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Ma davvero l’Italia dev’essere orgogliosa del ranking Qs?

Esplora il significato del termine: La soddisfazione della ministra Valeria Fedeli per il piazzamento di 4 atenei italiani fra i primi duecento al mondo dopo anni di tagli dolorosissimi al sistema accademicoLa soddisfazione della ministra Valeria Fedeli per il piazzamento di 4 atenei italiani fra i primi duecento al mondo dopo anni di tagli dolorosissimi al sistema accademico

09/06/2017
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Corriere della sera

Orsola Riva

Ma davvero l’Italia dev’essere orgogliosa di avere 4 università fra le prime 200 al mondo? Davvero quella che ancora oggi, nonostante l’ingresso prepotente di nuove economie, resta l’ottava potenza mondiale può accontentarsi di un risultato così striminzito? Il miglior piazzamento nostrano nel ranking Qs uscito stamani è quello del Politecnico di Milano che svetta (si fa per dire) in 170esima posizione. Passi che i rettori di Milano, dell’Alma Mater di Bologna e delle due super scuole pisane (Normale e Sant’Anna) si rallegrino di aver confermato e nel caso di Milano e Bologna sensibilmente consolidato la propria posizione. Vista soprattutto l’esiguità di fondi a disposizione, c’è da gridare al miracolo. Non è un mistero per nessuno infatti che l’università italiana sia drammaticamente sotto finanziata: in rapporto al Pil, noi spendiamo la metà dei tedeschi e dei francesi. Ecco perché risulta alquanto sorprendente la soddisfazione espressa dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. «L’Italia deve essere orgogliosa per questo risultato - ha detto commentando i risultati usciti oggi -. Il nostro è un sistema accademico con molte eccellenze e realtà storiche prestigiose, è una risorsa fondamentale, un volano di crescita per il Paese. Per questo dobbiamo valorizzarlo e sostenerlo, proseguendo il percorso avviato con l’ultima Legge di Bilancio che ha incrementato il Fondo di finanziamento ordinario degli atenei, riportandolo a 7 miliardi». Vero, verissimo ma la ministra non può non sapere che non siamo ancora nemmeno tornati ai livelli di partenza di quasi dieci anni fa, prima dei tagli draconiani imposti da Tremonti. Nel 2009 il Ffo era di 7,5 miliardi, nel frattempo mentre tutti gli altri Paesi investivano in ricerca e sviluppo l’università italiana insieme all’emorragia di fondi ne ha subita un’altra ancor più drammatica: quella dei cervelli fuggiti all’estero su cui periodicamente i rappresentanti dei governi fin qui succedutisi versano lacrime di coccodrillo. Solo un esempio: nell’ultima tornata di Erc starting grants i ricercatori italiani si sono piazzati al terzo posto per numero di borse conquistate: 22 in tutto, dietro a tedeschi e francesi ma davanti anche agli inglesi. Peccato però che più della metà di loro (14 per la precisione) le ricerche le vadano a fare nei laboratori inglesi francesi tedeschi... E daccapo: complimenti al Politecnico che sforna ingegneri apprezzatissimi dal mercato internazionale (la loro «employer reputation» li posiziona al 53esimo posto). E all’università di Bologna la cui reputazione accademica le assicura un lusinghiero 77esimo posto. Ma insomma: che siamo bravissimi a fare tanto con poco lo avevamo già capito. Non sarebbe ora di avere un po’ di soldi in più da far fruttare, come abbiamo largamente dimostrato di saper fare?