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Perché chiudere le scuole se sciopera solo l’1% dei professori?

In un anno sono state indette 12 proteste. Lo sciopero più massiccio ha visto la partecipazione dell’1,62% dei docenti. Eppure sono state perse 2,5 milioni di lezioni

19/11/2019
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Corriere della sera

Gian Antonio Stella

A leggere i dispacci di certe combattive sigle sindacali pare che espugnino invitte una Bastiglia al mese. «Grande adesione di piazza», «Clamoroso successo», «Una marea umana»… Poi vai a vedere i numeri reali del Dipartimento della Funzione pubblica. E salta fuori che lo sciopero più massiccio ha visto la partecipazione dell’1,62 per cento dei combattenti: 15.908 su 1.102.069 dipendenti della scuola. Un trionfo. Per carità, guai a mettere in discussione il diritto allo sciopero e prima ancora il diritto a proclamarlo. Però…

Però la nuova inchiesta di Tuttoscuola mostra come alcune regole dettate dalla volontà di dialogo all’interno del mondo scolastico coi sindacati più grandi, quelli minori e quelli lillipuziani, per un totale di 177 sigle (114 con meno di cento iscritti), ciascuna delle quali in ovvio disaccordo con le altre 176, sono state logorate da anni di dubbie applicazioni. Lo dice la tabella rielaborata dalla rivista diretta da Giovanni Vinciguerra sui dati del Dipartimento della Funzione pubblica.

Tabella dove si legge che nell’ultimo anno, dal 26 ottobre 2018 al 25 ottobre 2019, gli scioperi nella scuola sono stati dodici ma tutti lontani in maniera siderale dagli scioperi veri, che contano, come quello contro la Buona Scuola di Matteo Renzi che il 5 maggio del 2015, trainato dalle più importanti o delle sezioni sindacali, vide la partecipazione del 64,89% dei dipendenti scolastici, dai bidelli e presidi, e fu una sorta di bastonata all’allora vincente premier toscano. Dei dodici scioperi proclamati, tutti da sigle minori come l’Unicobas (1.527 iscritti), Cub scuola (979), Sgb (228) o addirittura microscopici come il Sisa (Sindacato Indipendente Scuola e Ambiente) o l’Unione sindacale italiana-Ait Scuola che risultano avere 13 iscritti a testa (tredici) su oltre un milione di addetti dalle materne alle superiori, non ce n’è manco uno che abbia almeno sfiorato la quota del 2%. Tutti sotto. Con percentuali che in due casi segnavano partecipazione dello 0,50 e lo 0,52. Catastrofi sindacali e politiche pressoché ignorate dai protagonisti, certi nel loro microcosmo di essere gli unici, ovvio, a essere nel giusto.

Ma che importa ai cittadini di questi scioperi minuscoli? Nulla, forse, se non pesassero maledettamente l’attesa delle scuole chiuse e le ore di insegnamento e di studio conseguentemente buttate. Il meccanismo, scrive Tuttoscuola, è consolidato: «La proclamazione di uno sciopero – anche quando non avviene da parte dei sindacati più rappresentativi (che non hanno partecipato ad alcuno dei 12 scioperi dell’ultimo anno) – è una notizia che viene rilanciata su tutto il circuito mediatico, nazionale e locale. Telegiornali, radio, carta stampata, siti, seguiti poi dal tam tam via social network, fanno da cassa di risonanza (spesso richiamando l’immagine del “venerdì nero”, oppure, segnalando, come faceva l’Ansa il 24 ottobre scorso, che “per l’agitazione dei sindacati di base non mancheranno disagi nella scuola”)». Qual è il nodo? Che le leggi che regolano il diritto di sciopero «non fanno però menzione della facoltà del lavoratore di comunicare o no se intenda scioperare». Ne parla solo un accordo del 1999: «In occasione di ogni sciopero, i capi d’istituto inviteranno in forma scritta il personale a rendere comunicazione volontaria circa l’adesione allo sciopero entro il decimo giorno dalla comunicazione della proclamazione dello sciopero oppure entro il quinto, qualora lo sciopero sia proclamato per più comparti. Decorso tale termine, sulla base dei dati conoscitivi disponibili i capi d’istituto valuteranno l’entità della riduzione del servizio scolastico…»

Rileggiamo la parola chiave: «volontaria». Per capirci: tutti i dipendenti scolastici coinvolti possono decidere se avvertire o no, a loro piacimento, i presidi, i colleghi e gli alunni (fossero diciottenni o bambinetti di tre anni ) se andranno o non andranno a scuola. Risultato: «Nell’impossibilità di conoscere i livelli di astensione» e davanti al rischio di trovarsi davanti «a sorpresa» decine o centinaia di allievi impossibili da gestire, mettono le mani avanti avvertendo le scuole: per sicurezza è meglio che teniate i ragazzi a casa. E qui scatta la beffa: «In moltissimi casi la sospensione totale delle lezioni non trova successivamente riscontro con l’adesione allo sciopero: scuole chiuse e pochissimi docenti in sciopero».

L’aspetto economico? «L’adesione allo sciopero comporta la ritenuta sullo stipendio, la non comunicazione no. La seconda, però, finisce per avere più peso della prima, a costo zero (per il lavoratore, ma non per la collettività). Del resto, visto che è consentito da un accordo sindacale, perché dar torto a chi non comunica nulla?» E non si parla di ipotesi campate in aria. Lo dice l’esasperazione di quei genitori che il 16 dicembre 2018 si ritrovarono coi loro bambini e con gli stessi insegnanti chiusi fuori, al gelo, dalla scuola di Boltiere (Bergamo) perché non solo non c’erano i bidelli ma nessuno aveva le chiavi per aprire. O di quegli altri bimbi bloccati un mese sul minibus davanti alle porte sbarrate di una scuola di Piano della Lenta, Teramo. «Nel penultimo sciopero di cui sono disponibili i dati, quello di venerdì 10 maggio 2019, hanno scioperato 5.767 tra docenti e personale non docente, su un organico di 1.100.380. Eppure le cronache di quel giorno raccontano che in molte scuole non si è fatto lezione», scrive la rivista di Vinciguerra.

Ma qual è il costo di tutte quelle aule chiuse a causa delle mancate dichiarazioni di chi voleva o non voleva scioperare? «Si possono stimare in due milioni e mezzo le ore di lezione perse dagli studenti negli ultimi 12 mesi per microscioperi ai quali ha aderito sì e no l’1% del personale della scuola e in oltre 60 milioni di euro il relativo costo per lo Stato». Almeno. Forse di più. Forse molto di più.

Ma davvero il «non obbligo di comunicare l’adesione allo sciopero» è pari al diritto di sciopero, come sostengono i sindacati più minuscoli e combattivi che, sostiene Tuttoscuola, «partecipano alla saga della visibilità»? Mah…