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La Normale ostaggio di sinistra e sovranisti

Le dimissioni del Direttore

10/01/2019
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Il Messaggero

Professor Barone, lei voleva allargare la Scuola Normale di Pisa, portando la sua eccellenza anche a Napoli. Non ce l'ha fatta e si è dovuto dimettere. Ha vinto il conservatorismo?
«Si sono intrecciati due fenomeni. Il localismo leghista e una sorta di grillismo o di sinistrismo o di assemblearismo dei docenti e degli studenti. Visioni apparentemente opposte hanno trovato la convergenza e nel documento del Senato accademico si è arrivati a dire che io avrei attentato alla tradizione democratica della Scuola Normale. Invece volevo soltanto, sulla base della legge, cominciare a diffondere nel Mezzogiorno, e precisamente all'università Federico II di Napoli, un modello di istruzione molto qualificata». 
Conservatori pure gli studenti, con tanto di striscioni sinistresi appesi al palazzo della Scuola? 
«Loro non si definiscono conservatori. Sostengono che si debba conservare il loro privilegio e la loro eccellenza, ma che queste devono restare uniche. Per il resto, dicono che bisogna lavorare per la diffusione del diritto allo studio». 
C'è del sovranismo alla pisana (il sindaco è della Lega) in questo no all'allargamento al Sud da cui ci sono i cervelli in fuga? 
«Si sono sommati tre sovranismi: politico, accademico, studentesco. E hanno vinto».
La Lega è la più colpevole o anche i 5 stelle? 
«Colpevoli nello steso modo. La posizione del Carroccio è stata schizofrenica. Loro hanno scritto la legge, proprio il ministro lumbard Bussetti, sulla possibilità che la Normale si diffondesse. Poi il sindaco Conti e il parlamentare leghista pisano Ziello hanno imposto lo stop. E al ministero hanno accettato questa cosa. Lo dico perché ero presente alla riunione a Roma». 
E i 5 stelle? 
«Silenzio assoluto». 
E il Pd?
«Il Pd? Esiste? Il presidente toscano Enrico Rossi all'inizio aveva detto qualcosa ma poi basta. E nessun altro ha più aperto bocca. E' stata la politica tutta e l'intero mondo accademico, con la generosa eccezione degli oltre 300 professori sia italiani sia stranieri che hanno sostenuto la mia iniziativa, a voler sopprimere questo allargamento che avrebbe portato eccellenza al Sud. Non sto dicendo che la Federico II non è eccellenza. E' solo che il modello di una scuola autonoma e governata da chi lo sa fare, cioè il modello Normale, al Mezzogiorno sarebbe servito moltissimo». 
Come doveva funzionare il progetto?
«L'idea era che negli anni sperimentali avremmo governato noi la Scuola a Napoli e poi sarebbe diventata indipendente: cioè un'altra Normale gestita da se stessa. Da tempo ciò è accaduto in Francia. Dove alla fondazione napoleonica della Normale di Parigi sono succedute le prestigiose sedi di Lione (1880), Cachan (1912) e Rennes (1994)». 
Il Sud è il vero sconfitto? 
«Spero di no.Spero che la Federico II faccia una scuola d'eccellenza, ma ora è sicuramente più difficile e non sarà il modello Normale». 
Ma la Normale non è in crisi da un bel po' di tempo?
«Su questo c'è una discussione in corso. Io penso che si debba aprire perché è troppo chiusa e autoreferenziale». 
Si aspettava il conservatorismo demagogico dei giovani? 
«La demagogia è parte naturale del mondo giovanile e l'estremismo è una malattia infantile. Ho fatto il 68, figuriamoci se mi spaventano le proteste dei ragazzi. Fanno il loro mestiere. Il problema sono i professori». 
Le danno del fascista? 
«Mi danno dell'assolutista, del sovrano, del despota. E mi sembra incredibile». 
Destra e sinistra unite per dire: #primaipisani anzi #soloipisani? 
«Le rispondo così. Al governo in Italia ci sono leghisti e grillini. La loro alleanza è simile a quella che sulla Normale si è formata tra amministratori locali da una parte e professori e studenti dall'altra». 
Secondo lei, va introdotta l'eccellenza nell'università di massa?
«Bisogna mettere in comunicazione e creare osmosi tra questi due mondi. All'estero si fa così. L'Ecole normale supérieure di Parigi è 50 volte più grande di noi. Qui invece vige il pregiudizio che piccolo è puro e piccolo è bello. Questa è purtroppo un'impostazione politico-culturale trasversale. L'avevo sottovalutata». 
Sta per arrivare l'autonomismo regionale. 
«Lo so. E le dico che la risposta giusta, anche nel campo dell'istruzione, è quella di contemperare aspetti locali e aspetti nazionali. La Normale al Sud poteva essere anche un modo per tenere cucito questo Paese». Delusione fortissima? 
«Sì. Non avevo capito fino a che punto la Scuola di Pisa viene vissuta come un acquario da chi la abita. Sono qui da 10 anni e non mi ero accorto fino in fondo di questo aspetto. Avevo capito male io». 
Mario Ajello