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Open access, Open Science e l’UMI. Difficile mettere insieme una tale serie di inesattezze.

Il recente documento della UMI intitolato Accesso aperto alla letteratura scientifica (open access) lascia perplessi perché riporta informazioni imprecise, inesatte o superate, ed è purtroppo espressione del livello ancora molto basso della discussione sull’open science nel nostro Paese

11/06/2019
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ROARS

Il recente documento della UMI intitolato Accesso aperto alla letteratura scientifica (open access) lascia perplessi perché riporta informazioni imprecise, inesatte o superate, ed è purtroppo espressione del livello ancora molto basso della discussione sull’open science nel nostro Paese. Difficile riuscire a mettere insieme una tale serie di inesattezze. Nella premessa si dice infatti che Gran Bretagna e ERC chiedono la pubblicazione in accesso aperto delle ricerche finanziate, ma non sono ovviamente gli unici due esempi. C’è l’Olanda, la Francia, la Spagna, e c’è anche la Commissione Europea. Il diamond open access, cioè quelle riviste che non prevedono alcun costo per chi legge e neppure per chi scrive, viene descritto come un fenomeno non particolarmente diffuso, ma su 230 riviste di matematica indicizzate dalla Directory of open access journals 172 sono diamond open access. Risulta particolarmente sbagliata anche la riflessione sui modelli di business. Il dibattito europeo su open science, (e non più solo su open access), invece, rafforzato dalla creazione di EOSC (European Open Science Cloud) indica in maniera abbastanza chiara la strada che l’Europa ha intrapreso, che non è come vorrebbe fare intendere il documento, pagare per pubblicare. Anche se le imprecisioni del documento sono molte, le conclusioni sono in gran parte condivisibili, ma sembrano non tenere conto di quanto è già disponibile e quanto si può già fare qui ed ora.

Il recente documento della UMI intitolato Accesso aperto alla letteratura scientifica (open access) lascia perplessi perché riporta informazioni imprecise, inesatte o superate, ed è purtroppo espressione del livello ancora molto basso della discussione sull’open science nel nostro Paese.

Il dibattito europeo su open science, (e non più solo su open access), invece, rafforzato dalla creazione di EOSC (European Open Science Cloud) indica in maniera abbastanza chiara la strada che l’Europa ha intrapreso, che non è come vorrebbe fare intendere il documento, pagare per pubblicare.

Difficile riuscire a mettere insieme una tale serie di inesattezze.

Nella premessa si dice infatti che Gran Bretagna e ERC chiedono la pubblicazione in accesso aperto delle ricerche finanziate, ma non sono ovviamente gli unici due esempi. C’è l’Olanda, la Francia, la Spagna, e c’è anche la Commissione Europea che con  H2020 ha reso obbligatorio l’accesso aperto (sia in green open access che in gold) alle pubblicazioni esito di finanziamento  e ha avviato un progetto pilota sull’accesso aperto ai dati della ricerca. Anche in Italia è in discussione una modifica della legge sull’open access che renda più efficace la legge stessa. A parte la Gran Bretagna, dove è stato previsto un finanziamento ad hoc in aggiunta a quello previsto per pagare gli abbonamenti (modello che si è rivelato difficilmente sostenibile per la Gran Bretagna stessa), le altre nazioni europee si stanno orientando verso contratti transformative con i grandi gruppi editoriali. Vale a dire che si tenta di convertire l’importo previsto per gli abbonamenti nel modello read and publish https://oa2020.org/b14-conference/final-statement/

Nella parte del documento UMI dedicata alle definizioni si parla di diamond open access, cioè di quelle riviste che non prevedono alcun costo per chi legge e neppure per chi scrive. Viene descritto come un fenomeno non particolarmente diffuso, ma su 230 riviste di matematicaindicizzate dalla Directory of open access journals 172 sono diamond open access, vale a dire che sono sostenute da società scientifiche e istituzioni e che né i lettori pagano per leggere né gli autori pagano per pubblicare.

Sul green open access giova ricordare che non si tratta di qualcosa di remoto, ma che la maggior parte delle università italiane possiede un archivio open access (IRIS) dove è possibile dal 2015 archiviare i propri contributi nella modalità green.

Risulta particolarmente sbagliata la riflessione sui modelli di business, dove si dice che il modello con pagamento di APC avrebbe una serie di effetti negativi che discutiamo qui di seguito nel dettaglio:

  • Dirotta ulteriori risorse finanziarie in aggiunta a quelle necessarie per gli abbonamenti, già molto elevati;

La forma del double dipping è fortemente scoraggiata da Plan S ad esempio e la maggior parte delle nazioni europee (e non solo) stanno orientandosi verso i transformative agreements (modello read and publish)

  • Rende difficile la possibilità di pubblicare ai soggetti economicamente deboli, ad esempio i ricercatori giovani e non strutturati;

Nei documenti della Commissione Europea e in quelli di Coalition S si parla sempre di ricerche finanziate con fondi pubblici. I giovani ricercatori che godono di un finanziamento pubblico, se non afferiscono ad una istituzione che ha sottoscritto un transformative agreementpossono sempre utilizzare la green road

  • Crea potenziali distorsioni sulla “authorship”, infatti potrebbe spingere autori senza fondi di ricerca ad aggiungere coautori, che pur non avendo contribuito direttamente alla ricerca, siano in grado di provvedere ai costi di pubblicazione;

Questo pare davvero l’ultimo dei problemi. Le distorsioni rispetto alla authorship hanno la loro causa prima in sistemi di valutazione e premiali basati esclusivamente su criteri quantitativi.

