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Meno indicatori e più pensiero critico

La normazione recente in materia di Università abbonda di riferimenti a indicatori dei tipi più diversi

07/09/2017
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Il Sole 24 Ore

Giovanni Pascuzzi

La normazione recente in materia di Università abbonda di riferimenti a indicatori dei tipi più diversi. Di seguito un breve inventario.

Gli indicatori nei piani della performance universitaria.

Le Università devono redigere il «Piano della performance», per individuare gli indirizzi e gli obiettivi strategici e operativi (articolo 10, Dlgs 150/2009). Nel piano devono essere specificati gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell’amministrazione.

Gli indicatori nella programmazione strategica.

Le Università devono seguire la logica dell’azione volta al perseguimento di obiettivi (si veda l’articolo 1-ter del Dl 7/2005). Negli allegati al Dm 635/2016 sono contenuti gli indicatori in relazione ai più svariati obiettivi.

Gli indicatori di bilancio.

Le Università devono pubblicare il «Piano degli indicatori e risultati attesi di bilancio» (articolo 29, comma 2, Dlgs 33/2013).

Gli indicatori nella procedura di accreditamento delle sedi e dei corsi di studio.

La legge 240/2010 (articolo 5, comma 3, lettera a) ha introdotto un sistema di «accreditamento delle sedi e dei corsi di studio universitari fondato sull’utilizzazione di specifici indicatori per la verifica del possesso da parte degli atenei di idonei requisiti didattici, strutturali, organizzativi, di qualificazione dei docenti e delle attività di ricerca, nonché di sostenibilità economico-finanziaria».

Gli indicatori nella Vqr.

La stessa legge (articolo 5, comma 3, lettera b) ha introdotto anche un «sistema di valutazione periodica basato su criteri e indicatori dell’efficienza e dei risultati conseguiti nell’ambito della ricerca dalle singole università e dalle loro articolazioni interne». La Vqr 2011-2014 è stata effettuata sulla base di indicatori dell’attività di ricerca delle strutture.

Gli indicatori nella procedura per individuare i dipartimenti di eccellenza.

La legge 232/2016, (articolo 1, commi 319 e 320) ha istituito una procedura per selezionare i migliori Dipartimenti universitari ai quali giungeranno ingenti risorse. La selezione viene fatta in base all’Ispd («Indicatore standardizzato della performance dipartimentale»). Esso tiene conto della posizione dei Dipartimenti nella distribuzione nazionale della Vqr.

Gli indicatori nella abilitazione scientifica nazionale (Asn).

Anche le procedure relative alle progressioni di carriera fanno riferimento ad indicatori (articolo 1 del Dpr 95/2016, articolo 1). Gli indicatori, in questo caso, servono a stabilire l’impatto della produzione scientifica.

Gli indicatori della qualità e della efficacia della didattica.

L’articolo 2, comma 1, lettera p, della legge 240/2010 attribuisce ai Nuclei di valutazione presenti in ogni ateneo «la funzione di verifica della qualità e dell’efficacia dell’offerta didattica, anche sulla base degli indicatori individuati dalle commissioni paritetiche docenti-studenti». L’esempio più intuitivo sono gli indicatori che popolano i questionari sulla valutazione della didattica che gli studenti sono chiamati a compilare.

Qualche considerazione di carattere generale

a) Nel volgere di pochi anni le Università sono state travolte dalla logica degli indicatori;

b) il concetto di indicatore ha a che fare con la misurazione di qualcosa. Ma non bisogna dimenticare che non tutto può essere ricondotto a fenomeni che possono essere misurati. In più esistono fenomeni che non solo non sono misurabili ma non sono nemmeno osservabili, cionondimeno, appunto, esistono e svolgono ruoli fondamentali;

c) gli indicatori sembrano avvolti da alone di «oggettività». Ma non c’è bisogno di scomodare l’epistemologia del Novecento per ricordare che non esiste fenomeno osservato senza un osservatore e non esiste una misurazione sulla quale non influisca il soggetto che misura ovvero il punto di osservazione;

d) la scelta degli indicatori non è mai neutra. I risultati cambiano sensibilmente sulla base dell’indicatore scelto. La classifica delle Università italiane stilata dal Sole 24 Ore (https://www.ilsole24ore.com/speciali/classifiche_universita_2016/home.shtml) ha una peculiarità: può essere “personalizzata”. Collegandosi al sito ciascuno può “dosare” i diversi indicatori (ottenendo, di volta in volta, una classifica diversa);

e) la scelta degli indicatori retroagisce sui comportamenti. Se si ricevono risorse maggiori quando gli studenti completano il corso di studio nei tempi previsti, può scattare qualche comportamento opportunistico. Se si considerano più importanti le pubblicazioni su riviste rispetto alle monografie si può arrivare a governare gli stili di riflessione di una intera branca del sapere;

f) gli indicatori appartengono alla logica della misurazione quantitativa. Ma l’Università non produce unità di prodotto, ma qualcosa di molto più impalpabile ma anche di molto più importante. Questa logica sta snaturando l’Università;

g) la rincorsa al rispetto degli indicatori sta minando la stessa possibilità di produrre pensiero critico e innovativo: l’indicatore è lo standard mentre l’innovazione è ciò che, per definizione, è fuori dallo standard;

h) l’Università deve perseguire l’innovazione. Invece si assiste a un morbido adattamento a queste nuove logiche. Il conformismo indotto è una delle cose che si può facilmente misurare andando in giro per gli atenei italiani.

*Professore ordinario di Diritto comparato all’Università di Trento