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Il mestiere di studiare

di Massimo Gramellini

31/01/2018
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Corriere della sera

La lettera aperta in cui il presidente degli industriali di Cuneo esorta le famiglie con un figlio in età da liceo a fargli fare l’operaio ha il pregio di metterci davanti a una questione spesso elusa: a che cosa serve studiare? Se la scuola ha solo il compito di formare dei lavoratori, allora il presidente Gola ha ragione. Poiché nei prossimi anni la sua provincia avrà bisogno di dieci filosofi, cento avvocati e quarantamila operai, l’industria dell’istruzione deve provvedere a fornirglieli in proporzione, a prescindere dalle ambizioni dei ragazzi e dei genitori, che la lettera definisce «aspetti emotivi e ideali» inconciliabili con «l’esame obiettivo della realtà».

Eppure qualche idealista emotivo crede ancora che la missione della scuola consista nel cambiarla, la realtà. Fornendo ai ragazzi gli strumenti per comprendere un discorso e magari scriverlo (la lettera del presidente — non ce ne voglia — comincia con una virgola tra il soggetto e il verbo). E offrendo a tutti i meritevoli, anche se poveri, la possibilità di inseguire i propri talenti e migliorare la propria posizione sociale. Per questo i nostri nonni si spezzavano la schiena pur di fare studiare i figli. Volevano che stessero meglio di loro: nel portafogli, ma anche nella testa e nel cuore. Non è questione di preferire il lavoro intellettuale a quello manuale, entrambi nobilissimi. Solo di ricordarsi che la scuola non è nata per formare dei lavoratori, ma degli esseri umani.