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La protesta dei dottorandi italiani «Gli altri Paesi pagano il doppio»

Il rappresentante dei dottorandi della Statale di Milano: «Mille euro non bastano. Estendere in tutta Italia gli aumenti di Milano e Torino». In Italia i compensi più bassi d’Europa: metà di Olanda e Belgio, un terzo della Svizzera

06/07/2017
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Corriere della sera

Antonella De Gregorio

messo a segno l’anno scorso: duecento euro in più in busta paga. Ma gli oltre mille dottorandi della Statale non si sono fermati al primo traguardo: il loro rappresentante nel Senato accademico dell’Università degli studi di Milano, Giulio Formenti, ha lanciato una nuova sfida: una petizione online per chiedere l’aumento dell’importo delle borse dei dottorati di ricerca - i percorsi di alta formazione accademica - in tutta Italia.

La petizione

Nell’aprile 2016, Formenti aveva presentato al rettore Gianluca Vago una prima petizione, firmata da 400 ricercatori, spiegando che in una città come Milano, con una borsa di studio, si riesce a stento a sopravvivere. Molti giovani, arrivati a 24/25 anni e magari laureati con ottimi voti, pur volendo iniziare anche ad essere più indipendenti, si ritrovano a vivere ancora a casa con i genitori, o a chiedere aiuti economici alle famiglie.

Aumento

Dopo la petizione, in novembre è arrivato l’aumento del 20%: nella busta paga, accanto alla voce «Dott. ricerca ministeriale» il netto a pagare non è più di 1.016 euro, come negli anni passati, ma di 1.218. Una boccata d’ossigeno, che nei mesi scorsi è stata concessa anche dalla Bicocca di Milano e dal Politecnico di Torino; e poi estesa anche ai «dottori» in consorzio tra la Statale e altre università (Genova, Torino, Brescia), che inizialmente non avevano seguito la strada milanese. «Ma quasi tutti gli altri dottorandi italiani sono pagati ancora 1000 euro al mese, cifra tristemente nota per essere tra le più basse d’Europa», spiega Formenti.

«Per un grande Paese»

Sperando nell’effetto domino, ha lanciato una nuova petizione, per chiedere alla ministra Fedeli di «adeguare le borse dei giovani ricercatori italiani agli standard internazionali». Nella petizione, Formenti scrive: «I fondi si possono e si devono trovare, ad esempio attingendo al “tesoretto” di IIT, del quale basterebbe una piccola frazione per coprire l’aumento, e che la ministra ha già promesso di usare a favore dei giovani ricercatori». Un «modesto sforzo economico per avere in cambio un Grande Paese», è la conclusione dell’istanza.

50 milioni di euro

E con i rappresentanti degli studenti si è recato a Roma, per incontrare i responsabili del ministero e sostenere il contenuto della petizione. Firmata, in queste ore, «da Torino, Siena, Brescia, Padova, Pavia, Singapore (!!), Pisa, Urbino, la Sapienza, Parigi, Molise, Federico II», elenca Formenti. L’incontro «è stato molto positivo»: «A dieci anni dall’ultimo aumento - dice il dottorando - da parte del Miur c’è stato un impegno a cercare gli spazi per ritoccare l’importo». 
Operazione da 50miloni di euro, calcolando gli 8mila studenti di dottorato all’anno, da moltiplicare per tre cicli: circa 25mila persone. «Il Miur ha parlato di un possibile “coinvestimento”», prosegue il rappresentante della categoria. Magari un ritocco del «minimo», unito a un contributo da parte delle singole università, che possono intervenire con fondi propri.

Fanalino di coda

In Italia, il dottorato è scarsamente considerato fuori dal mondo accademico e, da un punto di vista economico, è svilito. All’estero gli stipendi (o le borse di studio, a seconda del trattamento previsto dal singolo stato) sono un po’ più alti: nel Regno Unito almeno 1.100/1.200 sterline al mese (che per Londra non consentono di vivere negli agi); in Svizzera si va anche oltre i duemila euro. Prossimi passi: «Un incontro pubblico per presentare la raccolta di firme - dice Formenti -. un nuovo incontro a settembre. E poi speriamo che nella legge di Bilancio 2018 ci siano le risposte alle nostre richieste».