Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » La lotta alla disuguaglianza parte dal diritto all'istruzione, al sud come al nord

La lotta alla disuguaglianza parte dal diritto all'istruzione, al sud come al nord

L’articolo di Francesco Sinopoli, Segretario generale della FLC CGIL, pubblicato sull’Huffington Post.

13/11/2017
Decrease text size Increase text size
L'Huffington Post

Fu giusta e lungimirante la decisione della Cgil di dedicare un'intera sessione dell'Assemblea nazionale al Mezzogiorno nello scorso settembre a Lecce, nell'ambito della tre giorni dedicata al lavoro. Alcuni dei nodi di fondo che allora emersero sono tornati nel dibattito politico e pubblico di questi giorni, soprattutto dopo i referendum falsamente autonomisti di Lombardia e Veneto; con la presentazione alle Camere di una legge di Bilancio sbagliata; e con la pubblicazione dell'ultimo Rapporto Svimez 2017.

Nelle conclusioni di quelle giornate del lavoro, la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, aveva assunto con forza un impegno, tra gli altri, per il nostro sindacato: continuare la lotta contro le tante e diverse forme di disuguaglianza che ancora resistono nel Paese, e che anzi sono andate acuendosi e approfondendosi nel corso del decennio della devastante crisi economica. Ed è ciò che facciamo quotidianamente nel segmento sindacale che rappresento, la Flc, la Federazione dei lavoratori della conoscenza, che raccoglie lavoratrici e lavoratori dell'istruzione, dell'università, della ricerca e dell'alta formazione artistica e musicale. E all'interno di ciascun "comparto" ci vengono raccontate e raccontiamo specifiche forme di disuguaglianze, vecchie e nuove, che vorremmo non limitarci solo a denunciare, ma a provare, in qualche modo, a risolvere, nei limiti consentiti ad un sindacato di categoria.

Partiamo intanto da una considerazione preliminare e di metodo: il nostro è ormai un Paese profondamente fratturato, tra i pochi che hanno e i tanti che non hanno, tra chi abita in zone fortunate e chi abita in zone depresse, tra chi ha l'opportunità di conoscere e di crescere nella vita, attraverso un completo percorso di studi, e coloro, tanti, che questa opportunità non ce l'hanno. Come dimostra, ancora una volta, il recentissimo Rapporto Svimez 2017, la frattura territoriale, inoltre, tra nord e sud è ancora profonda, e ha enormi riflessi sulle disuguaglianze generazionali, ad esempio. Se, come scrive lo Svimez, un cittadino meridionale su 10 versa in povertà assoluta, e tripla è la possibilità di caderci, è del tutto evidente che questa condizione sociale di partenza impedisce il pieno sviluppo della persona, come impone invece l'articolo 3 della Costituzione. E se il reddito procapite è la metà di quello del Centro Nord e il 66% di quello nazionale, si può comprendere la ragione per cui un giovane calabrese (o siciliano) su due non studia né cerca lavoro, oppure emigra. Il tasso di occupazione del Mezzogiorno resta il più basso d'Europa, addirittura inferiore del 35% alla media UE, e soprattutto non è più il serbatoio delle nascite. Ciò definisce una condizione sociale di partenza di ogni bimbo o alunno o studente del Mezzogiorno che è di evidente disuguaglianza.

Ecco perché nel suo Rapporto sulla formazione, l'Ocse si era perfino spinto a scrivere che uno studente di Bolzano è avanti di un anno rispetto ad un coetaneo studente campano che frequenti la medesima scuola. L'Ocse, tuttavia, non diceva che il Pil per abitante del Trentino Alto Adige è di 38.745 euro contro i 16.848 della Calabria e i 18mila della Campania.

 Non solo. Lo Svimez rivela altre due notizie: 1. Su 50 miliardi di residui fiscali (sui quali c'è stata la legittimazione dei referendum dei governatori di Lombardia e Veneto) di cui beneficia il Mezzogiorno, ben 20 tornano direttamente al Nord; 2. Nel 2016, gli investimenti pubblici hanno toccato il punto più basso della serie storica: la spesa in conto capitale è stata il 2,2% del Pil, mentre nel Mezzogiorno appena lo 0,8%. Al Nord, lo Stato spende in opere pubbliche 296 euro pro capite, mentre al Sud, dove ve ne sarebbe più bisogno, la spesa procapite è scesa drammaticamente a meno di 107 euro. Non solo. Scrive lo Svimez che nel frattempo il Sud ha perso 21.500 dipendenti pubblici ed esiste un divario in valore assoluto di circa 3700 euro a persona. Ciò a dispetto dei luoghi comuni che descrivono ancora il Sud come inondato di risorse assistenzialistiche e di dipendenti pubblici. Non è più così.

