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I laureati italiani: Pochi, impreparati e usati male

Brutta bocciatura per i laureati italiani che, tra i Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, restano in coda alle classifiche.

06/10/2017
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Il Messaggero

ROMA Sono pochi, non hanno un lavoro adeguato alle loro competenze e soprattutto non sono preparati come i loro colleghi stranieri. Brutta bocciatura per i laureati italiani che, tra i Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, restano in coda alle classifiche. Innanzitutto in Italia nella fascia d'età che va dai 24 ai 35 anni solo il 20% ha una laurea. Ed è una quota decisamente bassa rispetto alla percentuale dell'Ocse che si attesta sul 30%. Esiste un evidente divario tra Nord e Sud: nel meridione infatti per raggiungere la laurea occorre, in media, un anno di studio in più rispetto a quanto avviene nelle regioni settentrionali. 
QUASI ULTIMIIl problema dei fuori corso va quindi ad aggravare una situazione in cui a mancare sono proprio gli studenti che arrivano a conseguire la laurea. Sono troppo pochi, quindi, ma sono anche impreparati. Dando un'occhiata alla classifica stilata per competenze (quelle in lettura e quelle in matematica) per trovare l'Italia occorre scendere fino al 26esimo posto su una classifica di 29 Paesi. Non fanno quindi una bella figura con i loro coetanei stranieri e, in ambito lavorativo, si ritrovano con mansioni inferiori a quelle che potrebbero invece assumere con il loro titolo di studio. Difficile capire se sono due facce della stessa medaglia: gli studenti poco preparati vengono assunti con qualifiche inferiori perché non potrebbero fare di meglio o, invece, trovano solo lavoretti e quindi forse si impegnano meno a raggiungere la laurea visto che sanno fin troppo bene che il mercato del lavoro non offre prospettive particolari? Sta di fatto che i laureati italiani, alle prese con la prima occupazione, spesso trovano un impiego che non ha nulla a che vedere con gli studi universitari. Il risultato è che l'11,7% dei lavoratori hanno competenze superiori ma hanno mansioni che ne richiedono meno e il 18% sono sovra-qualificati. 
C'è addirittura un'altissima quota, pari al 35% quindi più di un lavoratore su 3, di laureati impiegati in un settore che non ha nulla a che vedere con i propri studi. Il rapporto Ocse, quindi, boccia non solo le università completamente scollegate dal mondo del lavoro ma anche quella grande fetta di mercato del lavoro che non pensa a legarsi con gli atenei e le strutture formative. Probabilmente è proprio il sistema del lavoro in Italia ad abbassare la richiesta di figure qualificate, il rapporto lo spiega con le caratteristiche delle imprese italiane tra cui quelle a gestione familiare rappresentano più dell'85% del totale e il 70% dell'occupazione del Paese. Che cosa comporta? «I manager delle imprese a gestione familiare spesso non hanno le competenze necessarie per adottare e gestire tecnologie nuove e complesse. Inoltre, il livello dei salari in Italia è spesso correlato all'età e all'esperienza del lavoratore piuttosto che alla performance individuale, caratteristica che disincentiva nei dipendenti un uso intensivo delle competenze sul posto di lavoro». Il rapporto rileva anche che negli ultimi 15 anni i risultati economici dell'Italia sono stati lenti: nonostante alcuni progressi nell'occupazione, la crescita di produttività risulta stagnante. Ma qualcosa sta cambiando, il rapporto Ocse evidenzia tra le note positive il Jobs act, definendolo «pietra miliare del processo di riforma», la Buona scuola, Industria 4.0, Garanzia Giovani e la legge Madia sulla Pubblica amministrazione.
L'ALTERNANZA SCUOLA LAVOROProprio in merito alla necessità di far dialogare il mondo dell'istruzione con quello del lavoro, viene citata la riforma della scuola sia per il piano nazionale della scuola digitale sia per l'Alternanza scuola lavoro che porta gli studenti dell'ultimo triennio fuori dalle aule per 200 o 400 ore, in base all'indirizzo di studio, impiegandoli in aziende o enti pubblici.
Lorena Loiacono