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Il mondo della ricerca in allarme sui contratti: «Un danno per tutti»

Mantovani: con meno rinnovi agli studiosi, Italia sconfitta

19/07/2018
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Corriere della sera

Claudia Voltattorni

Per ora si definiscono solo «preoccupati». Ma presto la preoccupazione potrebbe trasformarsi in un vero e proprio allarme. «È una questione delicata» dicono, perché «questo è un mondo diverso dagli altri, è un mondo che va capito, che ha le sue esigenze...». Il fiato resta sospeso. Per ora. Ma, se necessario, la ricerca italiana potrebbe alzare la voce. Perché il decreto Dignità in esame alla Camera potrebbe trasformarsi in un grande problema per enti ed istituti di ricerca, fondazioni e studiosi. La questione è stata posta qualche giorno fa durante una riunione al ministero della Sanità, dove i direttori scientifici dei principali Istituti di ricerca e cura scientifica italiani (gli Irccs), parlando delle stabilizzazioni dei ricercatori precari, hanno espresso timori e perplessità sulle nuove norme contenute nel decreto, soprattutto quelle che regolano i contratti a termine, con i limiti alla durata massima e ai rinnovi.

«Ma la vita di un ricercatore — spiega l’immunologo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Humanitas di Milano — è per una lunga fase basata su contratti non stabili, il mondo della ricercafunziona così, con meccanismi diversi dagli altri: se si crea un problema su questo, perderemmo competitività e danneggeremmo il Paese, non si può non tenerne conto». Il professor Mantovani è conosciuto in tutto il mondo e per la seconda volta lo scorso anno ha ottenuto il premio European Research Council per la ricerca: «Significano finanziamenti da 2,5 milioni di euro ciascuno che servono per il mio lavoro e quello di decine di ragazzi che fanno ricerca con me: ecco, la rigidità sui contratti a termine li danneggerebbe, e con loro tutta la ricerca e quindi tutta l’Italia che resterebbe indietro in un settore dove già siamo figli di un dio minore». Forse, continua lo studioso, «nessuno si è posto il problema». Ecco perché Anna Flavia d’Amelio Einaudi, direttore operativo dell’area di ricercaIRCCS dell’Ospedale San Raffaele di Milano invoca «un confronto tra il sistema ricerca e le istituzioni». Il decreto Dignità così come proposto dal governo, spiega, «rappresenta un’ulteriore criticità per un settore già segnato da una pesante riduzione di finanziamenti pubblici e irrigidimenti normativi: ci viene sempre più richiesto di trovare finanziamenti alternativi, cosa che facciamo incessantemente, partecipando a bandi competitivi nazionali e internazionali, collaborando con l’industria e attraverso il sostegno dei nostri donatori». Tutto ciò, «nonostante le ripetute modifiche legislative, spesso in contrasto con le necessità di sviluppo e flessibilità della ricerca». Ecco, conclude, «perché la sostenibilità è a rischio».

Senza precari, enti ed istituti di ricerca italiani avrebbero vita breve. La vita di un ricercatore passa attraverso decine di contratti a tempo determinato che dipendono spesso da fondi privati, bandi e concorsi internazionali senza i quali i contratti a termine non potrebbero essere finanziati né concessi: il freno ai rinnovi rischierebbe quindi di rallentare se non bloccare tutto un sistema di ricerca, già duramente provato da risorse pubbliche sempre più ridotte. L’Istituto italiano di tecnologia di Genova, ad esempio, può contare su 480 contratti post doc su un totale di 1.600 dipendenti. Ecco perché al centro di ricerca guidato da Roberto Cingolani si guarda con attenzione al futuro dei propri studiosi. Senza di loro la ricerca si ferma. E il professor Alberto Mantovani conclude: «Io chiedo solo che mi si metta in condizione di lavorare nel rispetto dei miei ragazzi, che sono i migliori del mondo».