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«I bravi prof di matematica insegnano a non aver paura di sbagliare»

Lorella Carimali, docente di matematica al Vittorio Veneto di Milano, già finalista del Global Teacher Prize: «I pessimi risultati dell’Invalsi? Colpa dei pregiudizi culturali e di metodi didattici sorpassati. E’ ora di creare un corso di laurea specialistica per chi vuole diventare insegnante. Usando come docenti anche i prof di scuola più capaci»

10/09/2019
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Corriere della sera

Orsola Riva

Uno studente di terza media su tre non raggiunge la sufficienza in italiano. E in matematica è anche peggio: gli scarsi o scarsissimi sono 4 su 10, con punte di più del 50% al Sud (dati Invalsi). Da dove si comincia per risalire la china?
«C’è un’enorme differenza non solo fra Nord e Sud, ma anche fra licei del centro e scuole di periferia — risponde Lorella Carimali, 57 anni, docente di matematica al liceo scientifico Vittorio Veneto di Milano, finalista nel 2018 del Global Teacher Prize, il Nobel per l’insegnamento —. Negli istituti professionali le insufficienze raggiungono il 77,2%. Questo vuol dire tradire la Costituzione: non dare a tutti le stesse possibilità di realizzarsi. Per me che vengo dallo Stadera (quartiere della periferia sud di Milano, ndr), con due genitori che avevano la quinta elementare in tasca, la matematica è stata un’occasione di riscatto sociale».
La scuola è meno inclusiva oggi di ieri?
«Non la scuola, la società. Allora il gruppo ti teneva dentro, ora con i social i ragazzi sono più isolati e si perdono più facilmente. All’epoca se andavi male in matematica potevi trovare un lavoro, oggi no. Lo diceva anche Tullio De Mauro: l’alfabetizzazione matematica, le competenze di problem solving sono indispensabili per vivere e lavorare nella società moderna».
Ma perché in matematica andiamo anche peggio che in italiano?
«Pesa il pregiudizio culturale che la matematica non sia per tutti ma per pochi eletti, preferibilmente maschi».
Colpa delle famiglie o della scuola?
«Di entrambe. Le ricerche dicono che i problemi nascono già alle elementari. Molte maestre hanno scelto la facoltà di Scienze della Formazione primaria perché alle medie e alle superiori non andavano bene in matematica. Involontariamente, finiscono per trasmettere le loro insicurezze alle bambine, e in misura minore anche ai bambini. Ma il problema della didattica della matematica è più generale».
E cioè?
«Continuiamo a insegnarla come un sistema di procedure da applicare in contesti noti. Appena i ragazzi si trovano di fronte a una situazione imprevista, non sanno che pesci prendere. Invece di costringerli a ripetere migliaia di volte gli stessi esercizi finché non fanno più neanche uno sbaglio, bisognerebbe metterli di fronte a sfide logiche sempre diverse evitando di demonizzare gli errori, che sono una tappa indispensabile nel processo di apprendimento. L’intelligenza matematica non è una dote innata: va coltivata con l’allenamento, come in palestra».
Ma le scuole hanno gli insegnanti adatti per portare avanti questa sfida pedagogica?
«Il problema è che molte delle persone che scelgono di andare a insegnare non lo fanno per vocazione, ma perché non trovano di meglio. Gli stipendi bassi e la scarsa considerazione sociale non aiutano: per questo ogni anno è più difficile trovare dei prof di matematica».
Colpa anche della concorrenza del privato che per chi ha una laurea scientifica, almeno al Nord, è fortissima.
«Per rendere più attraente la professione si potrebbe dare ai docenti più esperti la possibilità di dividersi fra scuola e atenei, dove potrebbero passare il loro know how agli aspiranti prof. Sarebbe un’operazione a costo zero».
Sanatorie a parte, oggi per insegnare sono richiesti, oltre alla laurea, 24 crediti formativi in discipline pedagogiche e didattiche. Secondo lei possono bastare?
«Se vogliamo davvero assicurare dei buoni insegnanti ai nostri ragazzi dobbiamo riformare il percorso di formazione iniziale. Non si tratta di allungarlo ma di creare un corso di laurea magistrale apposta per andare a insegnare, dove tutti, laureati in lettere o in matematica, dopo aver imparato la propria materia, possano finalmente imparare anche a insegnarla».