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Riformista: Basta con gli slogan facili (e datemi tempo)

IN RISPOSTA A UN LETTORE ARANCIONE

15/07/2006
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Il Riformista

LETTERA.

DI FABIO MUSSI

Caro direttore, ho visto che settimanalmente «il Riformista» pubblicherà articoli, dunque aprirà delle discussioni, sui temi dell’istruzione e della formazione. Se vorrai, mi piacerebbe, di quando in quando, interloquire.

Stanno succedendo mirabilia nel mondo, e su queste questioni l’Italia si gioca una parte essenziale del suo futuro. Bisogna comunicarlo non solo agli addetti, ma a tutta l’opinione pubblica.

Già che ci sono, vorrei rispondere due parole al tuo lettore Francesco Pasquali che, nella rubrica delle lettere del 13 luglio, afferma di avermi ascoltato alla Sapienza di Roma: non gli sono piaciuto, l’ho deluso. Perché? Perché non ho pronunziato le parole magiche: «Abolizione del valore legale del titolo di studio». Se «in principio era l’Atto» questo viene indicato periodicamente come l’atto che trasformerebbe d’incanto l’Università e il mercato del lavoro.

Sarebbe vero se ci fosse l’imponibile di manodopera intellettuale, con le imprese costrette ad assumere pescando dalla lista dello Stato, secondo un ordine obbligato. Invece le imprese assumono esattamente chi pare loro: Politecnico Torino? Bocconi Milano? Matematica Pisa? Fisica Padova? Giurisprudenza Napoli? Medicina Roma?. Ripeto: chi vogliono (riconosco che diverso è il discorso relativo ai concorsi pubblici, su cui c’è qualcosa da fare).

Se Pasquali si è riletto, in basso a destra sulla pagina 7 del Riformista, spero che l’occhio gli sia caduto sulla pagina 6, in alto a sinistra. Lì, Fiorella Farinelli, commentando l’ultima indagine Unioncamere, scriveva: «Per chi si sente già con un piede nella mitica economia della conoscenza, è un pugno nell’occhio». Vediamo il dato: il 34,6% delle assunzioni 2006 delle imprese riguarda personale con la sola licenza media, e l’utilizzo di diplomati, laureati e figure specialistiche vede l’Italia agli ultimi posti in Europa con, in più, un’impressionante crescita del precariato. Se osservassi semplicemente la domanda delle imprese, dovrei chiudere l’Università, altro che dannarmi - come tenterò di fare - per alzare la qualità del sistema! Istituire l’Agenzia di valutazione e tutto il resto.

Bisogna invece agire insieme, come si diceva una volta, sulla domanda e sull’offerta, aumentando il valore (culturale, scientifico, professionale) dei titoli, e la composizione intellettuale del mercato del lavoro. Ne deriva una certa esigenza di un progetto di riforme dell’economia e della società…

Allora: piuttosto che ripetere gli slogan di soluzioni facili, ma immaginarie, si devono cercare quelle difficili, ma reali. Mi accontenterei, nel tempo in cui mi sarà dato di esercitare la responsabilità di ministro dell’Università e della Ricerca, di migliorare la situazione.

So che mi capisci. Buon lavoro.

Ministro dell’Università e della ricerca scientifica