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Messaggero: Il ontesto sbagliato, l'orgoglio da ritrovare

Ragazzi e Italia

06/12/2009
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Il Messaggero

di PAOLO POMBENI

È UNO strano Paese l’Italia, verrebbe da dire che è il paradiso della doccia scozzese. Possiamo infatti guardarla con la preoccupazione con cui si considera un declino che preoccupa tutti o con l’orgoglio più che legittimo di chi rileva che, a dispetto del contesto, abbiamo ancora importanti isole di eccellenza.

È appena uscito, a conferma del primo aspetto, un rapporto della unità di analisi e studi della commissione europea sul tema dell’educazione che ci mette davanti all’ennesimo dato preoccupante: in Italia un ragazzo su due legge poco e male, non raggiungiamo il 50% della media europea in questo campo, col risultato che i nostri studenti non solo hanno un orizzonte di nozioni molto limitato, sicché fanno molta fatica a capire quel che viene spiegato se si tratta di un discorso appena complesso. La situazione è notissima a tutti gli insegnanti, compresi quelli universitari. Proprio nella scorsa settimana il rettore dell’università di Bologna ha dichiarato con coraggio la difficoltà di dare una istruzione superiore a studenti “semi analfabeti” ( ipse dixit, sarebbe da scrivere visto che il prof. Ivano Dionigi è un illustre latinista).

Naturalmente si potrebbe ribattere che, se questo è vero, è poi difficile spiegare come in una situazione del genere abbiamo punte di eccellenza riconosciute, come i nostri studenti e laureati più brillanti facciano ottima figura all’estero quando ci vanno con il programma Erasmus o a specializzarsi dopo la laurea (tanto che un certo numero non rientra più), come continuiamo a produrre ricerca di qualità che si afferma, a volte, come nel caso delle materie umanistiche, a dispetto del veicolo di una lingua che ormai è poco conosciuta fuori del nostro Paese. Se è vero, come rileva il rapporto della unità di analisi della Ue che abbiamo citato, che la percentuale di nostri studenti che si collocano nella fascia di eccellenza è inferiore alla media europea (per essere precisi solo il 5,2 contro l’8,9%) non è meno vero che pur in situazioni non certo ottimali i nostri migliori sono davvero di qualità molto alta.

Di chi è la colpa di tutto questo? È urgente rispondere a questa domanda, perché il rapporto denuncia l’esistenza costante di un trend negativo, ovvero, detto in parole povere, andiamo sempre peggio.

Evitiamo però di limitarci ad analisi certo vere, ma parziali: lo scadimento di una scuola che ha espunto il merito, le riforme scolastiche lasciate in mano a pedagogisti giocherelloni e ad autopromossi esperti dal pedigree piuttosto incerto, la distruzione dei percorsi di apprendimento consolidati per sperimentalismi inadeguati e mal congegnati.

La questione va presa di petto ammettendo alcune verità piuttosto amare. La prima e forse la principale è che ci troviamo a misurarci con generazioni di delusi in partenza. I ragazzi non hanno alcuna fiducia che conoscere serva a progredire, che ci si faccia strada nella vita grazie alla propria qualificazione. Sperimentano nell’esperienza dei loro compagni appena più anziani e nella loro stessa, l’indifferenza della società alle qualità della preparazione. Come spesso si scrive, queste generazioni pensano per la prima volta che finiranno per stare peggio dei propri genitori. Lo sappiamo, ma rifiutiamo di registrare quanto ciò sia terribile nel determinare il contesto psicologico in cui i ragazzi affrontano le durezze del percorso educativo, a cui rifiutano di conseguenza di sottoporsi, convinti che il gioco non valga la candela (purtroppo spesso sostenuti in questo dall’incultura di ritorno dei loro genitori).

La seconda ragione è il contesto in cui vivono i ragazzi, che è largamente un inno alla ignoranza, alla volgarità, all’irrilevanza dell’educazione intesa in senso ampio. Certo possiamo lamentarci perché scrivendo solo Sms i ragazzi hanno contratto il loro patrimonio linguistico, ma non crediamo che i ragazzi di vari decenni fa avessero più competenza perché tutti comunicavano con lettere appassionate di molte pagine. Il fatto era che essi anche solo guardando la Tv, andando al cinema, parlando con persone di media cultura, venivano a contatto con un argomentare più complesso ed erano spettatori di un costume che censurava chi pretendendo di “stare in pubblico” era inferiore a certi standard. Come stiano le cose oggi non c’è bisogno di illustrarlo.

La terza ragione è connessa a questa: abbiamo perduto in gran parte l’orgoglio. A furia di pensare di essere molto all’avanguardia denunciando abusi, malfunzionamenti, derive di vario genere, abbiamo lasciato passare il messaggio che della “qualità” non importa nulla a nessuno, anzi che questa non esiste. Badate bene: il problema non è salvarsi l’anima ricordando che vengono a volte segnalate pure le punte massime di eccellenza, perché queste ovviamente sono percepite come “eccezioni” che non stimolano la generalità. Il genio non attira più di tanto come modello coloro, e sono quasi la generalità, che hanno la consapevolezza di non avere doti eccezionali. È la “media alta” che fa da stimolo, perché è questo il livello verso cui si può orientare con speranza di successo la maggior parte delle persone.

Se vogliamo affrontare il problema del nostro ritardo educativo dobbiamo investire (in tutti i sensi: economico, culturale, di coscienza diffusa) per battere la disillusione dei giovani e la loro delusione di fronte alla vita. Una drastica riduzione della Tv spazzatura, una coraggiosa attenzione a tutti i momenti in cui ci sia da valorizzare chi si batte per migliorarsi, una “messa in circuito” dei molti personaggi positivi che animano questo Paese serviranno molto più di mille prediche sulla decadenza.

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