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Rinnovo del contratto, una strada piena di incognite

Slitta ai prossimi giorni l'ultimo tavolo tecnico al Miur sull'aTTO DI INDIRIZZO del nuovo comparto

04/07/2017
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ItaliaOggi

Marco Nobilio

Il 27 giugno scorso All'Aran si è tenuta la prima riunione con i sindacati per dare il via alla contrattazione che terminerà con la stipula del nuovo contratto di comparto. Un comparto che a differenza che in passato non comprende solo la scuola, ma anche l'università, la ricerca e l'Afam (conservatori, accademie e istituti superiori per le industrie artistiche). Il nuovo contratto dovrebbe dare attuazione all'accordo sul pubblico impiego del 30 novembre scorso. Che prevede il ripristino del potere della contrattazione collettiva di derogare le norme di legge e un aumento medio delle retribuzioni di almeno 85 euro al mese. Intanto proseguono al Miur i tavoli tecnici per la specifica direttiva. L'incontro di ieri, l'ultimo di ascolto delle istanze sindacali, è slittato ai prossimi giorni. Il ministero dovrà nel giro di un paio di settimane predisporre il relativo atto di indirizzo da condividere con la Funzione pubblica. Molte le incognite e i nodi da sciogliere. Il decreto Madia, peraltro, ha restituito solo parzialmente il potere di deroga.

Il testo del decreto legislativo 165/2001 (il provvedimento che contiene le regole della contrattazione collettiva nel pubblico impiego) nella stesura originaria, prima della riforma Brunetta, prevedeva, infatti, che i contratti collettivi dovessero regolare i diritti e i doveri dei dipendenti pubblici anche derogando le norme di legge. Tale stesura non faceva altro che estendere alla contrattazione nel pubblico impiego quello che era già previsto per il settore privato.

Laddove la contrattazione collettiva può introdurre trattamenti più favorevoli rispetto alla legge. In ciò assegnando alla disciplina legale il potere di fissare un trattamento minimo al di sotto del quale non si poteva e non si può andare. Con la riforma Brunetta, invece, il legislatore introdusse per i dipendenti pubblici trattamenti più sfavorevoli, legando le mani al tavolo negoziale. Con l'avvento del decreto Madia, le norme restrittive del decreto Brunetta sono state solo ammorbidite, facendo salve le disposizioni contenute nella legge 107/2015. Che ha sottratto alla contrattazione collettiva ampi settori in materia retributiva e ha introdotto anche limiti alla mobilità: due materie che non erano state toccate dalla riforma Brunetta. Pertanto, la contrattazione collettiva dovrà fare i conti con una serie di limiti oggettivi che potrebbero vanificare gli sforzi compiuti finora per tentare di non peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro e la qualità della vita degli operatori del settore.

Allo stato attuale, dunque, permangono forti situazioni di incertezza soprattutto per quanto riguarda l'effettiva possibilità di recuperare il potere di acquisito dei salari che, nel corso degli anni, hanno perso circa il 15% del loro valore.

In primo luogo perché i soldi promessi dal governo con l'accordo del 30 novembre ancora non ci sono. Le risorse disponibili, infatti, bastano appena per assegnare a pioggia un aumento di 15 euro netti in busta paga e, al momento, non si ha notizia di ulteriori provvedimenti legislativi tesi a recuperare il gup accumulato. E il governo non sembra nemmeno intenzionato a utilizzare i soldi stanziati per il cosiddetto merito: una dotazione finanziaria di circa 24 mila euro per istituzione scolastica, che il dirigente può assegnare ai docenti secondo criteri discrezionali. Inoltre non sembra vi siano nemmeno le condizione per utilizzare i 500 euro del bonus per l'acquisto di libri, riviste e per l'acquisito di biglietti per il cinema e altre manifestazioni culturali. Fondi che sarebbero stati utilizzati finora solo nell'ordine del 50% dai diretti interessati e che potrebbero essere utili per finanziare gli aumenti. E non vi è traccia di eventuali provvedimenti volti a recuperare il ritardo di un anno della progressione di carriera, introdotto dal governo Monti, che ha determinato una perdita netta a regime di circa 1.000 euro per ogni dipendente.

In più bisogna anche considerare che non sono stati ancora emanati gli atti di indirizzo dei vari comparti. Atti necessari per dare avvio alla contrattazione vera e propria. Insomma, la strada a tutta in salita. Tanto più che, con l'unificazione dei comparti, Aran e sindacati dovranno anche armonizzare le varie discipline di settore, che sono diverse tra loro e che potrebbero rendere ancora più difficile quella che appare fin da ora una stagione di rinnovi contrattuali tra le più difficili degli ultimi 30 anni.

Detto questo, bisogna anche considerare che, negli ultimi anni, la normativa europea e la giurisprudenza di legittimità hanno affermato il principio secondo il quale i lavoratori precari devono essere trattati allo stesso modo dei lavoratori di ruolo. Pertanto, le parti dovranno necessariamente recepire questo orientamento, che ormai costituisce un vero e proprio vincolo legale, adeguando le retribuzioni dei precari. Che ad oggi vengono assunti con condizioni di lavoro più sfavorevoli rispetto ai loro colleghi di ruolo. Ciò vale per le retribuzioni, che non sono suscettibili di aumenti al crescere dell'anzianità, e vale anche per la disciplina dei permessi che, in molti casi, non solo non sono retribuiti, ma non danno titolo nemmeno al riconoscimento giuridico del servizio.