Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » La Normale di Pisa non è un posto per donne

La Normale di Pisa non è un posto per donne

Università. Il direttore Vincenzo Barone denuncia: calunniate se si presentano a un concorso. Lo scorso maggio, il Miur aveva elaborato indicazioni contro il gender-gap

18/10/2018
Decrease text size Increase text size
il manifesto

Andrea Capocci

Vincenzo Barone, direttore della Scuola Normale di Pisa non ha peli sulla lingua e ammette: «Ogni volta che si tratta di valutare o proporre il nome di una donna per un posto da docente, si scatena il finimondo». Le parole, contenute in un’intervista al Quotidiano Nazionale, squarciano il velo in una delle istituzioni scientifiche italiane più prestigiose, una delle quattro sole incluse tra le migliori 200 università al mondo. E sono destinate ad aprire un dibattito acceso. Ma questo è l’obiettivo di Vincenzo Barone, sessantacinquenne chimico teorico e direttore dell’istituto pisano dal 2016, venuto qui per «svecchiare» l’ambiente.

La denuncia rivela dettagli inquietanti sull’ateneo pisano. Quando ci sono concorrenti sgraditi, racconta Barone, arrivano «calunnie belle e buone, con l’aggiunta, come accaduto in anni recenti, di lettere anonime e notizie false diffuse ad arte». Contenuti «con espliciti riferimenti sessuali, volgari e diffamatori (…) non mi stupirei di vedere prima o poi anche attacchi magari sulle tendenze omosessuali di qualcuno». Barone si vanta di aver rotto il tabù: «È appena arrivata a Pisa la professoressa Annalisa Pastore. In 208 anni di vita della scuola, il primo ordinario (donna, n.d.r.) della classe di scienze».

Si torna dunque a parlare della scarsa presenza femminile nell’accademia: nonostante siano un terzo circa delle matricole nelle facoltà scientifiche, nei ruoli che contano le donne sono ancora una rarità assoluta. Contro-esempi luminosi, come il premio Nobel per la fisica di quest’anno assegnato a Donna Strickland, non bastano a invertire una tendenza secolare.

Paradossalmente, il tema era stato sollevato poche settimane fa da un uomo, il fisico Alessandro Strumia, anche lui in forze all’università di Pisa, oltre che al Cern di Ginevra. Prima di essere sommerso dalle critiche, Strumia aveva provato a sostenere che le donne sono favorite nei concorsi: proprio il contrario di quanto racconta Barone. E fanno fatica a far carriera perché sono meno portate per la fisica. A supporto della sua tesi, aveva addotto ricerche universalmente screditate sulle predisposizioni innate di donne e uomini, e indagini bibliometriche che dimostrerebbero che le ricerche compiute dalle ricercatrici sono mediamente meno citate dai colleghi. Le citazioni sono un metro della rilevanza utilizzato comunemente per confrontare i curriculum.

Effettivamente, a livello internazionale vi sono diversi programmi di «azione positiva», cioè di interventi mirati a riequilibrare le componenti maschili e femminili ai livelli alti dell’accademia.

Anche il Miur, nello scorso maggio, su impulso della ministra Fedeli aveva elaborato indicazioni in tal senso, indirizzate a università ed enti di ricerca. Strumia, e chi la pensa come lui, sostiene che tali azioni favoriscano scienziate meno meritevoli, e dunque non siano giustificate. L’intervista del direttore della Normale, invece, fa pensare a un vero e proprio apartheid anti-femminista.

A indicare dove stia la verità, semmai ce ne fosse bisogno, ci ha pensato la fisica tedesca Sabine Hossenfelder. Sulla base degli stessi dati di Strumia, Hossenfelder ha dimostrato che la rilevanza delle ricerche di donne e uomini è esattamente uguale, se si considerano solo le ricercatrici e i ricercatori in attività e si escludono quelli che figurano nelle statistiche ma da tempo fanno un altro lavoro (più spesso donne). A influenzare le statistiche, dunque, è la difficoltà di una donna di rimanere nel mondo della ricerca conciliando le esigenze professionali con quelle familiari, che in molti paesi sono squilibrate a loro sfavore.