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Giardina: "Risposta ideologica, in realtà così distrugge la storia"

Intervista allo storico, che replica al ministro Marco Bussetti

28/02/2019
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la Repubblica

Simonetta Fiori

"Il ministro Bussetti avrebbe potuto riconoscere serenamente l'errore, impegnandosi a correggerlo. E invece ha preferito perseverare, con argomenti che mi paiono doppiamente offensivi: sia per la storia che per la critica letteraria". Antichista di respiro internazionale, Andrea Giardina è autore di fortunati manuali di storia e presiede la Giunta degli studi storici, l'organismo più rappresentativo della disciplina.


Professor Giardina, il ministro Bussetti ci scrive che la storia rimane nelle prove scritte della maturità: non più in una traccia autonoma, ma spalmata in più tracce.
"Mi paiono argomenti risibili e pretestuosi. Perché quella che viene spacciata per una nuova pervasività della storia in realtà nasconde la sua diluizione in vari ambiti e quindi la sua dissoluzione. Francamente il ministro avrebbe fatto meglio a dire: basta, finiamola con la storia. Sarebbe stato più onesto".

La storia ha un suo statuto specifico.
"Questa nuova soluzione mi appare come una doppia offesa sia alla storia che alla critica letteraria. Che cosa vuol dire che la storia sarà proposta in modo trasversale, anche nell'analisi e nell'interpretazione di un testo? L'approccio storico a un testo è interessante, ma non è l'unico. Quindi si finisce per fare un torto anche alla letteratura".

In questa lettera il ministro Bussetti finisce per ripetere un concetto già espresso quattro mesi fa sul suo profilo Facebook. Come se le critiche non avessero scalfito le sue convinzioni.
"Ma è questo che colpisce. Nel mondo culturale italiano non c'è stata una sola presa di posizione a favore della cancellazione della traccia storica: solo dissensi. E gli argomenti inesistenti spesi ancora oggi nella lettera a Repubblica finiscono per attribuire alla decisione del ministro un carattere ideologico. Là dove vengono meno la logica e il buon senso, interviene l'ideologia".

Il ministero ha giustificato l'atto con l'argomento che solo il 3 per cento degli studenti ha scelto negli ultimi dieci anni la traccia storica.
"Ma questo sarebbe dovuto essere un segnale d'allarme. E loro che fanno? Spengono l'allarme. La cosa più naturale sarebbe stata domandarsi il perché: come è possibile che i ragazzi rinuncino al tema di storia in un paese come il nostro, dove la cultura storica ha un peso fondamentale e la nostra storiografia in alcuni settori gode di un primato internazionale. Domanda non troppo difficile. Ma si sono mai interrogati sul modo in cui negli ultimi dieci anni i temi storici sono stati formulati? Il gergo oscuro, la debole efficacia comunicativa: su questo si sarebbe potuto lavorare".

Gli stessi storici di professione a volte hanno confessato la propria inadeguatezza.
"Appunto. Che poi esista un deficit nella formazione dei ragazzi è un problema. Ma le crisi si affrontano. Questa volta invece di curare la malattia hanno preferito ammazzare il malato".

Sarebbe opportuno anche chiedersi se le ore dedicate alla storia siano sufficienti.
"Negli ultimi anni sono state ridotte, mentre i ragazzi hanno bisogno di lavorare molto sulla storia contemporanea. Il nostro è un paese che non ha mai fatto autocritica, dove persiste il mito del "buon italiano" e dove dopo ottant'anni del fascismo si continua a dare una interpretazione edulcorata. Questo è un problema serio, che richiederebbe investimenti nella scuola. Non mi pare che il ministro Bussetti si stia muovendo in questa direzione".

Come se non si volesse fare i conti con il nostro passato.
"È accaduto di recente che una puntata di Fahrenheit su Primo Levi abbia sollecitato le proteste di alcuni ascoltatori: basta con queste storie sugli ebrei, fate cultura e non fate politica. Ecco cosa vuol dire ignorare la storia".