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La pubblica istruzione in ginocchio

la sconfitta in una fotografia

15/09/2020
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La Stampa

Chiara Saraceno

La foto dei bambini genovesi in ginocchio davanti alle sedie trasformate in banchi individuali è troppo in contrasto con anche il minimo di consapevolezza pedagogica e di rispetto per bambini e scuola per non far venire il sospetto che si tratti di una provocazione per protestare contro il mancato arrivo dei banchi negli istituti.

Altrimenti, più che un indicatore della inefficienza del Miur e delle spacconate del Commissario Arcuri, sarebbe un indicatore insieme della insensibilità e mancanza di immaginazione degli insegnanti e dirigenti di quella scuola genovese. La riapertura delle scuole quest'anno assomma al "normale caos" e disorganizzazione in cui ogni anno la scuola italiana riapre i battenti a settembre, per mancanza di capacità organizzative e di previsione a livello centrale e periferico, le nuove esigenze imposte dal contenimento del contagio. Queste a loro volta sono state affrontate con ritardi inaccettabili, indicazioni spesso confuse quando non contraddittorie, resistenze di parte del corpo docente, mentre un'altra parte si è dedicata e dedica con abnegazione e immaginazione non solo organizzativa, ma pedagogica a trovare soluzioni accoglienti e stimolanti per le e gli studenti. Il problema, infatti non sono, o non prioritariamente i banchi e le mascherine. Sono gli insegnanti, che purtroppo, come tutti gli anni, non sono ancora tutti assegnati. Ed è come si farà scuola, come si insegnerà, come si stimolerà l'interesse e la partecipazione delle e degli studenti nel nuovo contesto. Uscendo, come fanno già da tempo molti insegnanti in giro per l'Italia, dalla pigrizia di una didattica frontale, cui potrebbe persino far comodo una classe di belle statuine ben distanziate al loro posto, salvo escludere chi proprio non ce la fa. Nel diluvio di linee guida nazionali e regionali, delle interpretazioni che ne dà ogni singolo plesso scolastico, di tutto ciò non vi è alcuna traccia. Le famiglie si trovano spesso sommerse da richieste perentorie di scaricare, firmare, scansionare erispedire innumerevoli documenti, e pazienza se non hanno computer, stampante, accesso a Internet. Di firmare tassativamente "patti educativi" senza aver avuto modo, non dico dii discuterli, ma di sentirsene spiegare motivazioni e obiettivi; forse perché questi patti sono più un elenco di norme e doveri, dei genitori, che veri accordi di collaborazione educativa. Il paradosso è, che in questo diluvio di documenti, non mancano solo indicazioni sul modello didattico che si intende perseguire, su cosa si intende fare per aiutare gli e le studenti ad elaborare quanto è accaduto e a recuperare gli apprendimenti persi, su come si intendano sviluppare i patti educativi di comunità di cui si parla nelle linee guida per integrare l'offerta educativa. Mancano anche indicazioni cruciali su come affrontare le probabili emergenze individuali e collettive che si ripeteranno in corso d'anno. La messa in quarantena di uno studente lo/la escluderà dalla possibilità di seguire la didattica a distanza anche se è asintomatico e sta bene? E se ad andare in quarantena è tutta la classe, come è già successo a Massa Carrara, non ci sarà didattica di nessun tipo per tutto il periodo? Purtroppo, in assenza di indicazioni chiare nelle famose linee guida, che parlano di didattica a distanza integrata per le superiori come routine ma per le scuole elementari e medie la prevedono solo in caso d lockdown totale o parziale, la risposta che viene data a queste due questioni è per lo più negativa, aprendo alla possibilità di voragini didattiche. La giusta enfasi, specie per elementari e medie, sulla didattica in presenza diventa un vincolo insormontabile alla ricerca di alternative, che pure già ci sono e sono ampiamente sperimentate, ad esempio, nel caso di scolari ospedalizzati. Nella opacità delle norme, la tentazione di non fare nulla, caricando la responsabilità e la colpa lungo la catena decisionale è altissima. Tanto il cerino acceso rimane in mano sempre ai genitori. E chi ne paga il prezzo sono le/i bambini e adolescenti. —