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Repubblica - Ma la scuola italiana va comunque cambiata

Ma la scuola italiana va comunque cambiata ALDO SCHIAVONE La scuola, in Occidente, è un'istituzione che soffre. E' una crisi da metamorfosi, come accade alle soglie di un salto evolu...

24/01/2002
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la Repubblica

Ma la scuola italiana va comunque cambiata
ALDO SCHIAVONE

La scuola, in Occidente, è un'istituzione che soffre. E' una crisi da metamorfosi, come accade alle soglie di un salto evolutivo. Nella sua struttura classica, essa è infatti una figura del passato, non del futuro. Appartiene al mondo che stiamo perdendo: come la grande fabbrica, o le macchine da scrivere. Almeno, la scuola che ci è familiare: le aule, i banchi, le classi, gli edifici inconfondibili, la concentrazione fisica di masse di studenti tenute insieme, corpi oltre che menti, di fronte ai loro insegnanti.
Tutto di questo apparato sta diventando irrimediabilmente vecchio e, nonostante i computer con cui cerchiamo di aggiornarlo, odora di gesso e di inchiostro: la comunicazione cui si affida, la pedagogia che lo giustifica, le forme di disciplinamento e di controllo su cui si regge, il tipo di socializzazione che impone. Cosa prenderà il suo posto cominciamo appena a intravederlo: un sistema più leggero e composito, meno "separato", espressivo di interessi e conflitti nuovi, un apprendimento più flessibile e multiverso, fatto di "home schooling" '#8212; scuola modulare e domestica, a misura di bambino, che in America coinvolge già centinaia di migliaia di famiglie '#8212; e architetture virtuali, senza confini, costruite in rete, modulate sulle differenze e sui bisogni effettivi degli utenti, materializzate solo nelle biblioteche e nei laboratori.
Coloro che, in questi anni, stanno cercando di riformare la scuola italiana farebbero bene ad aver presente questo destino: il loro lavoro incide sulla sabbia, non sulla pietra. Tocca un sistema i cui equilibri si stanno decomponendo dovunque, a vista d'occhio. Non è più tempo di riforme Gentile; e le grandi questioni di principio '#8212; eguaglianza nell'accesso, garanzie nella determinazione dei contenuti formativi '#8212; vanno interamente riformulate tenendo conto dei nuovi scenari. Persino l'alternativa fra "pubblico" e "privato" '#8212; oggetto di tante battaglie '#8212; acquista oggi un senso inesplorato.
Si tratta dunque di saper favorire e orientare un radicale mutamento, in larga parte indipendente dalle nostre decisioni, e qui da noi di correggere alcune distorsioni profonde, esiti di una storia ben nota. Ci vuole intelligenza, duttilità, buon senso. L'inatteso blocco del progetto Moratti ha provocato in troppi un sospiro di sollievo, perché la generale soddisfazione non insospettisca. La scuola italiana non si sarebbe ridotta com'è, se non agisse, dentro e fuori di essa, un blocco burocraticoclientelare, potente e trasversale, ferocemente antimeritocratico e contrario a ogni cambiamento, di qualunque segno. E' lui, il primo avversario da battere. La pausa può essere opportuna solo se si sa approfittarne per utili correzioni, e se aiuta a liberare il campo da dannosi fumi ideologici.
Innanzitutto bisogna ripetere (come già dicemmo per la proposta BerlinguerDe Mauro) che vi sono due punti essenziali non toccati dal provvedimento: essi riguardano la selezione e le carriere degli insegnanti, e la formazione dei programmi. Se non si interviene su questi aspetti in modo contestuale rispetto alla revisione dei cicli e degli indirizzi, tutto rischia di ridursi a un'ingegneria astratta, a un incastro di scatole vuote. Di entrambi, l'opposizione dovrebbe fare la propria bandiera. E' indispensabile e urgente un piano globale di riqualificazione della docenza '#8212; un vero e proprio "statuto degli insegnanti" '#8212; con tempi e scadenze precise: retribuzioni progressivamente portate a livello europeo; ingressi per concorsi rigorosamente selettivi; verifiche periodiche collegate alla carriera; incentivi motivanti; possibilità di formazione permanente. Accanto, una seria modernizzazione dei programmi (ma senza inseguire mode provinciali), sulla base di chiari indirizzi nazionali, con possibilità di intervento (e di sperimentazione) da parte di ciascun istituto sulle modalità dell'insegnamento, ma non sui contenuti generali, e con un pacchetto comune di materie di base, prioritarie in tutti gli indirizzi della scuola dell'obbligo: l'italiano, la matematica, le lingue moderne, la storia.

Diversamente da quanto si dice, credo che la biennalizzazione dei cicli proposta nel disegno Moratti, che collega il quinto anno delle elementari al primo delle medie, sia abbastanza vicina alla proposta BerlinguerDe Mauro che fondeva i due segmenti, e vada sostanzialmente accolta. Ed egualmente mi sembra da condividere l'idea di anticipare di qualche mese la possibilità di prima iscrizione: i dissensi sono francamente sorprendenti.
Mi appare invece difficile da mandar giù una scelta fra indirizzo liceale e formazione professionale subito dopo le medie. Pur accettando l'ipotesi dei percorsi distinti, mi chiedo se non sia possibile prevedere ancora uno o due anni comuni, prima della biforcazione. E definirei comunque meglio le possibilità di passaggio da un percorso all'altro.
Anche la competenza delle Regioni andrebbe chiarita in modo più definito (secondo le giuste osservazioni di Galli della Loggia). Mentre mi sembra eccessiva la logica aziendalistica con cui si regola l'autonomia degli istituti. Sarebbero preferibili soluzioni più caute e flessibili. Non nego che in qualche caso quel modello possa dare buoni risultati. Ma l'Italia è un paese complesso. Fare scuola a Milano, non è lo stesso che farla a Secondigliano.