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Esami terza media e prof di religione, lettera a Bussetti: via da lì, chi non s’avvale è danneggiato

Continua a far discutere la presenza dei docenti di religione nelle prove d’Esame di terza media, introdotta per la prima volta lo scorso anno

11/05/2019
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La Tecnica della Scuola

Continua a far discutere la presenza dei docenti di religione nelle prove d’Esame di terza media, introdotta per la prima volta lo scorso anno a seguito dell’approvazione del decreto legislativo n. 62/2017, in base al quale è stato stabilito che è l’intero consiglio di classe a esprimersi sul voto di ammissione, comprendendo quindi anche gli insegnanti di religione cattolica e di attività alternativa per gli alunni che se ne avvalgono: i problemi sono diversi, ad iniziare dal carico di lavoro non indifferente che devono affrontare questi insegnanti delle classi terze, costretti a presenziare tutti i colloqui d’esame e i successivi scrutini. Ma il nodo più stretto da sciogliere – sostenuto da diverse associazioni laiche – rimane quello sulla effettiva necessità di includere i docenti dell’ora di religione nelle commissioni d’esame. E ora spunta anche la discriminazione verso gli alunni che decidono di non svolgerla.

L’accusa: la scuola pubblica è laica e plurale

Il 9 maggio, ad uscire allo scoperto sono stati i rappresentanti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia e della Tavola Valdese, che hanno scritto al ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, per chiedergli “di rivedere la disposizione 62/2017 e rilevano come la norma sia incongruente con l’impianto laico e plurale della scuola pubblica”.

I rappresentanti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia e della Tavola Valdese hanno tenuto a dire che “l’insegnamento della religione cattolica «non rientra tra le materie obbligatorie né, pertanto, è soggetta ad esami»; per questo motivo, sostengono, “il relativo docente non ha potere di influire con il suo voto”. Nella lettera si denuncia anche che in virtù di tale norma «subisce disparità di trattamento l’alunno che opti per lo studio assistito ovvero per la non presenza a scuola».

L’appello a Bussetti

Per questo motivo, e per non venire meno alla salvaguardia dei diritti delle minoranze religiose e all’attuazione concreta del principio supremo di laicità, l’associazione auspica che il ministro Bussetti «prenda in considerazione l’ipotesi concreta di una revisione interpretativa della disposizione in questione, al fine di scongiurare il rischio che migliaia di alunni siano soggetti a disparità di trattamento nel legittimo esercizio di non avvalersi, nella forma ritenuta opportuna, dell’insegnamento facoltativo della religione cattolica».

Replica Snadir: per la Corte Costituzionale l’insegnamento è coerente

A stretto giro di posta, sono giunte le precisazioni dello Snadir, il primo sindacato dei docenti di religione in Italia: “Iniziamo col dire – scrive l’organizzazione guidata da Orazio Ruscica – che la presenza degli insegnanti di religione nelle commissioni d’esame non è e non potrà mai essere incongruente con l’impianto laico del nostro Paese, in quanto la Corte Costituzionale nel 1989 ha stabilito in modo definitivo che l’insegnamento della religione cattolica, così come previsto dalla legge 121/1985, è “coerente con la forma di Stato laico della Repubblica italiana”.

Inoltre, continua il sindacato, “nella revisione concordataria del 1984, vengono riconosciuti dallo Stato i fondamenti culturali dell’Irc, legati soprattutto al patrimonio storico del popolo italiano. L’IRC, difatti, ha fondamenti culturali, contenuti e principi che appartengono al patrimonio storico del popolo italiano, ne consegue che il sapere religioso trova spazio nella scuola non per una concessione di privilegio, ma per un riconoscimento oggettivo da parte dello Stato, che considera l’IRC portatore di grande forza educativa, nonché di contenuti culturali e formativi della persona, pur se confessionali nell’oggetto”.

La presenza dei prof di religione è giustificata dalla valutazione globale dell’alunno

Per lo Snadir, quindi, l’insegnamento della religione “in questo senso, è una disciplina obbligatoria” oppure “opzionale che è chiamata a cercare un approccio esigente in termini fondativi e critici al fatto religioso”.

Questo perché, continua il sindacato, “la norma ‘incriminata’ stabilisce che il voto di ammissione all’esame di terza media sia da intendersi, giustamente, non come espressione della media aritmetica delle singole discipline, ma come valutazione globale dell’intero percorso scolastico triennale svolto dall’alunno. Pertanto è del tutto evidente che la valutazione di ogni alunno esige che tutti i docenti interessati alla loro istruzione e formazione diano il proprio contributo per una più completa ed esaustiva valutazione degli stessi alunni “in termini di impegno, modalità di apprendimento, competenze acquisite”.

Nessuna disparità di trattamento: polemiche ideologiche

Pertanto, “questo non genererebbe alcuna disparità di trattamento tra chi sceglie di avvalersi dell’insegnamento della religione o dell’attività alternativa e chi invece opta per lo studio assistito o per l’uscita da scuola. Senza contare che questi ultimi non possono certo pretendere che la scelta del nulla possa produrre frutti”.

“Ancora una volta si tratta di sterili polemiche ideologiche”, conclude lo Snadir, dopo aver ricordato che “sarebbe opportuno tornare tutti a parlare dei contenuti culturali e formativi che questa disciplina vuole offrire agli alunni che di essa si avvalgono”.