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Il Corriere-UNA DOMANDA A TUTTI

UNA DOMANDA A TUTTI di PAOLO FRANCHI E' un errore, va da sé, preferire la contestazione pregiudiziale al confronto, e disertare le occasioni di dialogo. Sempre che di occasioni di dialogo...

19/12/2001
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Corriere della sera

UNA DOMANDA A TUTTI

di PAOLO FRANCHI

E' un errore, va da sé, preferire la contestazione pregiudiziale al confronto, e disertare le occasioni di dialogo. Sempre che di occasioni di dialogo effettivamente si tratti. E' questo il caso degli Stati generali della scuola, dirottati all'ultimo momento da Foligno a Roma? Non ce la sentiamo di giurarci su. Diranno la loro studenti, insegnanti e rappresentanti dei genitori, nonché un folto gruppo di esponenti della società civile, certo. E probabilmente sono strumentali molte delle polemiche sulle modalità con cui sono stati scelti i partecipanti: in fondo, governo e ministero avevano tentato di allargare il più possibile la platea. Ma resta ugualmente difficile parlare di Stati generali, e cioè di una grande assemblea impegnata ad aprire una fase costituente della riforma della scuola, per un meeting che inizia con il saluto del ministro e termina con un discorso del presidente del Consiglio subito dopo una tavola rotonda pressoché monopolizzata da altri tre ministri in carica e il secondo intervento di Letizia Moratti. Forse, nelle intenzioni, questi Stati generali dovevano essere una due giorni di discussione aperta, senza steccati. Per come si sono messe le cose, e certo non solo per responsabilità del ministro e dei suoi collaboratori, rischiano di trasformarsi solo in un evento comunicativo del governo.
Il che, ovviamente, è del tutto legittimo, e non giustifica in alcun modo eventuali intemperanze, o peggio, di chi oggi e domani lo contesterà. Ma basta e avanza a fare intendere come e perché critiche ci siano state, ci siano e ci saranno. E non soltanto da parte dei No global, dei movimenti studenteschi, di insegnanti e genitori post sessantotteschi ben brizzolati ma tuttora inclini ad inseguire i sogni e gli incubi della giovinezza perduta, di sindacati della scuola sovente inclini al corporativismo: di un mondo, cioè, per il quale la contestazione è troppo spesso un rito.
Le proposte di riforma del governo sono infatti ancora abbastanza vaghe, ma il messaggio che il centrodestra intende lanciare è chiarissimo, ben compendiato nelle celebri "tre I" (impresa, internet, inglese)del programma berlusconiano. E' probabilissimo che quando parlano di un nuovo ruolo del privato nel sistema formativo gli "aziendalisti", chiamiamoli così, e ampi settori del mondo cattolico non intendano esattamente la stessa cosa: ma simili differenze non bastano certo a rassicurare quanti (e non sono poi così pochi) continuano a considerare l'istruzione pubblica un valore primario. Ed è ben difficile immaginare che possa affermarsi senza incontrare resistenze l'idea stessa di portare ai 13 anni, con l'obbligo scolastico, l'età in cui un ragazzo comincia a decidere che cosa farà nella vita: oltretutto, se è sicuramente rétro una sinistra che considera l'istruzione professionale un ghetto per i figli dei più poveri, non è necessario essere dei bolscevichi impenitenti per ricordare che, in simili scelte, le differenze di censo pesano ancora, eccome.
Il centrosinistra cavalca la protesta senza avere le carte in regola per farlo: le confuse riforme di Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro suscitarono reazioni di rigetto analoghe se non maggiori. Sui destini della scuola, che sono in ultima analisi quelli del Paese, resta però la necessità, fin qui elusa da un'infinità di governi, di un confronto vero, non ideologico, non partitico. Molto più vero, e molto meno ideologico e partitico, di quello che probabilmente ci sarà all'Eur. La domanda può sembrare fuori tempo. Ma è troppo invocare su questa materia cruciale una logica bipartisan?