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Fondazione Agnelli e Sole 24 ore: insegnanti sfaccendati, non si aggiornano nel modo giusto

Di Rossella Latempa.

20/01/2020
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ROARS

Il sole 24 ore e la Fondazione Agnelli hanno a cuore da tempo la formazione degli insegnanti italiani.
La recente firma dell’ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale integrativo sulla formazione in servizio di insegnanti, personale tecnico-amministrativo ausiliario ed educatori ha riportato il tema alla ribalta. L’occasione è ghiotta per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei nuovi vertici ministeriali su un elemento che sarà fondamentale per i lavoratori del comparto, in vista di un possibile e prossimo rinnovo contrattuale.
Per primo, il 20 dicembre scorso, il direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, si rivolge proprio dalle pagine del Sole 24 ore direttamente alla neo ministra dell’istruzione Lucia Azzolina, sottolineando che:
La legge della Buona scuola di Renzi aveva previsto l’obbligatorietà della formazione in servizio e dell’aggiornamento: l’ultimo contratto di lavoro nazionale della scuola sottoscritto da Miur e sindacati l’ha invece riportata a un’ambigua opzionalità. In queste settimane sono partite le trattative per il nuovo contratto. Sarebbe grave se – per rincorrere le ventate di populismo che attraversano la scuola – la necessità di rendere obbligatoria e verificabile la formazione in servizio restasse di nuovo lettera morta.

Cosa intende dire la Fondazione Agnelli?

Ad oggi, la formazione in servizio degli insegnanti di ruolo, come tutti i dipendenti pubblici, è regolata dal Contratto Collettivo Nazionale (CCNL), rinnovato dopo oltre 10 anni [1], durante i quali si sono susseguiti blocchi degli scatti stipendiali, operati sia da governi di centro destra che di centro sinistra. Un colossale risparmio dello Stato ricavato dai redditi dei lavoratori della scuola, impoveriti drasticamente da una progressiva perdita di potere d’acquisto.

In sintesi, per punti:

  • La formazione in servizio è un aspetto inerente e specifico della funzione docente, da svolgersi all’interno delle cosiddette “attività funzionali“, sulla base delle decisioni collegiali.
  • L’impianto contrattuale si interseca con la legge 107/2015 (Buona Scuola) che definisce (comma 124) la formazione in servizio come “obbligatoria, permanente, strutturale” e istituisce il Piano Nazionale della Formazione docenti (DM 797/2016, che non prevede alcun ulteriore obbligo) su cui vale sempre la pena rileggere la lucida analisi all’epoca scritta da Giovanni Carosotti (qui).
  • Per sostenere la formazione, l’aggiornamento e i “consumi culturali” dei docenti a tempo indeterminato nasce la cosiddetta “carta del docente” (DPCM 23 settembre 2015), ossia una quota finanziaria annua di 500 euro.
  • Nel 2017, infine, nasce la piattaforma centralizzata SOFIA, una sorta di luogo virtuale di “incontro tra domanda e offerta di formazione”, un catalogo delle attività fornite da enti certificati (secondo precedente direttiva ministeriale) alle quali “i docenti potranno accedere” (Nota Miur 22272/2017).

In sintesi, dunque: oggi la formazione è obbligatoria, coerente con le scelte collegiali, e da svolgersi in orario di lavoro oppure può essere autonomamente collocata al di fuori dell’orario di servizio. Per far fronte alle spese, gli insegnanti possono usufruire dei 500 euro della carta del docente.
Quando il direttore della Fondazione Agnelli dichiara la necessità – pena l’essere tacciati di populismo – di “rendere la formazione obbligatoria e verificabile”, allora, cosa intende dire?
La risposta sembra essere: la formazione deve essere obbligatoria e rendicontabile sia in orario di servizio che non; non è formazione quell’attività che non sia centralizzata e monitorabile in termini di scelte, tempi e risultati. Non deve esistere alcuna possibilità di scelta autonoma da parte dei docenti. Questi cambiamenti sono necessari, dunque devono essere perseguiti senza alcun riferimento alla retribuzione dei lavoratori.

Bruno e Tucci: gli insegnanti non rispettano le regole.

A breve giro, un altro articolo del 13 Gennaio scorso di Eugenio Bruno e Claudio Tucci, sullo stesso Sole 24 ore, poi ripreso nell’edizione online il 17 Gennaio, torna a battere sul tema, in maniera piuttosto maldestra.

