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Il Cun a Bussetti: a rischio assunzioni negli atenei, stop a norma sul fabbisogno legato al Pil

Nel mirino del Consiglio universitario nazionale il comma 971 dell’articolo 1 dell’ultima legge di Bilancio che prevede che «le università statali concorrano alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica

29/04/2019
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Il Sole 24 Ore

Marzio Bartoloni

«Aumentare in misura adeguata il tasso di crescita annuale del fabbisogno finanziario» degli atenei che l’ultima manovra ha legato al tasso di crescita del Pil ed «eliminare le penalizzazioni economiche per sforamenti» previste sempre dall’ultima legge di Bilancio. La richiesta di modificare con «un intervento normativo» quelle norme arriva dal Cun, l’organo consultivo del Miur, che ha appena scritto al ministro Bussetti per chiedere una sostanziale modifica delle norme che scatteranno già per i fondi 2019 degli atenei che altrimenti rischiano di dover tagliare diverse spese, a cominciare dalle assunzioni.

Le norme in manovra e gli effetti 
Nel mirino del Consiglio universitario nazionale il comma 971 dell’articolo 1 dell’ultima legge di Bilancio che prevede che «le università statali concorrano alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, per il periodo 2019-2025, garantendo che il fabbisogno finanziario da esse complessivamente generato in ciascun anno non sia superiore a quello realizzato nell'anno precedente incrementato del tasso di crescita del Pil reale stabilito dall'ultima nota di aggiornamento del Def». Con l’accortezza prevista sempre dal legislatore che «a regime le riscossioni e i pagamenti sostenuti per gli investimenti e per le attività di ricerca e innovazione nel territorio nazionale non concorrano al calcolo del fabbisogno finanziario». Un meccanismo, questo, che secondo il Cun potrebbe produrre effetti paradossali sui bilanci degli atenei già da quest’anno e dal prossimo quando si sentiranno gli effetti finanziari di misure come i Dipartimenti di eccellenza, l’ampliamneto delle facoltà assunzionali, il ristoro degli scatti di stipendio ai docenti (che tra l’altro diventano biennali dal 2020 e non più triennali). «A fronte di tali maggiori uscite, in larga parte automatiche, la nuova disciplina del fabbisogno finanziario imporrà - avverte la mozione del Cun - a un numero crescente di Università pubbliche una restrizione alla parte restante della spesa corrente o la necessità di incrementare le entrate proprie per evitare il superamento del limite ministeriale». «Le azioni di contenimento della spesa corrente potrebbero addirittura - spiega ancora la mozione - indurre auto-limitazioni del turnover, vanificando di fatto l'ampliamento delle facoltà assunzionali voluto dal legislatore».

Le altre anomalie e le richieste 
Il Cun tra l’altro segnala come «i meccanismi di scorporo degli investimenti e della ricerca individuati non garantiscono quei margini di elasticità e flessibilità necessari per far fronte alla parte restante della spesa corrente, destinata a crescere in virtù dei fattori già citati». Meccanismi definiti dal decreto ministeriale dell’11 marzo che andranno a regime dal 2020 «quando il fabbisogno sarà determinato dal Mef incrementando il fabbisogno realizzato nell'anno 2019, al netto della differenza tra la media delle riscossioni e dei pagamenti per ricerca del triennio 2017-2019, del tasso di crescita del Pil reale nel Def». Non solo. Il Cun segnala che sempre la manovra ha previsto che a decorrere dall'anno 2021, «per le Università statali che non rispetteranno il fabbisogno finanziario programmato nell'esercizio precedente, il Miur inserisca, tra i criteri di ripartizione delle risorse ordinarie, penalizzazioni economiche commisurate allo scostamento registrato, pur nel rispetto del principio di proporzionalità». «Tutto ciò - aggiunge il Cun - appare paradossale alla luce del fatto che una larghissima maggioranza degli atenei pubblici presenta bilanci in equilibrio economico, finanziario e patrimoniale, con buoni indicatori di sostenibilità economico-finanziaria». Per questo «sarebbe irragionevole che dopo anni di decurtazioni di finanziamento pubblico, che hanno reso il sistema universitario italiano fra i meno finanziati nei contesti UE e OCSE, in una fase nella quale il legislatore manifesta l'intenzione di rilanciare la ricerca e la formazione superiore, in presenza di una liquidità crescente e di una situazione economico-finanziaria complessivamente sana degli Atenei pubblici, quest'ultimi dovessero essere costretti ad azioni di riduzione della spesa a causa di sforamenti del fabbisogno finanziario». Da qui la richiesta di «un intervento legislativo» per aumentare in misura adeguata il tasso di crescita annuale del fabbisogno finanziario eliminando le penalizzazioni economiche per sforamenti. Il Cun nella sua mozione chiede anche di «riporre una attenzione particolare agli Atenei che, per ragioni di contrazione della spesa nel corso degli ultimi anni o, viceversa, di rilancio degli investimenti nell'ultimo triennio, potrebbero vedersi ridurre significativamente il fabbisogno assegnato nel 2019 e anni successivi».