  • Può introdurre nella valutazione della pubblicazione criteri aggiuntivi al puro merito scientifico e con esso contrastanti.

Anche qui le distorsioni nella valutazione non dipendono certo dall’open access, ma da criteri (fortemente discutibili e messi in discussione) che estendono la valutazione del contenitore al contenuto

  • Disincentiva gli editori commerciali dal promuovere le riviste per ottenerne una diffusione capillare.

La diffusione capillare nel web è ormai indipendente da quello che un editore vuole o non vuole fare.

  • Introduce una ulteriore minaccia alla libertà di ricerca, per la difficoltà di trovare i finanziamenti necessari alla pubblicazione, se non esiste l’appoggio di un gruppo.

Ancora una volta, oltre ad essere prevista sempre la modalità green, le regole si riferiscono a ricerche che ottengono un finanziamento, per cui il ricercatore che non lavora in un gruppo, che non ha finanziamenti da parte di enti finanziatori, che non appartiene ad una istituzione che ha sottoscritto un transformative agreement, che non ha coautori che lavorano presso istituzioni che hanno sottoscritto un transformative agreement, pubblicherà dove meglio ritiene*.

Per quanto riguarda la parte di commento su Plan S, vale la pena ricordare che si sta procedendo per successivi aggiustamenti anche e soprattutto ascoltando le comunità disciplinari e i portatori di interesse. Il 31 maggio sono state pubblicate le Revised Guidelines che accolgono molti dei suggerimenti provenienti da istituzioni, ricercatori, e società scientifiche e rispondono a gran parte dei timori espressi nel documento dell’UMI.

E infine le raccomandazioni del Documento:

  • Siamo favorevoli all’accesso aperto alla letteratura scientifica, dove per accesso aperto, intendiamo la possibilità di accesso alla pubblicazione e alla lettura senza alcuna barriera economica, legale o tecnica.

Oggi la comunità internazionale parla di Open Science**, cioè di una scienza basata su principi di trasparenza e condivisione di pubblicazioni, dati, metodi e processi, per questo è nata EOSC.

  • Riteniamo che debbano essere implementate misure specifiche per eliminare ostacoli di natura puramente economica alla pubblicazione dei risultati della ricerca sulle riviste ritenute più idonee, anche prevedendo modalità per aiutare comunità e autori che non abbiamo finanziamenti sufficienti a coprire gli APC. Questo anche per tutelare la effettiva libertà della ricerca.

Questo suggerimento è molto sensato e si ribadisce però la possibilità, sempre presente, di pubblicare in un archivio istituzionale o disciplinare il proprio lavoro in modalità green.

  • Sollecitiamo l’adozione di misure specifiche per il finanziamento di piattaforme di supporto ad archivi ad accesso aperto, che riteniamo possano soddisfare, almeno in questa fase di transizione verso l’open access, alla necessità di condivisione dei risultati della ricerca promossa attraverso il plan-S.

Non è chiaro cosa siano le piattaforme di supporto ad archivi ad accesso aperto. In Italia molte istituzioni hanno IRIS, l’INFN ha creato un archivio istituzionale basato su Zenodo. Zenodo resta comunque una opzione per i nostri ricercatori che non afferiscono a nessuna istituzione. Non c’è nulla da creare, abbiamo già tutto, basta farne uso. Quello che occorre non è la tecnologia, ma un cambiamento culturale.

  • Riteniamo positiva l’azione volta ad eliminare i giornali ibridi ma si richiede un piano specifico per arrivare al loro superamento, che allo stato attuale non appare scontato.

Infatti è su questo che molti Paesi (europei e non) stanno lavorando, raccogliendo i dati sulle APC pagate dalle istituzioni e cercando anche attraverso il progetto OA2020 di trovare soluzioni comuni

  • Riteniamo che vadano implementate politiche specifiche per evitare il pericolo del “double-dipping”.

Si chiamano transformative agreements e alcuni Paesi ci stanno lavorando da anni.

  • Riteniamo che debbano essere poste forti attenzioni alla trasparenza e alla integrità scientifica, soprattutto in ragione di nuove forme di comunicazione della scienza, al fine di evitare plagio e cattivo uso delle pubblicazioni disponibili in formati digitali aperti. Parimenti, deve essere evitato lo sfruttamento commerciale delle risorse aperte attraverso motori di ricerca a pagamento.

Il principio della trasparenza e della integrità scientifica è alla base dell’open science. E’ proprio  la piena condivisione di dati, metodi e pubblicazioni a rendere più difficile, o più facilmente individuabile il plagio che invece risulta molto più praticabile laddove un paywall non garantisce eguale accesso a tutti.

Anche se le imprecisioni del documento sono molte, le conclusioni sono in gran parte condivisibili, ma sembrano non tenere conto di quanto è già disponibile e quanto si può già fare qui ed ora.

Infine, nella introduzione al documento, si parla del XXI congresso dell’Unione matematica italiana in cui si è organizzata una tavola rotonda sui temi oggetto del documento stesso. Ci auguriamo che nella tavola rotonda ci sia spazio per tutte le posizioni e che temi così importanti possano essere affrontati tenendo conto di punti di vista diversi e dei risultati già raggiunti qui e in altri Paesi.

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*Vale qui la pena di ricordare che nel 2018 un ateneo come l’Università di Milano ha pubblicato 1130 articoli in gold open access pagando le APC per 111 articoli.

** Open Science is the practice of science in such a way that others can collaborate and contribute, where research data, lab notes and other research processes are freely available, under terms that enable reuse, redistribution and reproduction of the research and its underlying data and methods.[FOSTER]