Gli autori bacchettano i docenti, che pur essendo “tenuti ad iscriversi” alla piattaforma SOFIA, sembrano finora aver ignorato l’obbligo: ad oggi iscritto solo un insegnante su due.
“Un dato che dice già tanto”, commentano. Sarebbero proprio i dati a parlare, suggeriscono gli autori, che rendono conto di un monitoraggio dell’amministrazione centrale [1] a tre anni dal Piano Nazionale di Formazione della Buona Scuola.
Dei “circa 700 mila insegnanti a tempo indeterminato attualmente in organico”- affermano Bruno e Tucci – i 2/3 sembrano aver utilizzato il tesoretto dei 500 euro della carta del docente “per comprare tablet o pc”; meno di 1/3 libri o corsi di formazione. Eppure i docenti “possono contare su oltre 150 ore di permessi retribuiti, per aggiornarsi”.
Come a dire: nonostante l’obbligo ad aggiornarsi attraverso la piattaforma centralizzata, nonostante l’obolo del governo Renzi (500 euro) e nonostante la possibilità di usufruire di permessi dal lavoro, gli insegnanti preferiscono comprarsi tablet e computer al posto di fare aggiornamento.
Un’operazione mediatica di delegittimazione a cui siamo da tempo abituati, e che suggerisce tra le righe una chiave di lettura di certo non originale, oscillante tra la stereotipata immagine del dipendente pubblico scansafatiche e quella del docente riottoso a qualsiasi cambiamento della sua routine.
I due autori, tuttavia, forse sotto l’urgenza di fare pressione alla nuova ministra, pur essendo tra i redattori esperti del settore istruzione del Sole 24 ore, commettono due macroscopici errori.

1) È falso che “gli insegnanti [siano] tenuti ad iscriversi” alla piattaforma SOFIA: non esiste alcun obbligo di iscrizione. Inoltre le iniziative della piattaforma non esauriscono le possibilità di formazione per i docenti, di conseguenza ogni conclusione su quanti docenti si aggiornino è priva di significato.
Far passare la notizia che 1 docente su 2 non sia iscritto ad una piattaforma obbligatoria su cui si basa il sistema di formazione, è ingannevole.

L’articolato sistema normativo-contrattuale che regola la formazione degli insegnanti non prevede (attualmente) né obblighi di monte ore annuali da svolgere, né obblighi di iscrizione a piattaforme online. Un insegnante può formarsi anche seguendo percorsi non registrati sulla piattaforma, all’interno della quale è infatti prevista la possibilità di “gestire le iniziative formative alle quali hai partecipato e che non sono registrate sulla piattaforma SOFIA” (vedi figura seguente).
Sembrerà paradossale a Bruno e Tucci, come pure al direttore della Fondazione Agnelli Andrea Gavosto, ma oggi leggere libri di Fisica o di Letteratura seduti alla propria scrivania, o ascoltare una conferenza – di persona o in streaming – sono ancora considerati momenti di formazione personale per un insegnante.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (7320 Marzo 2019) ci ricorda, peraltro, che per gli insegnanti italiani la formazione è parte integrante dell’attività lavorativa: “gli obblighi di lavoro non si esauriscono nell’attività di insegnamento, bensì si estendono a tutte le attività funzionali rispetto alla prima, che comprendono «programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento e formazione, compresa la preparazione dei lavori degli organi collegiali, la partecipazione alle riunioni e l’attuazione delle delibere adottate dai predetti organi”.
Le “attività funzionali” sono quantificate e disciplinate dagli accordi tra parti e non esistono ulteriori obblighi.

2) È falso che gli “insegnanti [abbiano a disposizione] 150 ore di permessi retribuiti per aggiornarsi”.
Gli autori confondono due istituti contrattuali differenti: i permessi per “il diritto allo studio” con i “permessi per aggiornamento”.
I permessi per il diritto allo studio sono oggetto di contrattazione nazionale integrativa e possono essere concessi, a domanda, sulla base di una serie di criteri, per svolgere attività di studio finalizzate all’acquisizione di titoli o qualifiche (laurea, dottorati di ricerca, attestati professionali riconosciuti dall’ordinamento, etc).
I giorni effettivi destinati all’aggiornamento e formazione, invece, sono soltanto 5 (CCNL 2016-18), da richiedere preventivamente al dirigente scolastico che li concede “compatibilmente con la qualità del servizio.”
Pensare, come scrivono Bruno e Tucci, che gli insegnanti abbiano a disposizione “150 ore di permessi retribuiti per aggiornarsi” fa davvero sorridere. Significa ritenere possibile che un docente di ruolo – che lavora in classe in media 200 giorni all’anno – possa assentarsi circa 30 giorni (150 ore) per seguire corsi a destra e a manca.
Semplice svista o lapsus rivelatore di un bias determinato da condizionamento delle aspettative? (= i professori non sfruttano nemmeno i loro “privilegi contrattuali” pur di non lavorare un poco di più).