Come si riverbera questa enorme frattura territoriale dal punto di vista della parità di condizioni per bambini, alunni, studenti? Se partiamo dalle università, si scopre non solo che in dieci anni sono migrati dal sud verso il nord (e l'Europa) circa 200mila laureati, un esercito per il quale il Mezzogiorno paga un conto salatissimo e amarissimo, sia dal punto di vista esistenziale (giovani strappati alle famiglie), che da quello del mancato sviluppo per effetto dell'evidente impoverimento delle energie intellettuali (valutato in circa 30 miliardi l'anno), ma soprattutto che più della metà dei giovani che ogni anno si maturano nelle scuole secondarie del Mezzogiorno non possono iscriversi all'università per ragioni economiche e a causa dei costi diventati ormai proibitivi per famiglie per lo più monoreddito e con un'occupazione povera. Si tratta di una delle ingiustizie più gravi e drammatiche che un paese sviluppato possa tollerare: l'accesso allo studio, il diritto al sapere e a una vita migliore sacrificati per effetto di una condizione di povertà diffusa. È una condizione drammatica che dovrebbe mobilitare le coscienze migliori del paese, dovrebbe far scattare l'allarme verso una generazione che ha moltiplicato le potenzialità conoscitive, ma che ha scarsità di mezzi economici. Una beffa.

Così come una beffa si è rivelato il piano di riparto dei fondi, 209 milioni, per le scuole dell'infanzia, che ha decisamente penalizzato il Mezzogiorno. In virtù di un paradossale accordo preso in Conferenza Stato-Regioni-Enti locali, i criteri per la ripartizione si basano prevalentemente sul numero di bambini nella fascia d'età 0-6 anni, sul numero degli iscritti ai nidi e sulla presenza di scuole dell'infanzia statali sul territorio regionale. Succede così che per paradosso vengono concessi 103 euro per ogni bambino della Valle D'Aosta e appena 49 per ogni bambino della Calabria. In virtù di questi parametri, all'intero Mezzogiorno vengono assegnati 54 milioni di euro sui 209 stanziati, ovvero il 26% dell'intera cifra, pur avendo il Sud una popolazione di bambini entro i sei anni pari al 34%. E già questa sarebbe una prima discriminazione evidente. Se si analizza il contributo procapite dello stanziamento si scopre, poi, che vengono assegnati 43 euro ai bimbi campani e 90 euro ai bimbi dell'Emilia Romagna, ad esempio, e in media 51 euro per ogni bimbo residente nel Centrosud e 78 per ogni bimbo residente al Nord. Ecco come trasformare una opportunità, per quanto limitata, nell'ennesimo fallimento della legge 107. Lo stato e quindi il Miur non ha avuto la forza di difendere la missione principale del progetto 0-6 e ha ceduto a logiche di scambio politico dove vincono naturalmente i più forti. Questo è accaduto in conferenza stato-regioni.

Inoltre, con i "mostruosi" criteri di ripartizione, subiti e alla fine accettati purtroppo dai presidenti delle regioni meridionali e da alcuni sindaci spariscono 13,5 milioni di euro per le scuole dell'infanzia al sud, aumentando vistosamente un divario territoriale già devastante, deludendo le già deluse madri del Sud che così penalizzate ancora una volta si vedono costrette a non cercare quel poco lavoro che il mercato offre e a restare in casa coi loro bambini, nella fascia di età più delicata per la crescita intellettuale, quella 0-3, ai quali viene negato il diritto al nido e alla socializzazione. Ci si è dimenticati della promessa fatta col Trattato di Lisbona, di raggiungere un minimo del 33% di copertura dei servizi educativi in particolare i nidi, riqualificando la spesa proprio di quei territori in difficoltà. Si confermano le scelte sciagurate, già inaugurate con i criteri di assegnazione dei fondi per gli atenei meridionali, molto simili a quei criteri falsamente oggettivi utilizzati con le scuole dell'infanzia, di abbandonare il Mezzogiorno a se stesso, di alimentare la migrazione interna e verso l'estero, di rendere il Sud una terra abbandonata dalle nuove generazioni, e dalla bassa natalità.

Si può porre termine intanto ad alcune di queste ingiustizie? Provvedendo ad esempio a rimpolpare, e di parecchio, le risorse per il diritto allo studio per gli studenti delle famiglie povere, ai quali va garantito il futuro iscrivendosi all'università di loro scelta. Investendo nel tempo scuola a sud e rivedendo quegli assurdi criteri di ripartizione del fondo per le scuole dell'infanzia, in modo da non avvantaggiare e non penalizzare alcun bambino. Incrementando finalmente l'organico delle scuole dell'infanzia e stabilizzando i precari.

Noi crediamo che si possa fare. Subito. Basta la volontà politica di scrivere pochi emendamenti nella manovra finanziaria in corso di discussione in Parlamento.