un intero semestre — per affacciarsi nelle università e capire cosa si desidera fare. L’abbandono prima della laurea è un problema per la società e a volte anche un dramma individuale per i ragazzi ».