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Scienza, anti-scienza e Barbara Lezzi

vediamo cosa in effetti ha detto la Ministra, al di là dei titoli, diventati delle vere e proprie fake news, spesso in contrasto con i contenuti, ma che vengono così appositamente confezionati perché ormai le persone nel 90% dei casi si fermano ad essi.

12/11/2018
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ROARS

Francesco Coniglione

Ma cosa mai ha detto la ministra Barbara Lezzi di tanto grave da scatenare la stampa e i social contro di lei? Certo, il dare un’informazione a 370 gradi è un po’ eccessivo e forse va oltre le normali capacità di un essere umano (anche se potrebbe essere inteso come uno stimolo alla conoscenza delle geometrie non euclidee). In fondo capita persino alle persone più insospettabili – specie si quando parla in pubblico o sotto i riflettori – commettere clamorose gaffe. Una volta un mio collega – ordinario nelle università italiane – si lasciò sfuggire che bisognava non essere parziali e fare la presentazione di un argomento a – mi pare – 320 gradi. Questa volta ci si è avvicinati all’esatto numero per difetto. Ma alzi la mano chi non ha commesso simili errori, specie in pubblico. Ve ne potrei raccontare anche di miei.

Tuttavia nel caso della Lezzi la cosa si pone differentemente: l’errore non è l’errore umano che può capitare a tutti, ma una spia, l’indicatore di una condizione di fondo che non riguarda solo lei, ma un intero movimento: l’ignoranza. In questo caso i 370 gradi (ché se poi si va a sentire con accuratezza la registrazione sono pronunciati in modo da sembrare una fusione di 360 e 370) sono il sintomo di una indigenza scientifica che è dimostrata non solo dal fatale numero, ma anche dalle argomentazioni che la Ministra ha portato nel corso della trasmissione e che trova quotidiana attestazione in altre pubbliche performance di altri esponenti del movimento. Appunto questo è da discutere, e a tal fine vediamo cosa in effetti ha detto la Ministra, al di là dei titoli, diventati delle vere e proprie fake news, spesso in contrasto con i contenuti, ma che vengono così appositamente confezionati perché ormai le persone nel 90% dei casi si fermano ad essi. E così l’effetto mediatico e propagandistico giunge ad effetto.

Innanzi tutto la Lezzi ha precisato che – contrariamente a quanto da tutti detto – il famoso Comitato per la divulgazione scientifica non mira a “controllare nel senso di gestire” (cioè stabilire in via preventiva quello che sarà divulgato oppure no) bensì di “dare tutte le versioni possibili in merito a un determinato argomento, non soltanto una informazione”; infatti è chiaro che nella ricerca scientifica “ci sono diversi filoni intorno a un determinato argomento, che se poi convergono è tanto di guadagnato, ma a nostro avviso è bene informare a 370 gradi il cittadino; e soprattutto il servizio pubblico lo deve fare, magari dando la possibilità alla comunità scientifica di smentire nel merito eventualmente quelle che sono delle false informazioni che possono anche entrare nell’opinione pubblica senza essere gestite”. Questa la trascrizione fedele di tutto quanto detto, senza omissione alcuna.

Ebbene chi abbia un po’ praticato il dibattito sulla scienza negli ultimi trent’anni sa bene come sia tramontata l’idea di una scienza monolitica e tutta d’un pezzo: v’è un’ampia letteratura critica che – a cominciare da Kuhn e passando per Polanyi, Fleck, Feyerabend, Latour, la riflessione dei Science and Technological Studiese così via (bibliografia fornibile a richiesta) – ha sottolineato come anche nella scienza esistono controversie, diversi approcci, scuole differenti, programmi di ricerca scientifica concorrenti. E che questo accade specie nei campi che sono ai margini o alle frontiere della scienza, cioè quando ci si avventura su territori inesplorati, dove le conoscenze a disposizione e le metodologie sinora utilizzate risultato inaffidabili. Consiglio in proposito l’articolo “Fast and Frugal Heuristics at Research Frontiers” (2016), che non è scritto dalla Lezzi e nemmeno da Rocco Casalino, ma da uno dei più rinomati e autorevoli filosofi della scienza contemporanei, Thomas Nickles.