La formazione come campo di battaglia sindacale e culturale

La formazione degli insegnanti è oggi più che mai un tema delicatissimo, sia da un punto di vista sindacale che culturale. Si intreccia, infatti, alla progressiva proletarizzazione di un intero comparto e alla retorica del “merito”, dell’incentivo e della trasparenza.
Il riformismo ministeriale [2] rigorosamente progressista, con malcelata ironia, intende convincere docenti e sindacati che:
“MENTRE LE LEGGI [..] SONO MOLTO CHIARE SUL DOVERE DELLA FORMAZIONE, IL CONTRATTO DI LAVORO È ASSAI EVASIVO. QUALCHE PRONUNCIA GIURISPRUDENZIALE (BUFFO ANDARE IN TRIBUNALE PER IL PROPRIO AGGIORNAMENTO!) RICHIEDE DI CONTEGGIARE CON PIÙ CERTEZZA LA FORMAZIONE PERMANENTE TRA I PROPRI OBBLIGHI DI SERVIZIO. IL FATTO È CHE LA FORMULA DELLE 40 ORE + 40, AGGIUNTIVE ALL’INSEGNAMENTO, ORMAI È UNA COPERTA TROPPO CORTA (..). NEL FRATTEMPO IL LAVORO DEL DOCENTE È CAMBIATO[..]
FARE FORMAZIONE DEVE ESSERE UNA ATTIVITÀ GRATIFICANTE E CONVENIENTE, CHE PRODUCE BENEFICI DOCUMENTATI NEL PROPRIO CURRICULUM. [..]
IL PROBLEMA NON POTRÀ ESSERE ACCANTONATO RIPETENDO STANCAMENTE CHE NON CI SONO RISORSE [..]

E ancora [3]:
“Nell’attesa di un ripensamento contrattuale complessivo del tempo di lavoro dei docenti, si dovrebbero introdurre meccanismi di incentivazione economica legati alla frequenza delle attività di formazione”.
Pare difficile sostenere l’aggiunta di ulteriori oneri contrattuali non retribuiti ad una categoria che sconta ancora i 10 anni di blocco salariale e scatti stipendiali, ma che nel frattempo si è vista modificare dall’interno, passo passo, l’attività quotidiana. Pensiamo solo alle varie funzioni da assumere a titolo gratuito per far funzionare la “macchina delle riforme”: dal tutoraggio dell’alternanza scuola lavoro nelle scuole secondarie all’obbligo di svolgimento e correzione dei test INVALSI, oggi rimasti in forma cartacea solo alla primaria, dai futuri coordinatori dell’educazione civica onnicomprensiva di Fioramonti, alla rendicontazione, elettronica e non, sempre più diffusa, come prova delle varie attività svolte.
Tuttavia sembra urgente raddrizzare definitivamente quell’impianto di residuale libertà e autonomia insita nel profilo docente; impianto che ne rappresentava la sostanza stessa della professionalità, progressivamente infiacchita da una disciplina del reclutamento e della formazione iniziale frammentata e usata come spot elettorale, priva di qualsiasi visione o progetto culturale.
La strada più breve sembra essere quella di far leva sulle solite categorie morali del merito e dell’etica del buon insegnante, sul bisogno di riconoscimento e approvazione da parte del capo e della comunità di riferimento.
Solo chi si forma è meritevole, e va incentivato. Ma a patto che si formi nel modo giusto: attraverso la piattaforma centralizzata, lasciando traccia burocratica del suo operato, con che attività abbiano “ricaduta in classe”. È solo questa la formazione che deve “gratificare” l’insegnante di oggi, “producendo benefici documentabili nel curriculum”.

Una formazione di tipo ingegneristico-logistica (Valeria Pinto, 2012 [4]), in cui tutto ciò che è implicito o tacito è per definizione inaffidabile; l’aggiornamento deve prevedere un controllo automatizzato, che riduca al minimo “il rumore” generato dalle scelte dettate da aspirazioni e passioni personali o dalle motivazioni intrinseche, irriducibili, anzi mortificate dal richiamo dell’incentivo.
La formazione di cui parlano, indifferentemente, la Fondazione Agnelli, il Sole 24 Ore o gli Ispettori progressisti deve rispecchiare fedelmente gli indirizzi stabiliti a livello centrale, ubbidientemente recepiti dai Dirigenti scolastici e coerentemente integrati, nel loro “atto di indirizzo”, con gli obiettivi quantificabili del Rapporto di Valutazione di istituto e del Piano di Miglioramento.

La scuola oggi è questa qui.

Per finire

Se fosse vero che tutta la formazione accreditata passa dalla piattaforma SOFIA, gli insegnanti non potrebbero seguire corsi della Fondazione Agnelli, che a quanto pare non rientra tra gli enti accreditati (pur gestendo corsi in accordo con l’Ufficio Regionale del Piemonte, da anni).

Avranno considerato gli autori del Sole 24 ore l’assoluta importanza di monitorare l’affidabilità degli enti accreditati?

[1] Si veda G: Cerini: “Formazione in servizio: com’è andata in questi tre anni?”, in https://www.scuola7.it/2020/166/?page=2.

[2] G. Cerini “Riparte la formazione (in servizio)?”, in Scuola 7, nr.155

[3] G. Cerini, intervento nota 1.

[4] V. Pinto, “Valutare e punire”, Cronopio, 2012: pagg. 74-78, in riferimento alla nuova idea di sapere come “epistemologia logistica” e pag. 104 in riferimento ai “meccanismi molteplici [adoperati] per ridurre al minimo le giacenze della conoscenza [..] o gli elementi di disturbo dei suoi flussi logistici.