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Liberazione: Finanziaria, bene su fisco e scuola

In Parlamento si prepara lo scontro

03/10/2006
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Liberazione

La manovra varata dal governo Prodi parla una lingua progressista, anche se restano capitoli da migliorare. Casa delle Libertà all’attacco in ordine sparso. Confidustria a testa bassa. Montezemolo: «Vedere i sindacati che festeggiano ci preoccupa»

Rina Gagliardi

Il Corriere della sera dice che no, non ci siamo. Confindustria trova insopportabile che i sindacati festeggino. Il centrodestra, addirittura, strepita, e annuncia con grandi squilli di trombe che intende scendere in piazza - anche il moderato Casini, che la piazza proprio non la vuole vedere nemmeno col cannocchiale, non scherza, quanto a severità di giudizio. Last but non least, le componenti moderate dell’Unione - a cominciare dall’ex-mite Villetti - manifestano un bel po’ di stizza per la scarsità della dose di quel che loro chiamano “riformismo” (e Clemente Mastella, che conoscevamo come un buon cattolico, scopre nientemeno che non c’è differenza tra ricchi e poveri). Insomma: se dovessimo prendere per oro colato queste reazioni, ne dovremmo concludere non solo che la Finanziaria appena varata dal governo Prodi è buona, buonissima, ma che è proprio “la migliore delle Finanziarie possibili” - in questo mondo, s’intende, ovvero nel mondo in cui ci è toccato di abitare. Sarà davvero così? O sarà invece (quasi) tutto molto legato alle necessità strumentali, ai propagandismi, ai teatrini tattici della “politica”? La verità è, come al solito, un po’ più complessa Non è vero che la legge di bilancio 2007 è stata scritta in un tardo soviet di viale del Policlinico 131 e che Rifondazione comunista ha “stracciato” tutti, dai liberisti alla sinistra moderata. E’ vero, invece, che la manovra, nel suo insieme, parla una lingua progressista e, soprattutto, inverte la tendenza economico-sociale degli ultimi vent’anni (non solo degli ultimi cinque) - quella che scaricava i costi dei diversi risanamenti finanziari sulle larghe masse, quella che non toccava (e se mai alimentava) né disuguaglianze né nicchie né privilegi. E’ vero, alla fin fine, che essa, proprio per le ragioni opposte a quelle accampate dalla destra e dalla “Rosa nel pugno”, contiene significativi segnali riformatori, nei confronti del mondo del lavoro, della scuola, dei giovani, ovvero del blocco di consenso che in aprile ha scelto l’Unione. Il giudizio positivo dei sindacati confederali, in particolare del segretario della Cgil Epifani, nasce proprio da questa convergenza analitica e politica, non certo dalla ripresa di vocazioni antiche (tipo “governo amico”) e anzi superate. E quindi? Quindi, questo primo risultato va considerato altamente apprezzabile: come una mediazione che è riuscita a rispettare lo spirito del programma dell’Unione, declinandolo in una direzione popolare. Solo che, ovviamente, si tratta di un punto di partenza, come ha detto anche Padoa Schioppa, non d’arrivo: su questioni cruciali, come le pensioni, la salute, la sorte dell’università e della ricerca, il lavoro, le zone d’ombra non sono poche, e i margini di migliorabilità ampi. Una situazione che, ovviamente, vale anche per il suo opposto: Rutelli già annuncia la possibilità di “ritocchi” in parlamento, e il presidente della Margherita non è il solo che punta sul tradizionale, lungo e faticato iter parlamentare della legge per peggiorarne punti non marginali. In questo senso, la partita che si aprirà tra pochi giorni sarà tutto fuorché tranquilla.