Ovviamente non si tratta di mettere a confronto – come il gusto per il paradosso e la pregiudiziale ostilità ha spinto molti a fare – le tesi dei sostenitori della terra piatta o della creazione biblica con le attuali teorie scientifiche, ma piuttosto di mettere in luce come all’interno della stessa comunità scientifica, su certi fenomeni e in certi campi, non vi sia una opinione unanime sulle soluzioni da approntare e sul modo di interpretare correttamente l’esperienza. Questo accade su questioni apparentemente lontane da noi (ad es, riguardanti la meccanica quantistica, il suo rapporto con la relatività o anche questioni di carattere cosmologico), ma anche su cose assai più vicine, come ha dimostrato il caso della Xylella o come accade in merito ai cambiamenti climatici o sulla questione dei vaccini. La storia è ricca di episodi in cui teorie apparentemente incrollabili sono risultate del tutto infondate (qualcuno ricorda l’etere luminifero o il flogisto, o la fusione fredda?, per citare solo gli episodi che mi vengono in mente) e invece altre teorie o concezioni, messe nel dimenticatoio perché in contrasto con le concezioni dominanti, si sono poi rivelate feconde indicazioni euristiche che hanno dato luogo e nuove scienze. Come anche di casi di ricerche artatamente pilotate verso particolari risultati (ricordate il caso ben narrato nel film Insider – Dietro la veritàcon Russell Crowe? Se non lo avete visto, fatelo). E si potrebbe a lungo continuare con esempi di questo tipo, per cui esercitare una sana e oculata “strategia del sospetto” non è indice di dogmatismo, ma è il principio stesso della ricerca scientifica. Come diceva R.K. Merton, è peculiare della scienza lo scetticismo organizzato, ovvero la disponibilità della comunità scientifica a sottoporre a critica sistematica, sincera e non pregiudiziale le idee e le proposte avanzate al suo interno, in nome del progresso stesso della scienza.

Il presentare i problemi e le teorie scientifiche sempre “alla Angela” (il cui lavoro è in ogni caso meritorio) dà l’impressione alla gente che su ogni problema esista una sola soluzione, quasi si trattasse di trovare il risultato di un algoritmo. Il che diventa estremamente dannoso quando si tratta, ad es. di questioni che concernono l’economia, che a volte viene presentata come una scienza analogamente alla matematica o alla fisica, mentre invece è il campo in cui le teorie e le concezioni sono le più diverse, anche perché qui entrano in gioco i fini che si vogliono realizzare. E tanto più le questioni sono socialmente rilevanti, tanto più smuovono interessi economici, ancor più il dibattito può essere profondo sia in relazione alle diverse opzioni che possono essere assunte, sia anche per i possibili interessi esterni che possono muoversi in favore di una posizione o di un’altra e condizionare di conseguenza la ricerca; che non è sempre pura come Biancaneve. E non parliamo di ambiti più soft come la sociologia o la psicologia…

Insomma una presentazione critica di quello che è lo stato della discussione scientifica (e non il confronto con tesi tratte da libri sacri o da leggende o altre forme di sapienza o superstizioni popolari spesso messe in campo) non è affatto essere antiscientifici, ma piuttosto abituare al pensiero critico, antidogmatico, a vedere le cose con prospettive diverse e a considerare come in molti ambiti ad importare sono le decisioni umane e i valori che ne stanno alla base, piuttosto che le imprescindibili ed univoche esigenze di una tecnologia e di una scienza presentate come dogmaticamente unitarie e da non mettere in discussione. Non si tratta di mettere a dibattere allo stesso tavolo uno scienziato e un teologo esponente di qualche fede religiosa (ma quando conviene, a volte lo si fa); ma se ci sono scienziati accreditati che sostengono visioni diverse, anche se minoritarie, potrebbe essere utile starli ad ascoltare. Dalle loro difformi idee potrebbero venir fuori delle prospettive in grado di permettere agli stessi scienziati di aggiustare, modificare o perfezionare le concezioni esistenti. Invece, nascondere tali diversità avrà come conseguenza il ricacciare molte persone – diffidenti per vari motivi verso la scienza ufficiale (e di motivi ce ne sono, anche se qui non possiamo soffermarci su di essi) – nell’alveo della superstizione e di cadere preda di astrologi, fattucchiere e guaritori. Far vedere invece una scienza critica, articolata al suo interno, con dibattiti e opinioni diverse, contribuirebbe ad umanizzarla e a diffondere tra la gente l’idea che le risposte da essa fornite non sono assolute, ma sempre circostanziali, all’interno di certi ambiti di applicazione, spesso approssimate e che quindi non esiste una riposta univoca a domande univoche. Anche la scienza può errare e su molti campi le sue risposte sono assai ipotetiche e congetturali, non la parola di Dio scolpita sulla pietra, da rispettare alla lettera. E capire che il metodo scientifico non è una pistola puntata sull’avversario (come nel filmato qui sotto).

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Ecco, io penso che sia questo il senso da dare alle parole della Lezzi e alla proposta di un Comitato come quello suggerito dall’on. Gallo, al di là del modo approssimativo e spesso inesatto con cui ci si esprime. Ma per cogliere tale intenzione, bisogna non essere accecati da un pregiudiziale furore politico e cercare con maggiore pacatezza di comprendere quanto possa esservi di sensato in delle affermazioni a prima vista “strane”. E bisogna, soprattutto, non fermarsi a leggere i titoli degli articoli, ma applicare un’ottica, diciamo, a 420 gradi (va bene così?).