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Francesco Sinopoli (Flc Cgil): «Dissenso totale con il governo, la protesta continua»

Intervista. Parla il segretario della Federazione dei lavoratori della conoscenza della Cgil dopo il secondo sciopero generale in cinque mesi: «Il nostro è un dissenso totale con il governo - afferma - C’è un profondo pregiudizio per la scuola pubblica. Chi fa le politiche dell’istruzione non è il ministero ma Palazzo Chigi e i suoi consiglieri. Siamo stati commissariati»

31/05/2022
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il manifesto

Roberto Ciccarelli

Francesco Sinopoli, segretario della Flc Cgil, il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi ha parlato di un «significato politico» dello sciopero della scuola di ieri. Qual è a suo avviso?
C’è un dissenso totale per le scelte del suo governo che andrà ben oltre i risultati pur positivi di adesione allo sciopero. Stia sicuro che anche quelli che ieri non hanno scioperato dissentono dai suoi provvedimenti, a cominciare dal decreto 36 che complica l’accesso all’insegnamento e interviene sulla formazione che dovrebbe essere invece regolata tra le parti. Quel decreto va cambiato radicalmente. Il vero problema in questo paese, e dunque anche nella scuola, sono i salari che vanno tutelati e aumentati. La prossima sarà l’ultima legge di bilancio della legislatura. E noi non abbiamo nessuna intenzione di retrocedere. È fondamentale riabituare le persone alla partecipazione democratica che contempla l’uso dello sciopero. Il conflitto è il sale della democrazia.

Questo è il secondo sciopero della scuola in cinque mesi che organizzate con gli altri sindacati. Come spiega la straordinaria difficoltà di comunicazione con il governo Draghi?
Questo è un problema per la democrazia. Chi fa le politiche dell’istruzione in Italia non è il ministero in viale Trastevere ma Palazzo Chigi e i suoi consiglieri. Siamo stati commissariati. C’è un profondo pregiudizio per la scuola pubblica e per chi ci lavora, Lo sta a dimostrare l’idea assurda di una formazione finanziata con i tagli dell’organico di 9600 posti entro il 2031. Si scrive formazione si legge competizione.

Perché lo fanno?
Vogliono dimostrare che l’Italia è capace di adeguare ancora una volta l’istruzione ai dettami del pensiero neoliberale. L’approccio è sempre il solito: l’idea è che senza competizione tra il personale non c’è qualità. La formazione incentivante stabilita dal decreto 36 che noi contestiamo garantirà un povero aumento di stipendio solo al 40% del personale. In più si vieta la turnazione. E si finanzia il tutto con i tagli agli organici.

Bianchi ha detto che, a causa del calo di nascite pari a un milione e 400 mila bambini in meno entro il 2032, il governo poteva tagliare 130 mila docenti e non lo ha fatto. Cosa pensa di questo uso della denatalità a scapito della scuola?
Usare il calo demografico per risparmiare sulla spesa sociale, e in particolare sulla scuola e sulla formazione dei docenti, significa avere deciso che questo paese non ha comunque un futuro. Sono invece necessarie politiche anti-cicliche, superare il mercato del lavoro che moltiplica il precarietà, investire sul Welfare inadeguato, sulla ricerca, adottare politiche di accoglienza e inclusione e investire sul tempo a scuola nel Sud per evitare che questi territori continuino a spopolarsi.

La scuola riceverà dal «Pnrr» 17,5 miliardi di euro per infrastrutture, digitale, Istituti Tecnici Superiori. Come mai non ci sono i soldi per aumentare gli stipendi più bassi d’Europa?
Perché hanno scambiato il miglioramento della scuola con interventi sulle infrastrutture, che sono necessarie ma non sono sufficienti. La scuola la fanno le persone che ci lavorano ai quali però è riconosciuto solo un aumento che varia dai 50 ai 75 euro lordi al mese. C’è una distanza rispetto al resto della pubblica amministrazione di 350 euro. Realisticamente noi abbiamo posto l’obiettivo di andare oltre le cifre stanziate per raggiungere questo traguardo.

Nella scuola ci sono più di 200 mila precari. Il governo ha risolto il problema?
Per nulla. Anzi penalizza volutamente i precari perché li costringe a una corsa ad ostacoli e non garantisce nemmeno l’abilitazione. Per altro il percorso da 60 Crediti Formativi Universitari amplificherà il mercato della formazione e lo peggiorerà rispetto a quello che già esiste.

Il ministro Bianchi ha detto che non ha intenzione di smantellare la scuola pubblica. Che cosa sta facendo allora?
Il rischio che abbiamo di fronte è che le risorse a disposizione siano destinate al terzo settore che al massimo può integrare ma di certo non può sostituire, né supplire, ai problemi della scuola pubblica che vanno risolti veramente e non nascosti.