Vediamo nel merito. Il passaggio più positivo di questa finanziaria è quello che riguarda le tasse, una rimodulazione delle aliquote che sposta il carico fiscale, sia pure per entità modeste, sugli strati sociali più ricchi della popolazione italiana: per una volta, insomma, non saranno i soliti noti a pagare. Non solo: per loro, anche grazie a provvedimenti come il “cuneo fiscale”, e alle diverse detrazioni previste, un qualche miglioramento del tenore di vita dovrebbe cominciare ad essere tangibile. Non per caso, è qui che si concentra lo strepito delle destre: c’è un valore simbolico forte, soprattutto nelle nuove tabelle, e un segno inequivocabile di tipo redistributivo. Così, dai polverosi archivi della sociologia d’antan è stata ritirata fuori, per l’occasione, la nozione di “ceti medi” - dio solo sa che cosa vuol dire, “scientificamente” parlando, e specialmente nelle società attuali, dove l’impoverimento è generalizzato, tranne che per quell’élite che, all’opposto, non fa altro che arricchirsi. In realtà, il “ceto medio” è un po’ come l’araba fenice. Se storicamente era la “foglia di fico” che serviva a coprire scelte moderate (e su che cosa la “destra della sinistra”, a cominciare dai miglioristi del vecchio Pci, non si qualificava se non nel richiamo alla tutela, appunto, del ceto medio?), oggi essa è l’arma privilegiata della politologia: la quale ha decretato che le elezioni e le competizioni politiche si vincono “al centro”, cioè lì dove stanno i “ceti medi”. Su questa discutibilissima base, c’è oggi chi sentenzia che far pagare qualche decina di euro in più al mese a chi ha un reddito superiore ai tremilacinquecento euro netti al mese corrisponde a una scelta eversiva, se non rivoluzionaria, comunque pericolosa e socialmente punitiva. Ha ragione, del tutto, il ministro Visco: l’egoismo radicato in un pezzo di popolazione italiana è senza limiti, e senza vergogna. Quasi come quello dei proprietari di Suv che impazzano nei vicoli di Trastevere, e occupano da soli intere aree “pedonali”.

Altro passaggio meritorio: la scuola. La finanziaria non solo introduce l’obbligo scolastico a sedici anni (e il conseguente divieto di ingresso nel lavoro sotto i sedici anni), ma propone un piano di stabilizzazione di 150 mila precari (più ventimila lavoratori Ata) che dovrà esser attuato entro tre anni. Anche qui l’inversione di tendenza è visibile e rilevante, sia rispetto al quinquennio berlusconian-morattiano, sia, forse, rispetto anche ad alcune tendenze della sinistra moderata (e “modernizzante”). Non tutto è come avrebbe potuto (o dovuto) essere, soprattutto dal punto di vista degli investimenti e, anche in parte, della centralità strategica. Intanto, però, sono state battute le “tentazioni” (che non vanno ascritte, come sappiamo, al ministro Fioroni) di ridimensionare la scuola pubblica, ridurre gli insegnanti, penalizzare, più in generale, il pubblico impiego. C’è da giurarci: la campagna ricomincerà, “più forte e battente che pria”.

Infine, i capitoli critici: la sorte degli enti locali, i ticket sanitari, la depressione dell’università e della ricerca, per parlare di ciò che la Finanziaria prevede. E l’occupazione dei giovani, la lotta contro la precarietà, il destino del Mezzogiorno, le unioni civili, per parlare di ciò che non c’è, o non c’è abbastanza. Non si tratta di questioni marginali, com’è evidente. Di più: si tratta di provvedimenti che rendono palese la persistenza di una logica “ragionieristica”, o di una subalternità ai dettami del neoliberismo ancora assai rigida. Naturalmente, non tutte le scelte di politica economica e sociale passano per la legge di bilancio - per alcune di esse, come quella che riguarda le pensioni, si sta ragionando di un rinvio. Bastino queste considerazioni per ribadire che, no, non è la “migliore delle finanziarie” possibili, e che ci sarà molto ancora da lavorare, da confliggere, da conquistare, per arrivare a una autentica svolta riformatrice. Oggi, certo, questa battaglia muove da premesse - da “paletti” - incoraggianti.