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Restituire dignità e valore sociale a docenti e insegnanti, ma con risorse, diritti e tutele

L’articolo di Francesco Sinopoli, Segretario generale della FLC CGIL, pubblicato sull’Huffington post.

23/10/2019
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L'Huffington Post

Si celebra il 23 ottobre la Giornata nazionale dell’insegnante, giusto riconoscimento alla funzione sociale di centinaia di migliaia di persone che hanno dedicato la loro vita a insegnare, nelle scuole e negli istituti di ogni ordine e grado.

Si tratta di persone alle quali va sempre riconosciuta la nostra stima e la nostra gratitudine, poiché in tempi di enormi difficoltà e limiti nell’istruzione nazionale sanno reggere con dignità e professionalità l’intero sistema. Ora però è giusto che oltre ai riconoscimenti formali venga data loro la dignità che meritano, sia sul piano salariale che su quello dei diritti e delle tutele. Ricordo qui che sul piano salariale chi lavora nella scuola riceve stipendi che sono all’ultimo posto nella graduatoria della pubblica amministrazione, con una media di appena 28mila euro lordi l’anno. E il confronto con le realtà degli altri Paesi europei è ancora più impietoso. Per quanto riguarda gli ultimi 3 anni (dall’anno scolastico 2014/15 all’anno scolastico 2016/17) gli stipendi iniziali dei docenti, calcolati a prezzi costanti ovvero depurati degli effetti inflattivi, sono aumentati mediamente del 4% in tutta Europa tranne che in Italia dove sono rimasti praticamente bloccati. La distanza tra i livelli retributivi degli insegnati italiani rispetto a quelli europei, già molto consistente (20%), è inoltre destinata a divaricarsi sempre più.

L’auspicio è che, proprio nella Giornata nazionale dedicata agli insegnanti, di ciò sia consapevole anche il governo, che si appresta a varare la manovra di Bilancio per il 2020 e che si possa finalmente investire significativamente nel sistema d’istruzione italiano passando dalle tante dichiarazioni di intenti ai fatti concreti. L’obiettivo di una complessiva e significativa rivalutazione degli stipendi del personale della scuola, dell’università e della ricerca è stato più volte ribadito come priorità, e per noi della Flc Cgil esso resta tale. Ed è proprio per questo che insieme con gli altri sindacati dell’istruzione, abbiamo chiesto che si apra urgentemente un tavolo ministeriale per discutere delle tante questioni irrisolte nel sistema dell’istruzione. Su questi punti strategici misureremo la coerenza di questo governo e del ministro Fioramonti, pronti a misure e iniziative di mobilitazione.

E tra le tante, spinose e delicate questioni aperte resta quella della valutazione, di studenti, docenti e scuole, delegata a un istituto di ricerca pubblico, l’Invalsi. Il ministro Fioramonti sottolinea che deve smettere di essere un onere per le scuole, non può vincolarne la didattica trasformandola in uno “studiare per passare il test di valutazione”, ma deve essere quasi invisibile, non punire e far capire come migliorare, investendo su chi ha incrementi proporzionali migliori. Per questo prospetta una nuova riscrittura delle responsabilità dell’Invalsi e di Indire, l’Istituto nazionale documentazione innovazione e ricerca educativa, e, soprattutto, un cambiamento significativo: i test devono perdere il carattere di obbligatorietà ed essere riportati su base volontaria.

La FLC CGIL ha denunciato da sempre l’uso distorto delle prove Invalsi, condizionato da esigenze politiche di parte, fino ad appiattire il Sistema Nazionale di Valutazione alla mera lettura dei dati e ad un uso strumentale per definire graduatorie di scuole sui risultati degli apprendimenti di alcune discipline. Abbiamo denunciato l’inerzia di chi promuove queste prove perché ad un dato negativo su un monitoraggio richiesto e promosso dal MIUR (e dal governo, quindi) non è corrisposta un’azione correttiva che – tenendo presenti quei dati – abbia messo in campo risorse, idee, strumenti per invertire la rotta. Anzi, possiamo dire che è accaduto l’esatto contrario, ovvero gli interventi degli ultimi anni sul sistema scolastico hanno accentuato le differenze. E come sappiamo la scuola serve, al contrario, a superare le disuguaglianze, non a moltiplicarle.

Considerato che su questo punto come FLC CGIL abbiamo già espresso tutta la nostra preoccupazione, c’è un aspetto critico, pedagogico e didattico che dobbiamo esplorare quando parliamo di sistema della valutazione In particolare, Eraldo Affinati pone un problema molto serio: come si può pretendere che le nuove generazioni, dal profilo social e dall’attenzione multitasking, possano trovare gli stimoli per leggere un testo lungo, e al contempo essere interessanti a relitti linguistici? E ancora: è attraverso la comprensione di “terso” da una poesia di Cardarelli che misuriamo il livello di comprensione linguistica? Pochi si rendono conto che oggi per dar senso alla lettura e alla scrittura occorre ricercare percorsi nuovi. Ad esempio mettere per iscritto l’oralità di oggi, analizzarne i possibili fraintendimenti e la sua omissività per dare senso all’uso di una grammatica corretta. È un fatto che si scrive sempre meno, si legge sempre meno. È impensabile non modificare l’insegnamento di fronte a questi cambiamenti.

Alla luce dei risultati resi noti dall’Invalsi, il progetto di regionalizzazione differenziata diventa letteralmente eversivo. La palese dimostrazione della volontà di abbandonare in mare gli “stranieri interni”, i nostri alunni ai quali stiamo togliendo anche la padronanza della lingua, la prima testimonianza di appartenenza. E nel mare dell’ignoranza affogherà con il futuro dei nostri ragazzi anche quello dell’intero Paese. Si pone un problema diverso, che tocca non la preparazione degli insegnanti, ma il senso e la finalità stessa della didattica dell’italiano, della matematica, delle lingue. E dunque, il senso stesso del sapere. Possiamo ancora, davvero, accontentarci che la didattica ci aiuti a leggere il testo breve, o piuttosto attraverso il testo breve la scuola può portare la società ad attualizzare i testi più complicati, a moltiplicare idee e posizioni? A leggere un contratto di lavoro, ad esempio, proprio perché si conosce Manzoni.

Per fare questo il Sistema Nazionale di Valutazione svolge un ruolo fondamentale, come termometro ed indicatore, a patto che se ne faccia un uso politicamente corretto, oltre le ideologie della competitività, verso una politica di investimenti in risorse umane ed economiche, ma soprattutto di studio reale di innovazione didattica. Resta il problema di fondo di quale senso e quale dimensione vogliamo dare alla scuola all’interno di questa società: se la scuola è il fulcro di un processo di miglioramento, è necessario cambiare i paradigmi delle leggi finanziarie e delle riforme della pubblica amministrazione, per farne un laboratorio autonomo di formazione culturale, di crescita e di maturazione critica dei nostri giovani. È da questo punto che lanciamo la nostra sfida al sistema di valutazione, dal senso stesso dell’istruzione pubblica. Il dibattito è aperto.